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mafia20 mineo altridi Aaron Pettinari - Video
Il "peso" degli "scappati" nelle dinamiche di Cosa nostra
Cosa nostra deve misurarsi con "i discendenti dei cosiddetti 'scappati', i perdenti sopravvissuti alla 'guerra di mafia' vinta dai corleonesi. Essi, per avere salva la vita, furono costretti a trovare rifugio all’estero, in particolar modo in Nordamerica, dove potevano contare su storici legami, rafforzati dal narcotraffico internazionale di eroina, all’epoca gestito da cosa nostra. Ora molti di loro, da qualche tempo tornati a Palermo, potrebbero pensare di consumare le proprie vendette contro i corleonesi, riappropriandosi di quel potere mafioso che hanno a lungo gestito e che gli è stato sottratto con una modalità (al tempo “innovativa”) di uso indiscriminato ed inusuale della violenza". Con queste parole la Dia, nella sua relazione annuale, lo scorso luglio offriva una fotografia rispetto alla riorganizzazione con cui Cosa nostra avrebbe inevitabilmente avuto a che fare una volta morto il capo dei capi, Totò Riina. I retroscena dell'operazione "Cupola 2.0", che ieri ha portato all'arresto di 46 persone e che ha dimostrato l'istituzione di una nuova Commissione Provinciale, non raccontano di particolari episodi di violenza. I vertici dei mandamenti che si sono riuniti il 29 maggio scorso avevano già deciso di puntare su Settimo Mineo come "Presidente" e "garante" degli interessi comuni. Del resto il capomafia di Pagliarelli rappresentava il perfetto legame tra passato e futuro con una storia di peso all'interno della consorteria criminale. Gli investigatori adesso ripartono proprio dagli elementi cristallizzati nell'intercettazione tra Francesco Colletti (capomandamento di Villabate) ed il suo autista, nell'intento di individuare tutti i partecipanti di quel "summit" storico.
Sia Mineo che Colletti sono finiti in manette, così come Gregorio Di Giovanni (capomandamento di Porta Nuova) e Filippo Bisconi (Misilmeri-Belmonte Mezzagno) ma all'appello mancano i vertici di altre famiglie: Brancaccio, Santa Maria di Gesù, Tommaso Natale, Passo di Rigano, la Noce. Nell'ordinanza di fermo dell'operazione è scritto che ''il riferimento ai mandamenti di San Giuseppe Jato e Corleone, correlato a quello dei vecchi di paese che erano presenti alla riunione lascia ritenere che verosimilmente tutte e 15 le articolazioni mandamentali di Cosa nostra palermitana fossero rappresentate nel corso della riunione''. E in ballo c'erano anche posizioni pendenti come la scelta del capomafia di Bagheria (che vedeva in ballottaggio Gioacchino Mineo e Giuseppe Scaduto) e della Noce (dove si doveva decidere tra Francesco Picone ed un altro soggetto non identificato).
Certo è che era dall'arresto del Capo dei capi che la Commissione Provincia non veniva ufficialmente riunita, anche se in questi anni più volte i capimafia in libertà avevano cercato di riorganizzarsi. Basti pensare alle operazioni "Perseo" (2008) ed "Idra" (2011) che raccontavano proprio del tentativo di istituire una nuova "Cupola".
Un progetto rimandato a causa degli arresti ma anche delle difficoltà inerenti alla presenza ingombrante di Totò Riina e Bernardo Provenzano, seppur in carcere. Una volta deceduti entrambi i corleonesi la partita per la successione si è completamente riaperta.
Tra gli elementi di rilievo che gli inquirenti hanno evidenziato durante la conferenza stampa vi è l'essenza di conflittualità tra gli "scappati" ed i corleonesi. "Ciò significa che Cosa nostra, anche se in difficoltà, si ricompatta" ha detto il procuratore aggiunto Salvatore De Luca.



Negli ultimi anni l'occhio degli investigatori si è soffermato più volte sul ruolo che "la mafia perdente di un tempo", tornata dall'America, può aver avuto all'interno delle dinamiche mafiose siciliane anche alla luce di un "corteggiamento" continuo da parte dei boss mafiosi palermitani.
Così è emerso che Settimo Mineo avrebbe incontrato almeno quattro volte Francesco Inzerillo (detto "Franco u truttaturi"), il fratello di Salvatore, il capo del mandamento di Passo di Rigano ucciso per ordine di Totò Riina nel maggio 1981. Francesco Inzerillo fu costretto a fuggire negli Stati Uniti poi, nel 2004, tornò in Italia soltanto dopo l'accordo raggiunto in seno alla "mafia vincente" per cui "gli scappati" potevano rientrare purché segnalassero ogni loro spostamento a Rosario Naimo, oggi collaboratore di giustizia.
Un'operazione che per poco non fece scoppiare una nuova crisi interna in seno a Cosa nostra con i boss Salvatore Lo Piccolo e Bernardo Provenzano favorevoli al rientro ed il capomafia di Pagliarelli, Nino Rotolo, riiniano convinto, assolutamente contrario. Alla fine prevalse la linea morbida.
Un eventuale ritorno "forte" degli "scappati" negli affari di Cosa nostra riaprirebbe (ammesso che si siano mai conclusi) quei rapporti con gli Usa che sono sempre stati vivi in particolare con le famiglie di Passo di Rigano (il regno degli Inzerillo), Boccadifalco, Uditore, Tommaso Natale e Torretta. E non si possono sottovalutare nemmeno figure come Calogero Lo Piccolo, il figlio del boss di Tommaso Natale Salvatore, e Sandro Capizzi, il figlio di Benedetto, boss di Villagrazia, entrambi scarcerati eccellenti. Proprio i Capizzi nel 2008 erano tra i protagonisti del progetto di riorganizzazione della Cupola.
Una riorganizzazione che a dieci anni di distanza è formalmente avvenuta.

Il nuovo arresto
Oggi intanto i carabinieri sono riusciti a fermare Stefano Polizzi, 63 anni, capo della famiglia mafiosa di Bolognetta sfuggito ieri ai fermi disposti dalla Procura. L'uomo è stato rintracciato la notte scorsa a Bolognetta. Polizzi è accusato di partecipazione all'associazione mafiosa con l'aggravante delle funzioni direttive e di avere intrattenuto rapporti con Salvatore Sciarrabba. Il provvedimento complessivamente riguarda 49 indagati e restano ancora ricercati Giusto Francesco Mangiapane, 42 anni, nato a Ciminna e residente a Villafrati, e Carlo Noto, 52 anni di Misilmeri.

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