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aula tribunale c fotogrammadi Adriana Stazio
Prosegue a Roma il processo per diffamazione ai danni di vari ufficiali dei carabinieri che vede imputati il maresciallo capo Saverio Masi, il luogotenente Salvatore Fiducia, l’avvocato Giorgio Carta e ben otto giornalisti di primo piano: Sandro Ruotolo, Michele Santoro, Dina Lauricella, Walter Molino, Sandra Rizza, Giuseppe Lo Bianco, Antonio Padellaro, Sigfrido Ranucci. Ricordiamo brevemente la vicenda che risale al 2013. I due sottoufficiali dei carabinieri, assistiti dall’avvocato Giorgio Carta, avevano entrambi sporto denuncia alla procura di Palermo per aver subito ostacoli da parte dei loro superiori relativamente alla cattura di superlatitanti del calibro di Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro, mentre prestavano servizio al Nucleo Operativo di Palermo. Gli avvocati Giorgio Carta e Francesco Desideri indirono una conferenza stampa nella quale diedero la notizia della presentazione di queste denunce da parte dei loro clienti. Di questo risponde l’avvocato Carta insieme ai suoi assistiti che nemmeno erano presenti, mentre l’avvocato Desideri, che poi dopo qualche mese uscì dalla difesa, non è stato querelato né mai indagato. I giornalisti, a vario titolo, rispondono per una serie di articoli o servizi televisivi che davano notizia delle denunce di Masi.
Venerdì 26 e lunedì 29 maggio è terminato l’esame delle parti civili, con l’escussione dei colonnelli Fabio Ottaviani e Stefano Sancricca. Sia Ottaviani che Sancricca hanno di fatto confermato la linea già tenuta dal col. Sottili sullo stretto coordinamento delle indagini da parte della procura, negando indagini su Provenzano e la prassi dell’uso delle macchine private in servizio, anche se tutti, a partire dallo stesso Sottili, hanno ammesso l’esistenza di alcune indagini su Provenzano anche da parte del RONO per quanto la competenza della delega di indagine fosse del ROS.
Alquanto singolare è apparsa la posizione del Sancricca, il quale all’epoca dirigeva la sezione catturandi nella quale non avevano mai prestato servizio né il Masi né il Fiducia. Le difese degli imputati, in particolare l’avvocato Grimaldi (difesa Carta, Masi e Fiducia) e l’avvocato Geraci (difesa Padellaro, Rizza e Lo Bianco) hanno chiesto al teste come mai si fosse sentito diffamato a tal punto da presentare querela, dato che, non solo come per gli altri ufficiali il suo nome non era stato fatto, ma per di più risultava difficilmente accostabile alle vicende oggetto delle denunce poiché queste riguardavano i superiori diretti in scala gerarchica dei due marescialli e poiché per sua stessa ammissione la sua squadra non si era mai occupata della cattura di Provenzano e di Messina Denaro. Sancricca ha risposto che proprio la genericità delle accuse emerse sulla stampa lo ha indotto a presentare querela sentendosi diffamato in quanto facente parte di quel gruppo di ufficiali che costituivano i vertici del Nucleo Investigativo. Risposta simile era stata data da Ottaviani che aveva sì avuto Fiducia alle dirette dipendenze e occasionalmente Masi, ma il cui nome non era mai stato fatto né negli articoli di stampa né in conferenza stampa: “Noi eravamo la squadra del colonnello Sottili, accusare lui era accusare tutti noi”.

Nella sua deposizione, Sancricca ha ricostruito anche la vicenda del trasferimento di Saverio Masi dal Nucleo Investigativo al reparto scorte, affermando peraltro che lo stesso non avrebbe denunciato nulla degli ostacoli subiti dai suoi superiori prima del maggio 2013, quindi dopo la condanna in primo grado per la vicenda della contravvenzione e a ridosso del grado di appello che si sarebbe tenuto pochi mesi dopo la denuncia. A sostegno della sua tesi si rifà ad alcune parole pronunciate dall’avvocato Carta durante la conferenza stampa che avrebbe ricollegato le due vicende. Peccato però che, come riferisce lo stesso Sancricca, il maresciallo Masi si fosse presentato per la prima volta ai pm di Palermo per rendere dichiarazioni spontanee nel luglio 2009, per poi testimoniare al processo Mori-Obinu il 21 dicembre 2010. Fu proprio in quella sede che per la prima volta furono rese pubbliche le dichiarazioni di Masi non solo relativamente a quanto appreso de relato dal colonnello Antonello Angeli sulla perquisizione a casa di Massimo Ciancimino nel 2005 e il mancato sequestro del papello, ma anche relativamente ad ostacoli che il maresciallo dichiarava di aver subito da parte dei suoi superiori. La deposizione è ancora ascoltabile su Radio Radicale.

Il 30 maggio è stata la volta dell’esame dell’imputato Giorgio Carta. L’avvocato ha riferito di essere stato contattato da Masi nella primavera del 2013 per assumere la difesa nel processo d’appello per la vicenda della multa presa durante il servizio per la quale lo stesso maresciallo aveva già riportato condanna in primo grado ed era pendente l’appello che sarebbe iniziato a luglio. Conobbe Fiducia subito dopo, durante le prime indagini difensive svolte nell’interesse di Masi. La conferenza stampa - ha spiegato l’avvocato Carta - era volta a cercare testimoni e prove sull’uso dell’auto privata in servizio da poter usare al processo d’appello. Infatti, nonostante questa prassi fosse nota anche al legale, il Masi era stato condannato anche per il reato di falso ideologico a causa del fatto che due testimoni avevano negato questo fatto. In appello e poi in Cassazione la sentenza sarà riformata, e il Masi sarà assolto dal reato di falso ideologico in quanto l’uso dell’auto in servizio è stato ritenuto provato, mentre sono rimaste la tentata truffa e il falso materiale per la firma apposta al posto del suo superiore.
L’avvocato Carta durante il suo esame ha chiarito due punti importanti: da un lato ha illustrato il suo ruolo in quella conferenza stampa, dall’altro quello dei suoi clienti che in questo processo rispondono in concorso con lui come se fossero partecipi di quanto detto. Riguardo ai suoi clienti, Carta ha affermato: “Concordai la conferenza stampa con l’avvocato Desideri, infatti come la S.V. potrà notare nella conferenza stampa siamo in due, in questo processo sono io da solo, anche questo mi sfugge.” Masi e Fiducia furono contattati solo per informarli di questa scelta difensiva e ottenerne il consenso come previsto dal codice deontologico forense sui rapporti con la stampa (art.18), ma nulla sapevano dei contenuti specifici che sarebbero stati affrontati né tanto meno concordarono nulla con i legali. Invece sul suo ruolo durante la conferenza stampa, rifacendosi alla trascrizione integrale in atti al processo, Carta ha detto che lui si limitò ad illustrare le denunce presentate da Masi e da Fiducia, riportando quindi un dato reale: “Io ho dato solo notizia della denuncia di Masi, non so se i superiori di Masi lo abbiano ostacolato o meno, perché a quei fatti che lui denuncia non c’ero né io, né il pm, né l’avvocato di parte civile, né il giudice.” E ha letto alcuni degli innumerevoli passaggi nei quali questo emergeva con chiarezza. Ha poi rivendicato un’altra sua precisa scelta ossia di non fornire nomi delle persone denunciate alla stampa nonostante le insistenze dei giornalisti e ciò sia a tutela del segreto investigativo sia a tutela delle persone denunciate. L’unico nome che in qualche modo si fece fu quello di Sottili, ma Carta ha rimarcato che quel giorno il nome di Sottili lo fece solo relativamente alla direttiva che vietava la comunicazione tra i reparti, peraltro lodandola come necessaria per la tutela delle indagini, senza dire mai che fosse tra i denunciati.
All’avvocato Carta è stato anche chiesto se avesse cercato riscontri alle denunce del Masi prima di parlarne in conferenza stampa. Pur chiarendo che non era tenuto a farlo perché lui illustrava solo la notizia che due sottoufficiali dell’Arma avevano presentato quelle denunce, l’avvocato ha detto che già all’epoca aveva trovato altri quattro carabinieri tra cui il Fiducia che gli avevano raccontato di analoghi ostacoli subiti per la cattura dei latitanti.

Le vicende che sono oggetto del processo in corso a Roma si intrecciano con un altro processo, in corso a Caltanissetta, quello contro Massimo Ciancimino, il teste chiave della trattativa, imputato per calunnia ai danni del potentissimo Gianni De Gennaro e del funzionario dei servizi Lorenzo Narracci. Un processo cruciale che si svolge in sordina nel totale silenzio mediatico nonostante il calibro dei testi che stanno sfilando nell’aula. Mentre nell’udienza precedente è stata la volta tra gli altri di Bruno Contrada, mercoledì 31 hanno testimoniato l’avvocato Mariani e il ten. col. Antonello Angeli, entrambi già testimoni al processo trattativa. Con la deposizione di Angeli, incalzato dalle domande della difesa rappresentata dagli avvocati Roberto D’Agostino e Claudia La Barbera, si è assistito nuovamente al teatrino della cassaforte non vista dai carabinieri che perquisirono la casa di Massimo Ciancimino il 17 febbraio 2005 e della stanza al primo piano che la conteneva che - pare - si sia perquisita da sola dato che tutti gli uomini che presero parte alla perquisizione negano di essersi occupati di quella stanza. La perquisizione non si svolse alla presenza di Ciancimino il quale si trovava all’estero ma vi assistettero un suo fratello e una persona che lavorava per lui. Come è noto Massimo Ciancimino ha raccontato ai magistrati che in quella cassaforte era contenuto il papello, mentre Saverio Masi ha dichiarato che Angeli oltre un anno dopo gli aveva confidato di aver rinvenuto il papello di Riina durante la perquisizione ma che i suoi superiori gli avevano ordinato di non sequestrarlo perché già lo avevano, al ché lui aveva fatto fotocopiare questa documentazione da un suo sottoposto e aveva rimesso gli originali a posto. Versione che combacia con quella di Massimo Ciancimino secondo il quale nella cassaforte non fu toccato nulla. Alla scorsa udienza l’allora capitano Angeli che dirigeva le operazioni ha confermato la sua versione dichiarando di non essere salito al primo piano, di non aver visto o saputo né di una cassaforte né di un ripostiglio sottostante l’appartamento, né tanto meno del papello, di aver fatto fare sì delle fotocopie ma del materiale che venne regolarmente sequestrato. Lo stesso pm Stefano Luciani, rappresentante dell’accusa, ha fatto notare al teste che non aveva senso fotocopiare di nascosto fuori dalla caserma del materiale che doveva essere sequestrato regolarmente e che, se necessario, poteva essere tranquillamente fotocopiato in caserma. Angeli ha anche negato di aver incontrato Masi nel periodo 2006-2007, asserendo di aver avuto solo un contatto telefonico nel quale non ricorda se raccontò della perquisizione a Ciancimino. E’ un dato di fatto però che Masi nel 2009 sapesse dell’inusuale fatto delle fotocopie e dell’alterco con i superiori e non si capisce come poteva altrimenti saperlo se non da Angeli.
Al termine dell’udienza Massimo Ciancimino, presente in aula, ha chiesto di rendere dichiarazioni spontanee. L’imputato ha contestato la versione data dal colonnello Angeli, affermando che durante la perquisizione apprese telefonicamente da Gianni Lapis, il quale stava subendo un analogo provvedimento, che a casa sua volevano far saltare la cassaforte per aprirla perché non trovavano le chiavi; a questo punto Ciancimino chiamò a casa per raccomandarsi di non far saltare la cassaforte ed indicare ai carabinieri l’ubicazione della chiave e inoltre fare presente che c’era un altro magazzino al piano inferiore della casa. Seppe poi dal fratello a fine perquisizione che la cassaforte non era stata aperta e che non avevano voluto nemmeno recarsi nel magazzino al piano inferiore.
Un fatto accertato è che la cassaforte ben visibile all’epoca esisteva mentre tutti i militari presenti alla perquisizione hanno affermato che non c’era nessuna cassaforte.
Il processo - ormai alle battute finali - continua il 28 giugno con l’esame dei rimanenti testi della difesa, il sen. Lino Jannuzzi e lo stesso maresciallo Saverio Masi. Nella stessa udienza è stato programmato anche l’esame dell’imputato Massimo Ciancimino richiesto dalla difesa. Il 28 giugno saranno così presenti a Caltanissetta i due testi del processo trattiva, l’investigatore che aveva cercato di arrestare Provenzano e Messina Denaro e il figlio di Vito Ciancimino testimone di tanti eventi, il supertestimone, due persone così diverse per storia personale ma accomunati dal ruolo di testimone e dagli attacchi subiti per aver raccontato quanto sapevano, entrambi oggi imputati per calunnia a seguito delle loro dichiarazioni e accomunati forse dallo stesso spirito e anelito di giustizia. Il processo di Roma è stato invece rinviato al 13 ottobre per l’esame dei giornalisti imputati mentre l’esame di Masi e Fiducia è stato fissato per il 4 dicembre.

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