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di Davide de Bari
Saltano le deposizioni dei pentiti Messina e Siino

E’ ripreso, dopo la pausa estiva, il processo davanti la Corte d’Assise di Caltanissetta, presieduta da Roberta Serio, che vede come imputato il superlatitante trapanese Matteo Messina Denaro. La primula rossa, già condannata per gli attentati del 1993, viene accusato di essere il mandante anche per quelle del 1992 che hanno portato alla morte dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Nell’udienza di ieri dovevano essere sentiti i collaboratori di giustizia Leonardo Messina e l’"ex ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra”, Angelo Siino. Come già noto in altri processi, Messina si è reso irreperibile e si trova all’estero. Inoltre, il programma di protezione a suo carico è terminato.
Per quanto riguarda Siino è stato presentato un certificato medico dove si è documentato “l’impossibilità di deporre per gravi condizioni di salute”. Dunque l’unico ad essere sentito è stato il collaboratore di giustizia, Calogero Ganci, ex membro dello "squadrone della morte" al servizio dei corleonesi. Il pentito, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Gabriele Paci, ha spiegato di aver “solo sentito parlare di Matteo Messina Denaro e di sapere che “era solo un uomo d’onore”. Diversamente aveva conosciuto il padre del super latitante che si incontrava direttamente con Salvatore Riina. Il teste ha poi parlato anche di un'altra figura di spicco del territorio trapanese, il boss Mariano Agate: “Era vicino a Riina. E mi ricordo che una volta ho accompagnato Provenzano nel trapanese per incontrare Mariano Agate ed altre persone vicine a lui nei primi anni ’80”. Per quanto concerne i rapporti sull’asse Trapani-Palermo il collaboratore ha poi raccontato di un omicidio, negli anni Ottanta, di un ragazzo che frequentava l’Università a Palermo, ma che arrivava dal trapanese. “E’ un omicidio commesso da noi della Noce - ha detto - Non mi ricordo il motivo per cui è stato ucciso, ma abbiamo avuto solo il mandato. Ci fu un incontro con Riina nel trapanese visto che il ragazzo era di quelle zone”. E qui che il pm ha ripreso un verbale reso da Ganci nel processo per le stragi continentali: “Ci fu una volta, ma non ero sicuro se era, Matteo Messina Denaro venne a Palermo per rintracciare uno del suo paese e per non farlo uccidere nelle sue zone ci chiese il favore a noi. Riina disse vedi di organizzarti e interessati di questo omicidio, che fu fatto ed era un ragazzo che lavorava al Policlinico”. Circostanza confermata dal teste.
Su sollecitazione del pm, il teste ha poi parlato della figura del commercialista Pietro Di Miceli, finito sotto processo per presunti rapporti con la famiglia Ganci e poi assolto con formula piena: “Mio padre con Scaglione andavano nello studio del commercialista in via Libertà per avere notizie. Lui era una persona che aveva rapporti con il Tribunale di Palermo”. Secondo il collaboratore il rapporto tra la famiglia della Noce e il commercialista, in particolare con il fratello Domenico, tanto “che passava a trovarlo in macelleria”, si protrasse fino agli inizi degli anni ’90.
Ganci ha raccontato di quando si trovò a criticare, con suo padre Raffaele, la strategia stragista messa in atto negli anni ’90 da Riina. “Dopo le stragi, anche quelle continentali, dissi a mio padre in un momento di confidenza, che queste stragi non c’entravano niente con Cosa nostra. - ha detto - Lui allargò le mani e non mi disse nulla. Anche lui era diventato succube di un cervello stragista”. In conclusione, nel corso dell’esame il collaboratore di giustizia ha anche confermato l’esistenza di rapporti tra Cosa nostra e ’Ndrangheta: “Sentivo nominare da mio padre e Riina la famiglia Piromalli. Erano delle persone su cui Cosa nostra faceva affidamento”.
L’udienza è stata rinviata ad oggi in cui è stato ascoltato Paolo Bellini.

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