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di AMDuemila
Per i giudici si trattò di una punizione esemplare
La dinamica del delitto riportata nelle motivazioni di sentenza

Canticchiava “Volare” di Modugno, il capo mafia Salvatore Profeta, mentre i suoi uomini crivellavano di colpi Salvatore Sciacchitano (deceduto nell’agguato) e Antonino Rizzi (rimasto ferito). A scriverlo sono i giudici della corte d’Assise di Palermo presieduta da Alfredo Montalto (a latere Giulia Malaponte) nelle 479 pagine di motivazione della sentenza del 25 novembre scorso, quando sono stati condannati all’ergastolo Natale Giuseppe Gambino, Antonino Profeta, Francesco e Gabriele Pedalino, Lorenzo Scarantino e Domenico Ilardi, e a 22 anni e mezzo di carcere Giuseppe Greco. Imputato era anche lo stesso Salvatore Profeta per il quale, però, si è deciso il non luogo a procedere per morte del reo (è deceduto nel settembre 2018).

profeta salvatore da palermo repubblica it

L'arresto del boss Salvatore Profeta


Il delitto avvenne la sera del 3 ottobre del 2015 davanti ad un centro scommesse di via della Conciliazione, nel quartiere palermitano Falsomiele. L’omicidio del giovane, spiegano i giudici, avvenne perché i due, quel pomeriggio, avevano partecipato, assieme a Francesco Urso (già condannato in via definitiva), alla gambizzazione di Luigi Cona (soggetto ritenuto vicino a Cosa nostra), rendendosi artefici “di iniziative contrarie all’ordine prestabilito e garantito sul territorio dalla famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù”. Non lontano dal luogo in cui si stava consumando “la punizione esemplare”, si trovava il boss Salvatore Profeta a bordo di una Volkswagen Polo con Natale Giuseppe Gambino. I due boss, osservano i giudici, “pur avendo modo di udire il rumore degli spari, sono rimasti in religioso silenzio. Solo Profeta, solito, come si evince dal profluvio di intercettazioni in atti, intonare motivi canori, aveva, in concomitanza dei primi spari, smesso di canticchiare, per poi riprendere subito dopo, senza spendere nemmeno una parola, in merito all’accaduto”. Quindi, secondo la Corte, la “mancata reazione” è una “evidente anomalia da parte di due dei soggetti di maggiore spessore criminale del clan, in quanto tali sempre solerti all’intervento ed alla gestione delle vicende afferenti e ricadenti nel territorio di competenza”. Pertanto, concludono i giudici, “il loro silenzio sarebbe indicativo della loro condivisa conoscenza di quanto occorso in quei frangenti” essendone i mandanti.

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