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di AMDuemila
L'articolo del procuratore aggiunto di Firenze su Il Fatto Quotidiano
"L’esercizio della memoria è un tributo ai familiari delle vittime e ha una funzione di indirizzo per i vivi"

Tra pochi giorni, il 19 luglio, l'Italia ricorderà la strage di via d'Amelio nella quale morì il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta (Agostino Catalano, Emanuela Loi, Eddie Walter Cosina, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli). A distanza di 28 anni però su quell'attentato "restano ancora interrogativi da capire". A sostenerlo è Luca Tescaroli, procuratore aggiunto di Firenze, in un articolo a sua firma pubblicato su Il Fatto Quotidiano. Secondo il magistrato, per anni occupatosi di inchieste di primo piano sui mandanti occulti delle stragi di mafia e di processi altrettanto delicati, "se risulta provato, con sentenza irrevocabile, che la morte di Paolo Borsellino era stata voluta dai vertici di Cosa Nostra e da numerosi mafiosi per finalità di vendetta e di cautela preventiva e per esercitare - cumulando i suoi effetti con quelli degli altri delitti eccellenti perpetrati quello stesso anno - una forte pressione sulla compagine governativa che aveva attuato una linea politica di contrasto alla mafia decisamente più intensa che nel passato e indurre coloro che si fossero mostrati disponibili tra i possibili referenti a farsi avanti per trattare un mutamento di quella linea politica". "Tuttavia - ha spiegato Tescaroli - tutto ciò non ricostruisce verosimilmente completamente la verità di una strage, minata dal depistaggio per sviare i sospetti dai veri colpevoli e, forse, dai loro suggeritori e da chi ha avuto interessi convergenti con quelli mafiosi, che ha condizionato la nostra democrazia e contribuito a creare nuovi equilibri di potere". Un attentato, ha aggiunto il magistrato, "ancora in parte enigmatico, caratterizzato da due peculiarità che lo differenziano rispetto agli altri episodi ragisti del triennio '92-'94: l’impiego da parte degli attentatori di un esplosivo plastico più sofisticato, il Semtex (costituito da T4 e Pentrite), mai rinvenuto nella disponibilità di Cosa Nostra in quantitativi apprezzabili, se non nel lontano 1985 in un deposito riconducibile a Giuseppe Calò e l’accelerazione della sua esecuzione, avvenuta a 57 giorni dalla strage di Capaci nella stessa città, ponendo in non cale l’agguato nei confronti dell’onorevole Calogero Mannino, per volere di Salvatore Riina".

Il ruolo della memoria
Nel suo articolo Luca Tescaroli si è anche interrogato sul ruolo della memoria. "L’esercizio della memoria è un tributo ai familiari delle vittime e ha una funzione pedagogica e di indirizzo per i vivi, i cittadini e i rappresentanti delle istituzioni" scrive Tescaroli. Questo "affinché siano vigili e proiettati a tutelare gli strumenti di contrasto al crimine organizzato introdotti nella nostra legislazione, come il regime del carcere duro di cui all’art. 41 bis dell’Ordinamento penitenziario, previsto dal D. L. dell’8 giugno 1992, applicato nei confronti di centinaia di mafiosi all’indomani della strage, che da più parti si vuole affievolire se non eliminare, sebbene sia un presidio fondamentale in nome di pulsioni ipergarantiste. Il mafioso deve sapere che la punizione afflittiva è certa". "È la disattenzione dei principali organi di informazione - con poche virtuose eccezioni, rispetto ai plurimi lati oscuri che ruotano attorno all’eccidio, ai cedimenti che hanno caratterizzato il regime detentivo nella fase dell’emergenza sanitaria di questi mesi e alla capacità penetrativa delle plurime strutture organizzative nel nostro Paese che continuano a comprimere le garanzie collettive della libertà individuale ed economica - che impone di riflettere collettivamente", ha concluso Tescaroli.

Foto © Paolo Bassani

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