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di Karim El Sadi
L’imputato Siragusa: “Ha frainteso, stava male
Nell’udienza precedente l’ex picciotto aveva fatto i nomi degli ex compagni di detenzione e del suo datore di lavoro

Lo scorso 14 novembre al processo per l’omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà il neo pentito Francesco Paolo Lo Iacono aveva riferito in aula particolari di grande rilievo sul delitto, tirando in ballo ex compagni di detenzione e il suo datore di lavoro all’epoca in cui lavorò al bar “Bobuccio”. A ruota lo scorso 5 dicembre i chiamati in causa dal Lo Iacono (Antonino Siragusa, Giancarlo Giugno, Sebastiano Pagano e Salvatore Battaglia) sono stati sentiti davanti alla Corte d’Assise di Palermo presieduta da Sergio Gulotta e tutti hanno reso dichiarazioni tra loro collimanti che pare smentirebbero in parte quanto affermato dall’ex picciotto. Il primo a parlare è stato Siragusa (imputato insieme a Antonino Abbate, Francesco Castronovo, Paolo Cocco, Salvatore Ingrassia e Francesco Arcuri), che la procura non ha mai considerato credibile, attualmente detenuto al carcere di Velletri. Lo Iacono aveva avuto molto da dire su di lui rivelando di averlo sentito più volte parlare in maniera dettagliata del processo e dell’omicidio stesso. “Ha capito male”, si ha esordito difendendosi davanti ai giudici Siragusa. Quest’ultimo però non ha negato che dopo “due anni in isolamento, quando sono arrivato qui al Velletri mi sfogavo sia con le guardie che con i detenuti Pagano, Giugno di quanto mi stava succedendo riguardo al processo”. Quindi di quegli aspetti ne parlava, ma in maniera generica. “Dei fatti per i quali ero imputato non parlavo nei particolari con loro. Solo in generale. Di quella cosa che si diceva che ad aver aggredito Fragalà eravamo io Castronovo e Ingrassia. Io affermavo che era stato Antonino Abbate. Ripetevo che Cocco e Castronovo quella sera non c’erano. Queste cose qua dicevo loro”.
Lo Iacono accusava in particolare Siragusa di averlo sentito svelare ai codetenuti Giugno, Pagano e Mazzei particolari interessanti mentre si trovava in cella con la porta aperta o semichiusa. Anche su questo passaggio Siragusa ha smentito il neo pentito. “Io ho fatto le prove, tenendolo socchiuso (il blindato, ndr) e con la tv accesa non si riesce a sentire da fuori - ha spiegato l’imputato -, si sente solo farfugliare qualcosa, non si riesce a sentire chiaro, ho fatto gli esperimenti, non si sente niente a meno che di non buttare voci. Il corridoio della sezione dovrebbe essere di circa 30 metri, sono in tutto 75 mattoni da 40 centimetri”. “Perché dovrei nasconderlo, se fosse così? - ha aggiunto - Ergastolo o 30 anni non mi importa, io non ho più nessuno, non ho famiglia, non ho niente, pure se esco da qui posso andare a fare il barbone”.
L’imputato ha negato inoltre di aver parlato di Francesco Chiarello, il collaboratore chiave del processo. “Può essere capitato, ma per ribadire che lui sta dicendo cose che non esistono - ha spiegato l’imputato -. Come quella di Cocco e Castronovo, appunto, che in realtà non c’erano e con questa cosa non c’entrano niente”. Ha negato anche che ci sia mai stato, come invece sostenuto da Lo Iacono, un qualche accordo fra lui e Chiarello per non far uscire i nomi, poi invece emersi, di Paolo Cocco e Francesco Castronovo.
Smontata apparentemente anche la presunta lite avuta con Lo Iacono nella cucina della sezione carceraria di Velletri. “Siragusa stava parlando con gli altri dell'omicidio. - rammentava qualche udienza fa Lo Iacono - È venuto fuori anche il nome di Gregorio Di Giovanni, e certo, il mandante era lui. "Se si pentisse succederebbe una catastrofe. Ma non si pentirà mai” diceva Siragusa”. A suo dire nel sentire quelle parole il neo pentito avrebbe intimato l’imputato a dire la verità scatenando però l’ira di questi. Tutto falso ha affermato in aula Siragusa. “Non si è verificato quello che dice Lo Iacono della lite in cucina, né che gli abbia mai messo le mani addosso. Non mi aveva detto nulla neanche che dovessi riferire tutto in aula e dire la verità”. Il pubblico ministero Bruno Brucoli insieme ai vari legali presenti in aula hanno poi chiesto chiarimenti su alcune vicende inerenti al giorno dell’aggressione all’avvocato Fragalà, il 23 febbraio 2010, toccate dalla deposizione di Lo Iacono. In particolare quella relativa al famoso giubbotto teoricamente indossato da Siragusa la sera dell’agguato del quale sentì parlare Lo Iacono mentre si trovava nel corridoio del carcere. “I vestiti sequestrati sono miei - ha affermato Siragusa - ma il giubbotto che si vede inquadrato nelle immagini delle telecamere del porticato, quella sera, non è il mio. Il mio - ha precisato - ha un gancetto dietro, in quello delle immagini non c’è. Anche perché non sono io quello, da lì ci passo ma quel giorno no e anche quando sono dentro alla macchina”. Siragusa ha ribadito che l’ex picciotto ha frainteso diverse cose. “Io di quell’aggressione ho parlato solo in termini generali - ha insistito ancora -, non escludo che posso aver detto come eravamo andati e tornati da là. Che Cocco e Castronovo mi hanno accompagnato con la macchina da mia moglie sì, ma dopo l’aggressione, erano circa le 23-23.30. Ma prima io ero con Ingrassia, li abbiamo visti e siamo saliti tutti sull’Atos grigia di Castronovo e gli abbiamo chiesto di rifare il giro dal punto dell’aggressione per vedere se c’era qualche movimento”.

Il rapporto con Lo Iacono
Alla domanda degli avvocati sul rapporto che Lo Iacono aveva con Siragusa nei mesi trascorsi insieme tra le pareti della casa circondariale di Velletri questi ha risposto di averlo “sempre trattato troppo bene, ancora oggi mi fa pena, malgrado tutto quello che mi ha combinato”. L’imputato ha in pratica ritenuto, come aveva fatto durante la scorsa udienza, il neo pentito inattendibile perché secondo lui “stava male in carcere, voleva andarsene a casa”. “Arrivava dal carcere di Pagliarelli - ha spiegato Siragusa -. Aveva deciso di collaborare, ma dopo aveva cambiato idea perché la moglie aveva paura e non voleva che lui collaborasse in quanto gli aveva detto a colloquio di essere stata minacciata. Lui si è impaurito e ha chiesto di non collaborare più. E quindi da Pagliarelli lo hanno portato a Velletri”. Lì, ha proseguito l’imputato, “gli abbiamo tutti consigliato di parlare coi pm e di continuare con la sua scelta, io l’ho sollecitato a riprendere la collaborazione. - ha spiegato ancora l’imputato - Gli ho detto che ormai questo passo lo aveva fatto e tornare indietro non serviva a niente. Gli ho detto di non fare il mio stesso errore, perché io non ho detto tutto subito e vedi come mi ritrovo? Lui piangeva quasi sempre, diceva che non ce la faceva a stare in carcere. Avevo il pensiero che potesse farsi del male. Non era mai stato in carcere, era fragile, troppo debole”.

Altre smentite
Dopo l’imputato è stato ascoltato dai giudici Giancarlo Giugno. Detenuto nella stessa sezione del carcere di Velletri con Siragusa e Pagano, anche Giugno ha smentito le dichiarazioni di Lo Iacono a partire dalla famosa lite. “No ho mai sentito di una discussione in cucina, erano in buoni rapporti. Cucinavano addirittura insieme. Quando Lo Iacono ha detto che sarebbe stato trasferito si sono salutati calorosamente. Il loro rapporto è stato buono dall’inizio alla fine. Se ci fosse stata una discussione accesa io ne sarei venuto a conoscenza perché la mia cella si trova davanti alla cucina”. Il teste si è soffermato anche sul dialogo avuto in cella con Siragusa e Pagano. “Noi parlavamo della vicenda Fragalà in condizioni di assoluta trasparenza, nel corridoio o nella saletta, magari sarà capitato anche in cella, ma non c’era nessun motivo di chiudere il blindato e di cercare questa privacy”. Una versione simile ha fornito poco più tardi anche l’altro testimone, Francesco Pagano. “Io so solo che Siragusa voleva dire la verità e insisteva che erano state coinvolte persone innocenti che non c’entravano niente. - ha affermato Pagano - Di questo mi parlava nel mio blindato, che io tengo sempre aperto”. Pagano ha confermato inoltre che Lo Iacono “era voluto bene da tutti in carcere”.  Giugno ha infine riferito di alcuni appunti scritti da Siragusa che gli avrebbe chiesto di trascrivere tramite dettatura su un computer per riordinarli a livello grammaticale. E’ in questo modo che Giugno sarebbe venuto a conoscenza di alcuni aspetti dell’aggressione, nomi, cognomi, luoghi. Ma, ha precisato, “non avevo nessuna curiosità di venire a conoscenza di fatti ulteriori”. “Mi ha pregato di aiutarlo in qualche maniera a redigere con un computer degli appunti, delle memorie che aveva con sé, aiutandolo con l’italiano a mettere per iscritto quello che lui aveva già scritto in maniera disordinata - ha rammentato Giugno. - Abbiamo assemblato questi foglietti e li abbiamo trascritti. Così sono venuto a conoscenza del suo racconto, mi ricordo del nome di Ingrassia, di Castronovo, un altro nome Di Gregorio o Di Giovanni, non ricordo bene, non sono nomi che conosco”. Quelle “sono dichiarazioni che non so se ha già reso”, ha specificato in un secondo momento il teste. In effetti poco prima lo stesso Siragusa aveva detto di essersi fatto scrivere sul computer da Giugno delle “dichiarazioni che dovevo fare prima delle requisitoria. Ma poi dopo sono arrivate le parole di Lo Iacono”.
Per ultimo è stato ascoltato Salvatore Battaglia, titolare del bar “Bobuccio” di Palermo per il quale Francesco Paolo Lo Iacono "ha lavorato dal 2007 al 2010”. Battaglia è stato convocato in aula perché il neo pentito aveva affermato di aver sentito il boss di Porta Nuova che Battaglia conosce, Gregorio Di Giovanni, gridare "dobbiamo dare una lezione all’avvocato Fragalà” mentre si trovava nell’appartamento di Battaglia, in via San Gregorio, dove Lo Iacono si era recato per ordine di questi per portare un caffè. Il teste ha smentito entrambe le circostanze. Sia che Lo Iacono avesse mai fatto consegne a domicilio, “per quello c'era un ragazzo. - ha spiegato - e di sera non facevamo mai il servizio a domicilio”, sia che all’interno potessero esserci loro, perché in quel periodo l’appartamento in questione era stato dato in affitto da Battaglia ad una famiglia che l'hanno tenuto per alcuni anni. Ma il contratto è stato fatto in nero e non registrato dunque non è possibile avere riscontro delle parole del testimone.

Niente confronto
Questa mattina si è tenuta l’altra udienza. In programma rimaneva da chiarire se si sarebbe dovuto tenere il confronto che le parti avevano chiesto alla Corte tra Francesco Paolo Lo Iacono e Antonino Siragusa. Stamani, però, le rispettive difese hanno detto di rinunciare. L’udienza è stata rinviata al 9 gennaio 2020.

Fonte: palermo.meridionews.it

Foto originale © Imagoeconomica

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