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pelle-antonio-webdi Monica Centofante - 15 settembre 2011
Evade il potente boss della 'Ndrangheta Antonio Pelle: colpa dei tagli. Quelli imposti dal Dipartimento della Pubblica sicurezza del Ministero dell'Interno, diretto dal Prefetto Antonio Manganelli, che nell'ottica di una razionalizzazione dei costi ha dismesso il posto fisso di polizia all'interno dell'ospedale di Locri in cui il boss era ricoverato da cinque giorni.
Sembra una commedia all'italiana, putroppo è la dura realtà.

Antonio Pelle, esponente di spicco della cosca di San Luca, arrestato il 16 ottobre del 2008 dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria e dallo Sco, condannato in primo grado a 13 anni nell'ambito del processo Fehida contro le cosche Pelle-Vottari e Nirta-Strangio e in via definitiva a 10 anni per coltivazione di canapa indiana, si trovava nella struttura ospedaliera dopo aver accusato un malore. Ma da qualche tempo era agli arresti domiciliari per una grave forma di anoressia per la quale era stata certificata la sua incompatibilità con il regime carcerario.
L'anoressia, aveva spiegato il perito nominato dalla Corte d'Assise d'Appello di Reggio Calabria per studiare il caso, in una prima fase era stata autodeterminata. Cosa che ha confermato il procuratore aggiunto della Dda Nicola Gratteri, secondo il quale, “durante il periodo di detenzione, grazie ad alcune intercettazioni ambientali, eravamo riusciti a capire che Pelle, forse con complicità all'interno del carcere, era riuscito ad avere dei medicinali dimagranti”. Di questi farmaci però, continua Gratteri, “ne aveva fatto un uso spropositato tant'è che era stato necessario ricoverarlo all'ospedale Pertini”. Mentre dalle intercettazioni ambientali era ancora emerso che Antonio Pelle puntava “a scendere velocemente sotto i cinquanta chilogrammi, così mi mandano ai domiciliari.”
Tutto lascia quindi pensare ad una fuga programmata da tempo, cosa che avrebbe obbligato a mantenere ancora più alta l'attenzione sul boss, chiamato, negli ambienti criminali, “Vancheddu” o “la mamma”. E già a capo, secondo gli investigatori, di quello schieramento che ha portato all'omicidio di Maria Strangio nel Natale del 2007, suscitando la reazione delle cosche opposte culminata con la strage di Duisburg.
Purtroppo però, come si dice, quando è crisi è crisi per tutti. E così per il boss non c'era un piantone, ma le forze dell'ordine si recavano di tanto in tanto nella sua stanza per accertarsi che fosse ancora lì. E lì lo hanno trovato fino al pomeriggio di ieri quando i medici si sono accorti che il capomafia non c'era più: fuggito da un ospedale senza controllo. Del quale, oltre al danno la beffa, si era occupato domenica scorsa il Quotidiano della Calabria, denunciando il fatto che dalla struttura ospedaliera chiunque poteva entrare ed uscire indisturbato, avere accesso alle stanze dei medici e ad alcuni uffici, visionare documenti coperti dalla privacy senza che nessuno se ne accorgesse, a causa della carenza di personale.
Non solo. L'ospedale e l'azienda sanitaria di Locri, da cui il nosocomio dipende, sono stati al centro di diverse inchieste della magistratura, per il sospetto degli investigatori che fossero pesantemente infiltrate dalla 'Ndrangheta. Mentre nell'aprile del 2006 gli organismi di gestione della stessa azienda furono sciolti dopo che la commissione di accesso nominata all'indomani dell'omicidio del vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria Francesco Fortugno, giunse alla conclusione che l'Asl era divenuto un centro di affari e di potere in cui sarebbero stati privilegiati i pesanti interessi della 'Ndrangheta nel settore sanitario.
Insomma, un posto sicuro per ricoverare un boss e per lasciarlo senza controllo. Cosa sulla quale la Dda di Reggio Calabria, d'intesa con la procura di Locri, ha già avviato un'inchiesta.

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