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di AMDuemila
Svelato anche un asse con la famiglia Santapaola-Ecolano

Un clan violento, con solidi legami con la storica 'famiglia' Santapaola-Ercolano di Catania, che non esitava a compiere gesti dimostrativi eclatanti per consolidare il ruolo di gruppo egemone di Cosa nostra nell'Ennese. E' questa la fotografia scattata dall'inchiesta dei carabinieri, denominata "Kaulonia", coordinata dalla Dda della procura di Caltanissetta. Figure di spicco del clan ennese di Pietraperzia erano i fratelli Giovanni e Vincenzo Monachino, inserito nell'elenco dei 21 destinatari del provvedimento restrittivo emesso ieri dal Gip, che ha disposto il carcere per 19 indagati, sei dei quali già detenuti, i domiciliari per uno e la sospensione dallo svolgere l'attività forense per l'avvocato Lucia Fascetto Sivillo, del foro di Enna, che avrebbe agevolato il tentativo di rientrare in possesso di beni pignorati e posti all'asta di un 'associato' al clan, Felice Cannata, che opera nel Nord Italia. Il legame della cosca Monachino con la 'famiglia' Santapaola-Ercolano è confermato da un incontro, avvenuto nel febbraio del 2016, a Catania per la 'messa a posto' di un imprenditore ennese la cui impresa era impegnata nella posa di cavi di fibra ottica nel capoluogo etneo.
Ma agli atti dell'inchiesta, iniziata nel 2015, vi è anche il video di un incontro con esponenti apicali del clan egemone di Catania ripreso dai carabinieri del Ros di Caltanissetta in una masseria nelle campagne dell'entroterra della Sicilia.
Il gruppo avrebbe organizzato e messo in atto l'uccisione di Filippo Giuseppe Marchì, assassinato il 16 luglio del 2017, autista e uomo di fiducia dello storico boss Salvatore Saitta per punire il figlio di quest'ultimo, Giuseppe Saitta, a capo del clan di Barrafranca che non sopportava l'ascesa dei fratelli Monachino.
"L'omicidio di Filippo Marchì, commerciante di auto usate, ucciso la mattina del 16 luglio 2017 a Barrafranca, è collegato a vecchi attriti tra la famiglia di Pietraperzia che fa capo a Giovanni e Vincenzo Monachino e la famiglia di Barrafranca - ha detto il procuratore di Caltanissetta Amedeo Bertone, nel corso della conferenza stampa di ieri - Il movente specifico sulla base dell'attività non si coglie. Certamente Marchì faceva parte di quello che nelle intercettazioni viene definito il 'contropartito'. Cioè in sostanza una fazione che non si allineava a quelle che erano le indicazioni della famiglia di Pietraperzia. In passato questa aggregazione era riconducibile a Salvo Saitta che era stato ucciso nel 1992".
Nel corso della conferenza stampa e' emerso anche il ruolo di vertice della famiglia di Pietraperzia, che riusciva a mantenere rapporti, con la 'ndrangheta e con le famiglie di altri mandamenti nell'ambito della regione. "Il dato più significativo - ha detto Bertone - è quello che riguarda le modalità di riscossione di una estorsione ai danni di un cittadino della provincia di Enna che eseguiva, in ragione dell'appalto vinto, delle attività a Catania. Nelle riunioni si concordavano le modalità di estorsione. Il fatto che personaggi di rilievo di Cosa Nostra di Catania si siano recati a Pietraperzia dà la misura dell'importanza che la famiglia ha acquisito nel territorio".
Anche il comandante del Ros, Pasquale Angelosanto, ha sottolineato il ruolo di primo piano della "famiglia" di Pietraperzia, come dimostra il fatto che avrebbe ospitato le riunioni dei vertici di Cosa Nostra in preparazione delle stragi del '92.

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