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cutro ignazio c giuseppe cutrodi Francesca Mondin
Dopo le intercettazioni shock sul testimone di giustizia Ignazio Cutrò dei boss agrigentini arrestati nell'operazione Montagna, e l'appello del deputato Davide Mattiello al Viminale per meglio tutelare il testimone di giustizia, l'avvocato dell'ex imprenditore chiede al Ministero dell'Interno ed alla Commissione Centrale di “annullare la delibera della mancata proroga delle speciali misure di protezione nei confronti dello stesso e del suo nucleo familiare”.
La mancata proroga risale al 2016 in seguito alla quale Cutrò aveva fatto subito ricorso al Tar del Lazio. Lo scorso 11 gennaio però, il Tar ha respinto il ricorso appoggiando la tesi della Commissione Centrale di Protezione.
Nelle motivazioni del provvedimento “pirandellianamente - evidenzia l'avvocato - si afferma che 'negli ultimi dodici mesi non si è verificato alcun fatto e/o accadimento indicativo di elementi di rischio riguardanti Cutrò ed i suoi familiari. La medesima Prefettura, con riguardo alla circostanza che il Cutrò sta beneficiando di concreti interventi per garantire il reinserimento socio-lavorativo (assunzione presso la sede periferica di Bivona dell’Assessorato Regionale al lavoro), ha riferito che, ancorché quell’impiego alle dipendenze della pubblica amministrazione lo abbia messo maggiormente a contatto con situazioni extra familiari e con soggetti terzi, non è stato registrato il benché minimo, anche solo a livello informativo, elemento indicativo di rischio”. Un'analisi che “tralascia il dato significativo che proprio la presenza della scorta e di videocamere di sorveglianza costituiscono un deterrente non trascurabile riguardo a chi mantenesse desideri di vendetta o meri intenti intimidatori”.
Inoltre, scrive ancora l'avvocato Katia La Barbera, “i pareri negativi alla concessione della proroga espresse da parte degli organi di polizia, delle autorità amministrative e giudiziarie motivate dall'asserita assenza di attività criminali sul territorio cozza con quella che è stata definita la più importante operazione antimafia nell'Agrigentino”. Infatti nell'Operazione Montagna dello scorso 22 gennaio i carabinieri hanno eseguito ben 57 ordinanze di custodia cautelare, compresi tre abitanti di Bivona. A quanto pare l'ex imprenditore fino ad oggi ha quotidianamente vissuto in un “contesto fortemente inquinato dalla criminalità organizzata” mettendo a rischio la sua vita e quella della famiglia in quanto simbolo dell'antiracket che ha deciso di rimanere nella località d'origine. “Si evidenza che la criminalità organizzata è ancora forte e presente sul territorio agrigentino e bivonese in particolare ove viveva il reggente del mandamento, tale Spoto Giuseppe Luciano - sottolinea l'avvocato -. L’operazione Montagna dimostra che la mafia non dimentica, che è capace di muoversi per lungo tempo senza clamore, che ha la pazienza di aspettare che lo Stato “si stanchi””.
Sono gli stessi boss infatti che additano l'ex imprenditore di Bivona e fanno ipotesi su cosa potrebbe accadergli senza scorta: “Appena lo Stato si stanca... che gli toglie la scorta poi vedi che poi” diceva il presunto boss di San Biagio Platani.
“Si caga addosso” ribatteva l'interlocutore. Entrambi poi concordavano sul fatto che “se lo avessero voluto punire (lett. calliare) dovevano aspettare”.

Quei 'toni aspri' contro la burocrazia
Dialogo che testimonia, oltre all'elevato pericolo, il fastidio della mafia per il testimone di giustizia Cutrò che negli anni ha portato avanti diverse battaglie contro il racket e per il riconoscimento dei diritti dei testimoni di giustizia. Ottenendo grazie all'impegno dell''Associazione Testimoni di Giustizia, di cui è presidente, ben due leggi sull'assunzione degli stessi nella pubblica amministrazione e la riforma della legge sui testimoni di giustizia. Battaglie che più volte si sono scontrate con gli ostacoli della burocrazia italiana, e che Cutrò non ha risparmiato da aspre critiche. Toni che probabilmente non sono piaciuti dal momento che nel provvedimento sono definiti “veementi e aspri”. A riguardo, l'avvocato ha precisato che “Cutrò non ha mai voluto travalicare i limiti della comune dialettica delle azioni civili, mediante offese gratuite, come tali prive della finalità di pubblico interesse. Le lamentele reiterate dal Cutrò sono state rivolte all’azione burocratica delle istituzioni ritenuta rigida e statica, incapace di adeguarsi al mutamento sociale ed alla particolare condizione dello status di testimone di giustizia, che provoca ansie e frustrazioni sul cittadino destinatario dei benefici richiesti". Accuse “analoghe a quelle di altri Testimoni di Giustizia in sede di audizione avanti la Commissione”.
In conclusione, l'avvocato chiede l'annullamento della mancata revoca delle misure di protezione speciali anche alla luce del fatto che “il provvedimento della Commissione non spiega in alcun modo per quali ragioni, comunque, sarebbero sufficienti a fronteggiare la situazione di pericolo le ordinarie misure di protezione in favore del Cutrò e del suo nucleo familiare incaricando il Servizio Centrale di Protezione di segnalare la posizione del testimone di giustizia e del suo nucleo familiare alle competenti autorità di Pubblica Sicurezza e all’Ufficio centrale per la sicurezza personale (UCIS) ai fini dell’adozione delle ordinarie misure di protezione ritenute adeguate al concreto livello di rischio”.

Foto © Giuseppe Cutrò

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