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di AMDuemila - Video
Undici arresti con il blitz dei Carabinieri

Sono in tutto undici i fermi scattati tra la Sicilia, la Lombardia ed il Veneto, che questa mattina sono stati eseguiti dai carabinieri del Comando provinciale di Palermo, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia.
Gli indagati sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, trasferimento fraudolento di beni, corruzione, atti persecutori, furto aggravato e danneggiamento. Le indagini, seguite da un pool di magistrati coordinati dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca, hanno evidenziato gli assetti e le dinamiche criminali del mandamento mafioso di San Mauro Castelverde a partire dall'operazione del 2015, Black Cat.
Spiegano i carabinieri che il gruppo mafioso "ha serrato le fila e ha continuato ad operare sul territorio imponendo il proprio potere" con la stessa capacità intimidatoria. In questo quadro si inseriscono le numerosissime estorsioni ai danni dei commercianti locali documentate dai militari, così come l'organizzazione di una "efficientissima" rete di comunicazione necessaria agli storici capimafia detenuti per mantenere il comando "e continuare a strangolare imprese e società civile".
In particolare le indagini hanno portato alla luce il ruolo ricoperto da Giuseppe Farinella, figlio di Domenico Farinella, boss all'epoca detenuto in regime di alta sicurezza a Voghera. Per i carabinieri del Comando provinciale di Palermo, che hanno portato a termine il blitz 'Alastra', un sistema di controllo "basato sui rapporti di consanguineità" che ha così permesso al capomafia detenuto "di mantenere il controllo del mandamento". Nonostante la giovane età, il rampollo dei Farinella avrebbe avuto il compito di "coordinare" gli altri componenti del clan che operavano sul territorio, "cooperando" con Gioacchino Spinnato di Tusa (Messina), "ben radicato - evidenziano gli investigatori - in Cosa nostra, che ha gestito i contatti con gli uomini d'onore degli altri mandamenti, fra i quali Filippo Salvatore Bisconti, già capo del mandamento mafioso di Belmonte Mezzagno e ora collaboratore di giustizia.
Mico Farinella, storico boss del mandamento e fedelissimo del capo dei capi Totò Riina, era riuscito a scansare l’ergastolo grazie a un ricalcolo della pena basato sull’indulto.
Con la libertà, nell'aprile 2019, Farinella ha deciso di concentrare nelle sue mani il vertice del sodalizio e "ha ordinato agli associati liberi di intensificare la presenza sul territorio, avviando una nuova spirale di estorsioni ai danni dei commercianti", dicono gli investigatori.



"San Mauro è numero uno... non si è pentito mai nessuno... e nessuno si pente... numero uno... San Mauro e Corleone". Così parlavano - intercettati - due dei fermati oggi.
L'imposizione del pizzo, avveniva senza sconti e senza eccezioni. "Ci vai incazzato", erano le istruzioni per l'emissario del racket inviato nella bottega di una vittima, "tanti i soldi li ha trovati... i soldi ci servono tutti". E contro chi resisteva non mancavano anche atti di violenza ("Gli ho dato una testata e gli ho spaccato il naso... l'ho picchiato...").
"Preziosissime, in questo senso, sono state le testimonianze delle vittime che, ribellandosi al sistema criminale, hanno trovato il coraggio di denunciare di iniziativa e di collaborare con i Carabinieri".
Fra loro figura anche Francesco Lena, il patron dell'Abbazia Sant'Anastasia, che nel 2010 era stato arrestato per mafia, ma poi era stato assolto.
"Grazie all'attività di indagine e alla fondamentale collaborazione degli imprenditori vessati, sono state infatti ricostruite 11 vicende estorsive (5 consumate e 6 tentate) - dicono i carabinieri di Palermo che hanno condotto le indagini - Alle vittime era imposto di pagare il pizzo o di acquistare forniture di carne da una macelleria di Finale di Pollina gestita da Giuseppe Scialabba, braccio destro di Giuseppe Farinella".
Le investigazioni hanno consentito di evidenziare anche la "capillare e asfissiante influenza dell'organizzazione mafiosa sul tessuto economico non soltanto attraverso l'imposizione del pizzo, ma anche attraverso la sensaleria negli affari dei privati e per mezzo della gestione diretta di attività di impresa che, fittiziamente intestate a soggetti incensurati, erano nei fatti amministrate dagli indagati". Al fine di eludere eventuali misure cautelari, infatti, Giuseppe Farinella e Giuseppe Scialabba "avevano fatto risultare terze persone quali titolari rispettivamente di un centro scommesse di Palermo e una sanitaria di Finale di Pollina, sottoposti a sequestro, del valore di 1.000.000 di euro".
"I tentacoli del mandamento si erano allungati anche sull'organizzazione dell'Oktoberfest del 2018 a Finale di Pollina, quando, per impedire la partecipazione alla sagra di un commerciante che non si era piegato alle imposizioni del clan, gli indagati non avevano esitato a devastargli lo stand", ricordano sempre i Carabinieri.

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