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di trapani mariangela c ansaLa boss del mandamento di Resuttana aveva chiesto un sussidio al comune
di AMDuemila

Maria Angela Di Trapani, moglie del boss Salvino Madonia, viveva ancora nella casa di suo padre, una villetta alla periferia di Cinisi, confiscata per mafia. E’ questo uno dei dati emerso dopo alcuni accertamenti da parte del Comune dopo che la stessa donna, tornata in carcere nei giorni scorsi, aveva fatto richiesta di un sussidio di assistenza destinati alla famiglie dei detenuti; in quanto suo marito, Salvatore Madonia, il boss e killer dell’imprenditore Libero Grassi, è recluso al regime carcerario del 416bis. A raccontare il fatto è oggi l’edizione palermitana del quotidiano La Repubblica. A quanto pare l’iter di acquisizione da parte del Comune dei beni di Francesco Di Trapani, il padre di Maria Angela, era in corso e la donna, con il figlio e la madre, abitavano nella villa in via Cipollazzo 25 da abusivi.
Sono stati fatti accertamenti con i carabinieri e l'Agenzia e ci è stato comunicato circa due mesi fa che quella casa è un bene confiscato alla mafia e quindi occupato abusivamente” ha spiegato il sindaco di Cinisi, Giangiacomo Palazzolo. Non solo. A quanto pare l'abitazione non risulta nemmeno registrata al catasto. “A breve partiranno su quella casa non accatastata gli accertamenti tributari - ha aggiunto il primo cittadino raggiunto dalla giornalista di Repubblica Romina Marceca - A Cinisi l'unico padrone è lo Stato, la collaborazione istituzionale tra il Comune, organi dello Stato e le forze dell'ordine, rappresenta un muro invalicabile per mafiosi e furbetti”.
Nella sua richiesta, presentata nel 2015, la Di Trapani aveva presentato la denuncia dei redditi della propria famiglia, omettendo però di vivere ancora con la madre. Un dato errato che il Comune ha svelato dall’accertamento sullo Stato di famiglia della donna-boss che in un primo momento sembrava avere i requisiti per ottenere il sussidio di circa 300 euro all’anno. Per cercare di superare il problema dello Stato di famiglia la Di Trapani aveva persino richiesto la residenza al primo piano della villa, ed è a quel punto che il Comune ha compiuto le ulteriori verifiche scoprendo che l’abitazione altro non era che un bene confiscato.
Nel corso dell'operazione “Talea”, che ha portato all'arresto della Di Trapani e di altre 23 persone lo scorso 5 Dicembre, i carabinieri hanno immortalato proprio davanti alla villa membri del clan che portavano i soldi delle estorsioni e dove venivano ricevuti per discutere delle vicende del mandamento di Resuttana. Quanto emerso pone un nuovo accento su un problema che persiste da tempo: quello della gestione dei beni confiscati. Come è possibile che nonostante il sequestro quell’immobile non era ancora stato liberato? In che maniera il nuovo codice antimafia riuscirà a migliorare il controllo sui beni confiscati dal momento che si prevede la chiusura della sede dell’Agenzia dei Beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata a Palermo? Facile aspettarsi che questo nuovo episodio riaccenderà il dibattito.

Foto © Ansa

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