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di Aaron Pettinari - Pdf
Nelle altre province è sempre “pax" in nome degli affari

All'interno di Cosa nostra il boss trapanese, Matteo Messina Denaro, viene descritto come "il principale latitante di Cosa nostra". Anche dell'influenza della primula rossa nelle dinamiche criminali parla la relazione semestrale della Dia, pubblicata lo scorso 19 luglio. "Al di là della carica formale ricoperta in Cosa nostra quale capo mandamento di Castelvetrano e rappresentante provinciale di Trapani, - scrivono gli analisti - lo stesso impersona ancora la figura criminale più carismatica, in libertà, dell’organizzazione mafiosa trapanese. Il latitante continua, inoltre, ad essere il principale punto di riferimento, per il tramite dei familiari, per le questioni di maggiore interesse dell’organizzazione, per dirimere controversie, ricomporre dissidi, stemperare critiche, moderare perplessità e ambizioni o per nominare i vertici delle diverse articolazioni mafiose della provincia". Parlando della latitanza, che si protrae dal 1993, si sottolinea come la stessa sia possibile grazie "a un'estesa rete di complici e favoreggiatori e a una cospicua disponibilità di mezzi e di risorse economico-finanziarie".
Guardando alla Provincia di Trapani, secondo la Dia, per determinare equilibri, dinamiche ed assetti si deve tenere conto degli effetti delle periodiche scarcerazioni, per fine pena, di mafiosi detenuti. "Al riguardo - c’è scritto nella relazione - di particolare rilievo, le scarcerazioni del fratello e di un cognato di Matteo Messina Denaro, che potrebbero andare a ricoprire i vuoti creati nelle fila dell’organizzazione mafiosa castelvetranese conseguenti agli arresti effettuati nell’aprile 2018, nell’ambito dell’operazione 'Anno zero'".
Secondo la Dia "per quanto l’organizzazione mafiosa trapanese sia caratterizzata da una diffusa e sentita fedeltà nei confronti della figura del citato latitante, recenti risultanze investigative continuano a documentare anche dei segnali di malcontento. E ciò sia da parte di alcuni affiliati insofferenti nei riguardi di un’egemonia troppo prolungata ed ingombrante, sia da parte di altri sodali che, invece, all’opposto, lamentano una gestione di comando troppo impegnata a curare una sempre più problematica latitanza, a discapito di una presenza e di un’attività di direzione sul territorio più pregnanti". Inoltre si parla anche di una componente di soggetti "semplicemente interessati ad allontanare la sempre più pressante attenzione istituzionale e mediatica legata alla cattura del latitante, che ostacola la realizzazione dei propri lucrosi business criminali".
Guardando agli interessi della mafia trapanese la relazione rappresenta come questa ha saputo infiltrarsi anche nella grande distribuzione alimentare, nell’ambito turistico alberghiero, nei lavori connessi alla realizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, nelle scommesse e nel gioco on line, nella grande industria manifatturiera e negli investimenti immobiliari, realizzati anche attraverso la partecipazione alle aste giudiziarie. "Da rilevare - scrivono nella relazione - poi, il forte interesse ad accedere ai finanziamenti pubblici, siano essi regionali, statali, che comunitari".
Guardando al contesto socio-economico il condizionamento mafioso è possibile anche "avvalendosi della collaborazione di professionisti, imprenditori e soggetti insospettabili collusi, che non esitano a porsi a disposizione dell’organizzazione, in un rapporto di reciproco interesse e vantaggio. Una caratteristica non nuova - è scritto - atteso che, storicamente, la mafia trapanese si caratterizza per una forte propensione imprenditoriale".


agrigento rapp dia 2 2018


La mafia di Agrigento in continuo rinnovamento
Per quanto riguarda la Provincia di Agrigento si sottolinea come vi sia "una notevole potenzialità criminale, grazie ad un pregnante controllo del territorio e ad una significativa capacità d’infiltrazione e di condizionamento del tessuto economico, sociale e amministrativo da parte di Cosa Nostra". Cosa nostra agrigentina, in particolare, "si distingue per una rilevante capacità di ricostituire e rimodulare velocemente i gruppi operativi e le famiglie". Infatti "emerge nella provincia un riassetto interno all’organizzazione mafiosa perché imposto principalmente dalle più recenti attività investigative, con le quali sono state - spiega la Dia - tratte in arresto figure apicali, ancora detenute. In particolare ciò è avvenuto, oltre che con l’importante operazione 'Montagna' del gennaio 2018 (che ha documentato la rimodulazione organizzativa nell’entroterra montano della provincia con la formazione di una nuova articolazione mafiosa denominata, per l’appunto, mandamento della Montagna), anche con l’ultima operazione di contrasto al crimine organizzato, che ha colpito il vertice del mandamento del Belice. I disegni di composizione e ricomposizione di famiglie e mandamenti ed i progetti affaristico-criminali sono influenzati anche dalle scarcerazioni di affiliati, in particolar modo se già detentori di ruoli apicali in seno all’organizzazione mafiosa. Quest’ultimi, dopo aver scontato la pena, hanno infatti interesse a riprendere appieno le pregresse posizioni di potere, generando così, in taluni casi, frizioni sia nel territorio di appartenenza che in quelli limitrofi. In tale ambito si segnalano, nel periodo in esame, le scarcerazioni di soggetti, anche con ruoli di vertice, appartenenti alle famiglie di Menfi, Santa Margherita Belice e Santa Elisabetta". Inoltre gli analisti riferiscono che "la vicinanza con la provincia trapanese e i legami tra componenti agrigentine e soggetti vicini al latitante Messina Denaro concorrono a rendere fluida la situazione di una parte degli assetti territoriali mafiosi e della loro governance di vertice. In generale, comunque, la mafia agrigentina si connota per una significativa capacità di interazione con le consorterie mafiose delle altre province dell’isola - confermando così la struttura unitaria di Cosa Nostra - e le realtà criminali di altre regioni".
Nel dettaglio la Dia specifica, tra le altre cose, che: “Cosa Nostra agrigentina continua a condizionare anche l’attività politico-amministrativa cercando sempre più di controllare o orientare l’azione amministrativa degli enti territoriali in modo funzionale alle logiche del potere mafioso. Ne consegue che l’azione delle amministrazioni locali è sempre particolarmente esposta al concreto pericolo di condizionamento mafioso, attraverso pressioni e azioni che sono esercitate in più fasi sia sul corpo elettorale che sugli stessi amministratori. Il corpo elettorale si trova, infatti, a dover fronteggiare le ‘lusinghe’ delle consorterie mafiose al fine di condizionarne il voto e di imporre candidati collusi; gli amministratori locali sono poi esposti al tradizionale potere intimidatorio mafioso, sempre più associato o sostituito, almeno in parte, dalla corruttela. Il tutto per ottenere una ampia gamma di ‘favori’, come l’affidamento di lavori e di servizi, l’aggiudicazione di appalti, la concessione di autorizzazioni, di licenze, di varianti urbanistiche, l’omissione di controlli, il conferimento di incarichi vari e assunzioni di vario genere. E’ evidente come tali attività risultino funzionali, oltre che ad ottenere illeciti profitti, anche a mantenere un vasto sistema clientelare”.
Particolarmente significativo il passaggio che riguarda le energie alternative: “Importante settore economico, di interesse per la criminalità organizzata che si aggiunge alle tradizionali attività del movimento terra, della produzione di calcestruzzo e del cemento, dell’agricoltura e della distribuzione alimentare. La provincia di Agrigento risulta la seconda dell’isola per numero di installazioni ed energia prodotta, preceduta solo dalla provincia di Catania”.
Nel panorama mafioso agrigentino la Dia segnala anche la presenza della Stidda. Rispetto al passato si parla di coesistenza con Cosa nostra con un'influenza che viene esercitata nelle aree di Palma di Montechiaro, Porto Empedocle, Naro, Favara, Canicattì, Campobello di Licata, Camastra e Bivona.


caltanissetta rapp dia 2 2018


A Caltanissetta resta la pressione
Nonostante le consorterie abbiano da tempo individuato nella limitazione degli episodi cruenti il mezzo più efficace per perseguire i propri affari illeciti, la pressione mafiosa sul territorio nisseno continua ad essere percepita dalla popolazione. Il sintomo più evidente di tale tensione viene dal rilevante numero dei danneggiamenti, una cui significativa quota è rappresentata dagli incendi ad esercizi commerciali, abitazioni ed autovetture. La conseguenza è senza dubbio una significativa limitazione del potenziale di sviluppo del territorio, in cui si assiste a condizioni di monopolio in alcuni settori imprenditoriali, al controllo illecito della manodopera e alla concorrenza sleale in danno delle attività non riferite o collegate ai sodalizi mafiosi. La mancata valorizzazione delle risorse che pure esistono sul territorio, ad esempio in campo agricolo o nell’artigianato, senza dimenticare le potenzialità del porto di Gela, a tutt’oggi non pienamente sviluppate, fanno sì che la provincia si posizioni ai gradini più bassi nella classifica della “qualità della vita” stilata da “Il Sole 24 ore”. Secondo gli analisti "la pressione mafiosa esercitata su Caltanissetta e sul suo territorio provinciale contribuisce a limitarne la crescita socio-economica ed impedisce lo sviluppo della libera concorrenza necessaria all’affermazione di imprese sane. Si innesta, quindi, un circolo vizioso nel quale i fenomeni criminali instauratisi a causa dell’assenza di opportunità, contribuiscono poi a limitare ulteriormente le possibilità di sviluppo. Le consorterie nissene, infatti, sono storicamente interessate a tentare di infiltrare gli appalti pubblici e mediante gli stessi a trarre vantaggio dalla realizzazione delle opere di edilizia (strade, edifici pubblici, infrastrutture varie), ad accaparrarsi servizi, quali ad esempio quello dello smaltimento dei rifiuti, a controllare i mercati ortofrutticoli ed il trasporto delle merci: ciò spesso anche grazie alla complicità ed all’acquiescenza di amministratori e funzionari pubblici degli Enti locali, nonché di professionisti in grado di operare nel complesso sistema fiscale, contributivo e delle autorizzazioni".
Il territorio si divide tra le famiglie dei quattro mandamenti storici della provincia secondo una consolidata ripartizione geografica dove al vertice ancora resiste l’autorevolezza dei Madonia, il cui anziano boss era strettamente legato all’ala corleonese di Cosa nostra. Più variegata appare la parte meridionale della provincia che vede, oltre a due mandamenti composti da storiche famiglie di Cosa nostra, anche la presenza di associazioni mafiose di più recente costituzione. "Di queste - spiega la Dia - la Stidda, è nata e si è organizzata negli anni ottanta, mentre l’altra, il cosiddetto gruppo ALFERI, emersa all’attenzione della cronaca da poco più di un decennio, è configurata essenzialmente come una associazione armata finalizzata a commettere delitti di ogni genere, tra cui le estorsioni, i furti e i danneggiamenti".


enna rapp dia 2 2018


La mafia "rurale" di Enna e l'influenza dei Santapaola
Nella provincia di Enna, tipicamente rurale e piuttosto depressa dal punto di vista socio-economico, le consorterie mafiose agiscono secondo le tipiche espressioni criminali di controllo del territorio: estorsioni, spaccio di stupefacenti, corruzione e infiltrazione nell’economia.
La Dia conferma che "la provincia è da sempre oggetto anche delle attenzioni delle consorterie catanesi, che nel tempo sono riuscite a collocarvi propri 'uomini d’onore'. In particolare, un importante uomo di fiducia della famiglia La Rocca e da questa direttamente investito di autorità, operante a Caltagirone (CT), era riuscito a svolgere un ruolo di assoluto rilievo nell’ambito di Cosa nostra ennese prima di essere arrestato e definitivamente condannato nel 2017". Ugualmente nel territorio ennese vi è anche l'influenza della famiglia Santapaola-Ercolano, nonché dell’organizzazione ad essa antagonista, ovvero il clan catanese dei Cappello, che grazie ai contatti di un proprio esponente di spicco con elementi emergenti del sodalizio di Catenanuova (EN), aveva stabilito la propria influenza nella zona.


catania rapp dia 2 2018


Pax a Catania in nome degli affari
Secondo quanto emerge dalla relazione semestrale della Dia a Catania, nonostante le rivalità vi è una forte inclinazione ad evitare contrapposizioni da parte delle famiglie più influenti che avrebbero promosso una sorta di "pax", in nome degli affari.
Nella zona etnea Cosa nostra viene affiancata anche da cosche non accreditate a Palermo, il che permette alle famiglie mafiose di accrescere potere e forza militare.
Le ultime inchieste hanno anche mostrato come il controllo militare sul territorio viene sviluppato anche investendo in affari come quello delle scommesse, così come emerso in "Gaming offline" e "RevoluzionBet", indagini che hanno colpito duramente il clan Cappello e anche svelato la rete di interessi nel comune di Misterbianco dove il vicesindaco Carmelo Santapaola ha dovuto rassegnare le dimissioni.
Ovviamente non si può pensare alla mafia catanese senza fare riferimento alle due famiglie dei Santapaola-Ercolano e dei Mazzei, senza dimenticare i La Rocca di Caltagirone (storicamente più ‘anziani’ della famiglia di Catania). La ‘governance’ è quella tradizionale a piramide, c’è il reggente a piede libero e poi i vari responsabili dei gruppi (o delle squadre) e poi gregari e soldati. Anche in questo caso si evidenzia come il carcere non basta, alcune volte, a fermare la linea di comando. Scrive la Dia che “nonostante i continui arresti ed il fatto che i vertici della famiglia Santapaola-Ercolano si trovino attualmente in stato di detenzione (alcuni dei quali al 41 bis) il sodalizio continua ad esercitare la propria autorità”.
Secondo gli inquirenti i Mazzei, invece, avrebbero allargato il proprio dominio fuori da via Belfiore a San Cristoforo nel cuore di Catania. Sarebbero arrivati “anche al di là dei confini etnei; si rilevano, infatti, propaggini della consorteria nel ragusano, ed in particolare nella cittadina di Scicli (RG), rappresentate da un sodalizio alleato riconducibile ai Mormina”.
Ad ogni blitz cambiano i confini di influenza delle famiglie. Così tra quelle emergenti vi sono i Nizza, che hanno approfittato degli arresti tra i Cappello-Bonaccorsi che però si sono allargati verso Messina ed Enna, in particolare “nel circondario del comune di Catenanuova, grazie ad alleanze con 'uomini d’onore' locali”.
Altro gruppo criminale storico è quello dei Laudani, che hanno dimostrato doti criminali di elevato spessore. Capaci di estendere le proprie attività economiche in Lombardia, come dimostra il processo Security in corso tra Catania e Milano. E i Mussi i Ficurinia avrebbero anche doti per “infiltrarsi nel tessuto politico-amministrativo e di acquisire illecitamente consensi elettorali”.
La Dia segnala anche il ritorno dei Pillera che negli ultimi tempi erano rimasti "dietro le quinte". Diversamente gli Sciuto-Tigna ormai sono praticamente spariti. Negli anni i boss di maggiore calibro si sono staccati dalla cosca che portava il nome di Pippo Sciuto. Il più pericoloso è Orazio Privitera, pilu russu, re mafioso della Piana di Catania, che un decennio fa aveva stretto un'alleanza mafiosa con Iano Lo Giudice, reggente dei Carateddi.
Sempre gli analisti segnalano come alcuni esponenti dei Cursoti ‘milanesi’, specializzati in droga, sembrano aver scelto di diventare parte integrata del clan Cappello.

Affare droga
Particolarmente florido è il mercato della droga che permette ai clan di avere elevata liquidità ma sono le infiltrazioni nell’economia legale a preoccupare. Scrive la Dia che "è opportuno evidenziare le potenzialità della zona etnea dal punto di vista economico-imprenditoriale. Ciò anche in considerazione della concentrazione, nell’area, di imprese ad elevato valore tecnologico, tale da aver fatto emergere in passato l’appellativo di 'Etna Valley'. Ma nonostante la vivacità industriale c’è il veleno della mafia a far paura". “Le Istituzioni rilevano come, tuttavia, la presenza invasiva e capillare della criminalità organizzata limiti il pieno sviluppo delle reali potenzialità dell’intera Regione, e della provincia etnea in particolare, inquinando le procedure degli appalti pubblici e scoraggiando gli investimenti dei privati”.


siracusa rapp dia 2 2018

A Siracusa le mafie favorite dalla crisi
Così come veniva evidenziato nella Provincia di Caltanissetta anche a Siracusa la Dia sottolinea come "le attuali difficoltà congiunturali dell’economia sono ulteriormente aggravate dalla costante propensione della criminalità organizzata a permeare i diversi ambiti socio-economici e produttivi della provincia. Si innesta, pertanto, anche in quest’area, una spirale negativa, costituita dal fatto che i fenomeni criminali, generatisi a causa della generale mancanza di opportunità, contribuiscono a loro volta a inibire fortemente le pur presenti potenzialità di sviluppo“.
Anche in questo caso viene rappresentata la linea di "basso profilo" seguita dall'organizzazione mafiosa per continuare a gestire in maniera redditizia le varie attività illecite.
Più nel dettaglio, nella città di Siracusa insistono due organizzazioni criminali, una delle quali legata alla consorteria dei Cappello di Catania e la seconda riferita a Cosa nostra catanese, denominate, rispettivamente, Bottaro - Attanasio (particolarmente attiva nello spaccio di stupefacenti e nelle estorsioni) e Santa Panagia. Quest’ultima rappresenta la frangia “cittadina” del più ramificato gruppo di famiglie Nardo - Aparo - Trigilia, a sua volta legato alla famiglia catanese dei Santapaola - Ercolano. Nonostante le attività investigative abbiano condotto alla detenzione di numerosi esponenti di rilievo dei gruppi criminali, si registrano ancora segnali di operatività delle consorterie.
Nei territori di Cassibile e Pachino operano, rispettivamente, il gruppo Linguanti (rappresentante in quella fascia di territorio di una filiazione dei Trigila) e il clan Giuliano, dedito principalmente, ma non esclusivamente, al traffico di stupefacenti e legato ai Cappello di Catania. In relazione a quest’ultimo sodalizio aretuseo, l’operazione “Araba fenice” ha evidenziato la ritrovata vitalità e in particolare la presenza attiva nella zona sud della provincia, compresa tra i comuni di Pachino e Portopalo di Capo Passero.
Con riguardo alle principali manifestazioni economico-criminali della provincia, il traffico e lo spaccio di stupefacenti, nonché le estorsioni, costituiscono, come già evidenziato, ancora oggi i principali canali di finanziamento.
Per quanto concerne le estorsioni, spesso direttamente collegate all’usura, anche per la provincia di Siracusa il fenomeno sembra rappresenti ancora la manifestazione delittuosa più ricorrente, condotta sia ad opera della criminalità comune che di quella organizzata.


ragusa rapp dia 2 2018


Ortofrutta e Droga, gli interessi dei clan a Ragusa
Per quanto riguarda la provincia di Ragusa la Dia segnala una certa continuità con quanto segnalato nei semestri precedenti. Qui convivono gruppi riconducibili sia a Cosa nostra che alla Stidda gelese, organizzazione quest’ultima che, nonostante la forte azione repressiva delle Forze di polizia, è riuscita a riposizionarsi sul territorio. Gli interessi criminali gravitano principalmente attorno a due mercati: quello ortofrutticolo e quello degli stupefacenti. Il gruppo stiddaro di maggior rilievo è quello dei Dominante - Carobonaro, il cui capo storico, attualmente detenuto, sarebbe stato sostituito da altri personaggi dotati di notevole spessore criminale, come emerso dall’operazione “Survivors” (15 settembre 2017, Vittoria) della Polizia di Stato e dell’Arma dei carabinieri che, nel mese di settembre, ha fatto luce su un’associazione di tipo mafioso dedita, tra l’altro, alle estorsioni in danno di commercianti.
Tra le consorterie legate a Cosa nostra vi sono "la famiglia Piscopo di Vittoria, legata a quella nissena degli Emmanuello, anche se sembrerebbe soffrire della mancanza di figure di forte carisma criminale e di una limitata capacità operativa, conseguente alla intervenuta reclusione della maggioranza degli affiliati".
Le consorterie legate ai catanesi evidenziano, invece, "una più incisiva operatività nel traffico di stupefacenti, posta in essere anche con il coinvolgimento di soggetti di altre nazionalità. I catanesi hanno un legame in provincia a Scicli, grazie ai Mormina affiliati al clan Mazzei di Catania".
Secondo gli inquirenti, per quanto riguarda gli affari, la Stidda, sarebbe più interessata al settore agroalimentare, anche in ragione dell’importanza che riveste, sul piano nazionale, il mercato ortofrutticolo di Vittoria, strategico al pari di quelli di Fondi (LT) e di Milano. "In quest’ambito, tutta la filiera della preparazione e lavorazione delle derrate alimentari, con l’indotto che vi gravita intorno, è oggetto delle mire dei sodalizi criminali. Se nel primo semestre del 2017 era emerso lo stretto controllo sull’autotrasporto delle derrate, mediante la diffusa pratica del racket ai danni degli autotrasportatori, nel periodo si sono registrati casi di estorsione nei confronti dei commercianti del settore ortofrutticolo".


messina rapp dia 2 2018


A Messina l'intreccio tra Cosa nostra palermitana, etnea e la 'Ndrangheta
Il territorio della provincia di Messina, punto di incontro tra la Sicilia ed il “continente”, è particolarmente complesso.
"La particolare posizione geografica - scrive la Dia - che rende la provincia in esame crocevia di rapporti ed alleanze, costituisce il punto di forza della criminalità messinese, attribuendo alla stessa la possibilità di confrontarsi e rapportarsi tanto con Cosa nostra palermitana che con Cosa nostra catanese e la ‘ndrangheta. La propensione a relazionarsi con le organizzazioni delle province confinanti e con quelle che esistono oltre lo stretto, rende le consorterie messinesi dotate della flessibilità necessaria per riorganizzare, all’occorrenza, i propri assetti interni ed adattare organizzazione ed operatività alle diverse realtà emergenti".
Infatti "rimangono consolidate oltre alle contiguità con le cosche calabresi appena al di là dello 'stretto', le influenze - o più correttamente le 'intrusioni' criminali delle province limitrofe: ad esempio, nei comuni vicini alla provincia di Palermo, il “mandamento' di San Mauro Castelverde (PA) sconfina nel comprensorio messinese".
Era già emerso nel precedente semestre, grazie all'attività investigativa denominata “Beta”, che non vi erano solo legami con la criminalità etnea ma anche "la presenza - sul territorio urbano - di una cellula costituente una proiezione di Cosa nostra catanese (denominata Romeo-Santapaola) diretta emanazione della nota famiglia Santapaola-Ercolano". Scrive ancora la Dia che "l’influenza della consorteria etnea si è manifestata con una netta e indiscussa preminenza sui sodalizi locali che tendono a non contrastarla". Guardando alla cosiddetta zona “nebroidea”, balzata all’attenzione nazionale, nel recente passato, per gli illeciti interessi palesati dalle consorterie mafiose nell’ambito del settore agro-pastorale, in quanto finalizzate all’accaparramento di finanziamenti regionali comunitari e locali, si evidenzia che attualmente, anche in forza del “Protocollo di legalità” promosso dalla Prefettura di Messina, "la concessione dei fondi e l’erogazione dei finanziamenti sono sottoposte a controlli preventivi antimafia particolarmente stringenti". La presenza dei "catanesi", comunque, nella città di Messina non avrebbe alterato gli equilibri interni di gruppi cittadini che evitano situazioni di belligeranza. "L’agglomerato urbano - specifica la Dia - è così ripartito: nella zona sud domina il gruppo criminale Spartà, radicato soprattutto nel quartiere “Santa Lucia sopra Contesse” e nella frazione Santa Margherita; la zona centro (quartiere “Provinciale”) è sottoposto al controllo del gruppo Lo Duca; il quartiere “Camaro” vede ancora la pervasiva presenza del clan Ventura e dei suoi sodali; nel quartiere “Mangialupi” opera l’omonimo clan caratterizzato da cellule di tipo familistico risalenti alle famiglie Trovato, Aspri, Trischitta e Cutè; nella zona nord, infine, insiste, entro il quartiere “Giostra”, il gruppo criminale facente capo ai Galli. In particolare, nella vasta area che abbraccia i Monti Nebrodi, limitrofa alla provincia di Palermo, si riscontra, non a caso, l’influenza di Cosa nostra palermitana, mentre nella fascia tirrenica le attività investigative continuano a confermare l’egemonia dei “barcellonesi”. Quest’ultimi hanno assunto, nel tempo, una strutturazione e metodi operativi del tutto omologhi a quelli di Cosa nostra palermitana, sebbene vengano intrattenuti, per la gestione degli affari illeciti, rapporti costanti anche con le consorterie catanesi. La fascia jonica, che si estende dalla periferia sud della città di Messina al confine con la provincia di Catania, è un’area connotata dalla rilevante influenza di Cosa nostra catanese, facente capo sia alla famiglia Santapaola Ercolano sia ai clan Laudani e Cappello, che si avvalgono di referenti locali".


sicilia rapp dia 2 2018 int2


"Anche in provincia di Messina - aggiungono gli investigatori - la criminalità organizzata influisce significativamente sul tessuto economico-sociale, attraverso diverse attività criminali quali le estorsioni e l’usura - spesso tra loro connesse -, il traffico di stupefacenti, le corse clandestine di cavalli, l’accaparramento di fondi agricoli allo scopo di accedere ai finanziamenti". Per quanto concerne il territorio compreso tra i comuni di Mistretta (ME), Reitano (ME), Santo Stefano di Camastra (ME), Capizzi (ME) e Caronia (ME), la dia sottolinea come lo stesso è inquadrato nel mandamento mafioso di San Mauro Castelverde (PA).
Per quanto riguarda l’organigramma dei “barcellonesi”, particolarmente in ascesa, questo si compone di gruppi, ciascuno con distinte competenze territoriali. "Vi è il gruppo dei Barcellonesi, dei Mazzarotti, di Milazzo e di Terme Vigliatore, con propri riconosciuti esponenti di vertice. In particolare: la famiglia Santapaola Ercolano continua ad esercitare la propria influenza nella valle dell’Alcantara e sui comuni di Giardini Naxos, Taormina, Letojanni, Gaggi, Francavilla di Sicilia, Malvagna e Castiglione di Sicilia; il clan Laudani ha esteso la sua influenza sui comuni di Malvagna, Moio Alcantara, Giardini Naxos, Roccella Valdemone e Taormina; il clan Cappello risulta esercitare la propria influenza nei comuni di Taormina, Gaggi, Francavilla di Sicilia, Malvagna, Letojanni e Giardini Naxos".
Per quanto riguarda le attività estorsive, la relazione evidenzia l’importante filone di indagini denominato “Gotha”, ad oggi giunto alla settima tranche, che "ha fatto piena luce su decine di episodi estorsivi verificatisi nell’area tirrenica della provincia di Messina, in un esteso arco temporale, individuandone mandanti ed esecutori materiali. E' stato, anche, definitivamente accertato come il sodalizio mafioso dei 'barcellonesi' non rappresenti un’associazione criminale occasionale, ma una organizzazione strutturata che si basa, come avviene nelle province di Palermo e Catania, su scrupolose competenze territoriali ripartite tra i gruppi che la compongono, capaci di riorganizzare i propri assetti interni nonostante le ripetute azioni investigative succedutesi nel tempo".

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