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di AMDuemila
Arrestati i figli del boss Stefano Fontana, accusati di essere ai vertici dell’organizzazione

Cosa nostra faceva ingenti affari nella produzione e distribuzione di caffè tra Milano e Palermo. Questo è ciò che sono riusciti a scoprire i finanzieri del Nucleo di Polizia economico-finanziario di Palermo, in collaborazione con lo Scico di Roma, che la scorsa notte hanno arrestato sei persone accusate a vario titolo di riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, trasferimento fraudolento di valori, tutti con l’aggravante mafiosa. Tra gli arrestati ci sono i figli del boss di Cosa nostra deceduto nel 2012 Stefano Fontana, Rita (31 anni) e Giovanni (40 anni) i quali erano riusciti a mettere in piedi un’organizzazione finalizzata a gestire il cospicuo tesoro del clan dell’Acquasanta, da sempre vicino a Totò Riina. In particolare i due fratelli investivano i soldi del clan in due società palermitane, entrambe sequestrate e valutate 1,5 mln di euro, che si occupano di caffè, la “Masai caffè srl” e la “Cafè Moka special di Pensavecchia Gaetano e c. snc”. I figli del boss e i loro complici (Gaetano Pensavecchia, 58 anni, Filippo Lo Bianco, 55 anni, Michele Ferrante, 36 anni, e Domenico Passarello, 43 anni) avrebbero imposto le forniture di caffè e stabilito nel cuore di Milano una sorta di centrale degli investimenti. Nello specifico Giovanni Fontana avrebbe curato personalmente l'investimento, motivo per il quale da Milano spesso si recava a Palermo, salvo poi delegare alla sorella Rita la riscossione del denaro mensilmente dovuto. A sovrintendere a tale attività ci sarebbe stato Michele Ferrante, che in più occasioni si sarebbe impegnato a riscuotere le "mesate", mentre Filippo Lo Bianco, contabile della società, garantiva la 'correttezza' dei conti. Una volta accumulati ingenti debiti, l'azienda è poi stata posta in liquidazione per continuare l'attività con un'altra società di capitali. Entrambe le aziende sottoposte a sequestro erano imprese "a partecipazione mafiosa”, nel cui ambito l’impreditore del caffè Gaetano Pensavecchia ha intrattenuto "uno stabile rapporto di convivenza", giacchè consapevole del fatto che i Fontana, come affermava nelle conversazioni intercettate, sarebbero rimasti "sempre soci" anche dopo la restituzione del capitale iniziale investito. Sempre nel corso di una conversazione intercettata, inoltre, l’imprenditore diceva che "la maledizione è che siamo in società con questi", e si mostrava assai timoroso della possibilità che i cosiddetti "spioni" (ovvero i collaboratori di giustizia) potessero parlare della sua attività illecita, senza che egli potesse avere "una cosa sopra quale prestanome". In un’altra occasione in cui venne intercettato, infine, dimostrava di essere perfettamente inserito nella logica mafiosa che ancora permea un certo “substrato sociale” del territorio, tanto da spiegare che ancora oggi a Palermo “ogni zona ha il suo parrino”, nonché mostrando la disponibilità a contribuire nonostante fosse conscio della “natura mafiosa” dell’azienda. Le indagini, coordinate dalla locale Procura della Repubblica - Direzione Distrettuale Antimafia, in forza di un provvedimento emesso dal Tribunale di Palermo, Sezione del Giudice per le Indagini Preliminari, sono scattate a seguito delle dichiarazioni rilasciate dai collaboratori di giustizia Vito Galatolo e Silvio Guerrera, circa le attività di riciclaggio e reimpiego poste in essere dalla famiglia mafiosa dell’Acquasanta - Arenella. Famiglia mafiosa, questa, il cui ruolo nel tempo si è rivelato cruciale negli assetti di Cosa nostra palermitana, alleandosi con i Madonia di Resuttana e con Salvatore Biondo di San Lorenzo, nonché investendo gli enormi proventi accumulati con il traffico degli stupefacenti nel settore dell'edilizia privata e nel controllo capillare e occulto dei subappalti ai Cantieri navali di Palermo. Le attività hanno consentito di accertare come i Fontana "continuino a esercitare un importante controllo sulle attività economiche della zona". Sembra evidente che, alla luce dell’operazione di stamani e della interdittiva antimafia firmata dal prefetto di Palermo Antonella De Miro per quattro società, il caffè è al momento uno dei business più redditizzi per le cosche.

Foto © Ansa

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