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messina gerlandino auto arrestoI giudici: “Non ha mutato il ruolo e posizione all'interno dell'organizzazione Cosa Nostra”
di AMDuemila
Il tribunale di sorveglianza di Roma ha confermato il 41 bis (regime di carcere duro) per il boss agrigentino, Gerlandino Messina. Nel motivare la decisione i giudici evidenziano “il pericolo attuale di una ripresa di contatti da parte del soggetto con esponenti dell’organizzazione di appartenenza”. Inoltre confermano il rischio che “attraverso i colloqui possa impartire direttive criminali”.
Messina, detto “Zi’ Nicola”, fu tratto in arresto dai carabinieri del GIS il 23 ottobre 2010 a Favara, dopo un periodo di latitanza.
Su di lui pesano numerose condanne tra cui una all’ergastolo dopo le sentenze Akragas 1 e 2, che conclusero il processo per gli eccidi di mafia storici nell’agrigentino. Messina fu condannato per l’omicidio del maresciallo dei Carabinieri, Giuliano Guazzelli, ucciso il 4 aprile del 1992. Fu anche accusato di essere stato carceriere del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del collaboratore di giustizia Mario Santo che stava rilasciando dichiarazioni sulla strage di Capaci, nella fase agrigentina del sequestro.
Nell'aprile scorso il boss di Porto Empedocle è stato anche raggiunto da un ordine di esecuzione per la pena all'ergastolo, con isolamento diurno per 4 anni. Oltre a questo, nel provvedimento firmato dal pm Alessandro Mancuso vennero riprese le condanne inflitte al boss negli ultimi quindi anni. Proprio l'ultima condanna, che risale all'anno scorso, era stata emessa dal tribunale di Agrigento. Nella sentenza si riconosceva Messina come capo di Cosa Nostra agrigentina nel periodo tra il 25 giugno 2010 (data in cui finì in manette il boss Giuseppe Falsone) fino al giorno del suo arresto.
Lo scorso anno il Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, aveva avviato un’istruttoria per verificare se fosse ancora necessario applicare il “carcere duro” poi, dopo aver acquisito gli atti dalla Direzione nazionale antimafia, decise di confermare il “41 bis”. Il provvedimento è stato poi impugnato dal legale del boss, Salvatore Pennica, ma i giudici del tribunale di Sorveglianza di Roma hanno rigettato il ricorso, perché nell'istruttoria ministeriale è stata rilevata “l'operatività della consorteria alla quale Geraldino apparteneva”. Non solo. I giudici dicono chiaramente che “non si sono verificate sopravvenienze da cui desumere un mutamento del ruolo e della posizione del detenuto all’interno dell’organizzazione”.

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