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di Aaron Pettinari - Video
Con le indagini della polizia rinvenuto anche un "pizzino" del boss di Castelvetrano

La caccia è aperta da tempo e a ventisette anni da quel lontano 1993 (anno di inizio della sua latitanza), Matteo Messina Denaro è diventato un introvabile. Se qualche settimana fa erano stati sequestrati alcuni beni ad un imprenditore ritenuto vicino al boss di Castelvetrano oggi la squadra mobile di Trapani, con il coordinamento della Procura di Palermo, guidata dal Procuratore capo Francesco Lo Voi, dall'aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Gianluca De Leo e Giovanni Antoci, ha dato un altro scossone alla fitta rete di protezione che circonda la Primula rossa.
Dalle prime luci dell'alba sono state eseguite numerose perquisizioni e arresti nei confronti di alcuni soggetti ritenuti favoreggiatori di Matteo Messina Denaro. A finire in manette Giuseppe Calcagno di 46 anni, di Campobello di Mazara (Trapani), e Marco Manzo, 55 anni, pregiudicato, di Campobello di Mazara, indagati per associazione di tipo mafioso ed estorsione.
Nell'ambito del blitz antimafia sono state notificate informazioni di garanzia ed eseguite perquisizioni nei territori di Marsala, Mazara del Vallo e Castelvetrano nei confronti di 15 indagati, a vario titolo, per associazione mafiosa, estorsione, detenzione di armi e favoreggiamento della latitanza del boss mafioso, pure indagato nell'ambito del medesimo procedimento penale per tentata estorsione.
Anche per questo, tra le case perquisite vi è anche la casa della famiglia Messina Denaro, a Castelvetrano, dove abita l'anziana madre del boss.
L'operazione, denominata "Ermes fase 3" è stata diretta dal vicequestore aggiunto Fabrizio Mustaro con l'ausilio degli uomini della Questura, dei Commissariati della provincia e dei Reparti Prevenzione Crimine di Palermo e di Reggio Calabria, con unità cinofile e il Reparto Volo di Palermo. Sono stati impiegati 90 uomini della Polizia di Stato.

Il pizzino di "Diabolik"
Durante le indagini, in un'intercettazione, si parla di un "pizzino" inviato nel 2015 dallo stesso capomafia. Ed è così emerso che il boss trapanese aveva "interesse per l'acquisto di un terreno a Castelvetrano" che in passato era appartenuto al Capo dei capi, Totò Riina. "E la famiglia mafiosa è intervenuta per 'convincere' i proprietari a vendere il terreno", come dicono gli inquirenti. I fedelissimi di Messina Denaro avrebbero fatto pressione sui successivi proprietari perché vendessero l'area su cui "Diabolik" aveva messo gli occhi.
Dietro alle figure di Giuseppe Calcagno, già uomo di fiducia dell'anziano capomafia di Mazara, Vito Gondola (arrestato 5 anni fa e deceduto nel 2017), e Marco Manzo, hanno ricostruito gli inquirenti, si muoveva la fitta rete di comunicazione tra il capomafia ed i sodali, con il secondo che aveva il ruolo specifico di rapportarsi con gli altri mandamenti.
Certo è che Matteo Messina Denaro, capo del mandamento di Castelvetrano e rappresentante indiscusso della mafia in provincia di Trapani, attualmente resta la massima figura di riferimento in tutta Cosa nostra, arrivando a esercitare il proprio potere ben oltre i confini della propria provincia, come in quelle di Agrigento e addirittura Palermo.
Lo dice il suo "pedigree" criminale.
Già membro di quel gruppo di uomini d'onore che Riina, già agli inizi del ’92, aveva inviato a Roma per studiare le abitudini e i movimenti di Giovanni Falcone per preparare il suo omicidio nella capitale, prima che Riina optasse per la soluzione più eclatante lungo l'autostrada a Capaci. Ma in quei tragici anni Novanta Messina Denaro ha trascorso diversi momenti in nord Italia con il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, altro stragista oggi detenuto al 41 bis e sotto processo a Reggio Calabria. Entrambi sono stati protagonisti, nell'anno successivo, di quelle bombe in Continente a Firenze, Milano e Roma. Uno è in carcere. L'altro no. Per ora.

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