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di AMDuemila
Incassavano fondi europei per la gestione di aziende agricole

E' stata denominata operazione "Terre emerse" quella che questa mattina ha visto coinvolti i finanzieri del Gico del Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Caltanissetta, in collaborazione con il Servizio centrale investigazioni sulla criminalità organizzata, coordinati dai sostituti procuratori di Caltanissetta Pasquale Pacifico, Nadia Caruso e dall’aggiunto Gabriele Paci, per eseguire 12 misure cautelari. Il provvedimento, firmato dal gip di Caltanissetta, ha portato all'arresto e al sequestro di beni nei confronti di esponenti mafiosi delle province di Enna e Palermo coinvolti nella gestione di terreni agricoli. Tra gli arrestati figurano alcuni appartenenti e altri fiancheggiatori di Cosa nostra, accusati di aver gestito terreni del parco delle Madonie e di quello dei Nebrodi per conto della Mafia ricevendo anche finanziamenti comunitari per la gestione di imprese agricole riconducibili a Cosa nostra. Contestualmente è stato dunque disposto il sequestro di immobili, aziende, beni e disponibilità finanziarie per un valore di circa 7 milioni di euro. I dettagli dell'operazione saranno resi noti in una conferenza stampa prevista per le ore 11 presso la Procura della Repubblica di Caltanissetta, alla presenza del Procuratore Capo, dei pm titolari delle indagini, del Comandante Provinciale della Guardia di Finanza e del Comandante del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Caltanissetta.

L’operazione
I finanzieri del Gico del nucleo di Polizia economico-finanziaria di Caltanissetta, in collaborazione con lo Scico di Roma, sono riusciti a scoprire quello che si è rivelato essere un “sistema illecito” di gestione dei terreni e contributi agricoli nella zona delle Madonie e dei Nebrodi. L’indaginee trae origine, si apprende, dal blitz 'Nibelunghi', condotto sempre dai finanzieri del Gico di Caltanissetta tra il maggio 2017 e il gennaio 2018. Al centro del sistema scoperto dalle Fiamme gialle operava la famiglia Di Dio, originaria di Capizzi, nel Messinese, ma stabilitasi nella provincia di Enna. Nei loro confronti (tutti destinatari di ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere) è stato contestato il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa con riferimento ai "rapporti con numerosi esponenti di famiglie mafiose, tra cui quella dei fratelli Virga, inserita nel mandamento di San Mauro Castelverde”. Proprio i Di Dio, secondo le indagini, "si sono dimostrati particolarmente attivi nel settore delle agromafie" in quanto avrebbero agevolato Cosa nostra, determinando "un significativo incremento del potere di infiltrazione in attività economiche collegate allo sfruttamento di vaste aree agricole nel Parco delle Madonie, a Capizzi e nella provincia di Enna". I contributi comunitari ottenuti venivano in parte versati, per l'ottenimento di contributi comunitari sarebbero poi in parte stati versati proprio a elementi di vertice del gruppo mafioso, fornendo, sottolineano gli inquirenti, "un indispensabile apporto, anche economico, al mantenimento e al rafforzamento di Cosa nostra". Gli indagati utilizzavano aziende agricole intestate a loro o a loro stretti congiunti per stipulare contratti fittizi di compravendita o di locazione di terreni, in realtà, direttamente riconducibili a soggetti mafiosi, consentendo "mediante questo meccanismo di interposizione fittizia, di dissimulare l'effettiva disponibilità dei cespiti in capo ai coindagati al fine di sottrarli alla possibile emissione di provvedimenti di sequestro o a misure di prevenzione patrimoniali". I terreni e le aziende sarebbero stati così utilizzati per presentare domande per i contributi comunitari, usando anche aree di proprietà demaniale. Un ruolo significativo all’interno dell’organizzazione, era quello ricoperto dai fratelli Rodolfo e Domenico Virga di Gangi, che condividono un legame di sangue con storiche famiglie mafiose di Palermo. Grazie al loro contributo riuscivano a mantenere la gestione di terreni e imprese agricole con fittizie locazioni, in capo sia ai Di Dio sia a prestanome. Le indagini hanno inoltre consentito “di verificare - ha detto il procuratore di Caltanissetta Amedeo Bertone - che c’è una difficoltà nello svolgimento dei controlli e la Mafia ne approfitta”. Sul punto ha dato un proprio commento anche Giuseppe Antoci, ex Presidente del Parco dei Nebrodi e Presidente Onorario della Fondazione Nazionale Caponnetto, scampato ad un attentato mafioso nel maggio 2016 proprio a causa del suo impegno sul fronte dei Fondi Europei in mano alle mafie. “Sono centinai di migliaia di euro i fondi europei per l'agricoltura finiti nelle casse delle famiglie mafiose e anche oggi, grazie alla Distrettuale Antimafia di Caltanissetta e alla Guardia di Finanza, un altro duro colpo viene inferto alla mafia proprio su questo fronte

Foto © Imagoeconomica

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