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russo giuseppe costa filippodi AMDuemila
L’omicidio avvenne in modo plateale perché la “mafia voleva una esecuzione spettacolare ed esemplare”. Così scriveva il giornalista Mario Francese, che da quella stessa mafia fu assassinato il 25 gennaio 1979. Il 20 agosto del 1977, alle ore 22.00, in contrada Ficuzza di Corleone un commando formato da Totò Riina, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Pino Greco, Filippo Marchese e Giuseppe Agrigento uccise il tenente colonnello dei Carabinieri Giuseppe Russo e l'amico Filippo Costa. Secondo gli inquirenti quella sera a sparare fu Leoluca Bagarella, mentre Pino Greco e Giovanni Brusca rimasero da appoggio, e Agrigento e Marchese erano all'interno delle auto parcheggiate, pronti per la fuga.
Russo fu sicuramente tra i primi investigatori a comprendere la necessità di spostare l’attività investigativa sui grandi appalti e sull’interesse che avrebbero inevitabilmente suscitato nel sodalizio criminale che stava per assumere il controllo di Cosa nostra nelle province di Palermo, Trapani e Agrigento, che proprio in questa terra avrebbe avuto il suo centro nevralgico intono alle figure di Riina e Provenzano.
Giuseppe Russo, secondo gli investigatori, fu tra i primi a capire le potenzialità dei corleonesi di Riina e Provenzano e a studiare le contromosse per arginarli. Così come fu pioniere nell'individuare gli interessi e le attività del gruppo mafioso che si stava organizzando intorno alle figure di Michele Greco, Riina, Provenzano e Bagarella, negli anni in cui si sarebbe consolidato il controllo della mafia sui finanziamenti pubblici e i grandi appalti per la ricostruzione del Belice, dopo il devastante terremoto del 1968. Quando fu assassinato, Russo era il comandante del Nucleo Investigativo del capoluogo siciliano, l'organo di punta nella lotta alla mafia, e uomo di assoluta fiducia dell'allora comandante della Legione carabinieri di Palermo, il colonnello Carlo Alberto dalla Chiesa.
Grazie al suo costante impegno furono realizzate con successo diverse operazioni investigative contro ogni forma di criminalità e, in particolare, contro le varie organizzazione mafiose.
Per l’omicidio del tenente colonnello e del suo amico professore furono inizialmente condannati tre pastori: Salvatore Bonello, Rosario Mulè e Casimiro Russo; quest’ultimo, autoaccusatosi, aveva chiamato in causa gli altri due; ma nel ‘97 vengono assolti e la II sezione della Corte di Assise di Appello di Palermo condanna definitivamente all’ergastolo Leoluca Bagarella, Salvatore Riina e Bernardo Provenzano per l’assassinio di Giuseppe Russo e Filippo Costa.


Così il giornalista Mario Francese, sul “Giornale di Sicilia”, ricordò quel tragico omicidio:

“Al bar entrò soltanto Russo per fare una telefonata, Costa attese fuori. Un minuto dopo i due amici riprendevano la loro passeggiata… Nello stesso momento vi fu chi si accorse di una ’128’ verde che procedeva lentamente per il viale principale, evidentemente controllando i movimenti di Russo e Costa... L’auto continuò la sua marcia fino alla parte alta della piazza, effettuò una conversione ad ’U’ e si fermò proprio davanti all’abitazione del colonnello Russo. I due amici erano vicini alla macchina degli assassini. Non se ne resero conto. Non potevano. Si fermarono, Russo tirò fuori dal taschino della camiciola una sigaretta e dalla tasca dei pantaloni una scatola di ’Minerva’. Russo non ebbe il tempo di accendere la sua ultima sigaretta.

Erano le 22,15. Dalla 128 scesero tre o quattro individui, tutti a viso scoperto. Lentamente, per non destare sospetti, camminavano verso i due.

Appena furono vicini aprirono il fuoco con le calibro 38. Sparavano tutti contro Russo, tranne uno, armato di fucile che aveva il compito di uccidere Costa. Erano killer certamente molto tesi. Al punto che uno di loro lanciandosi contro Russo per finirlo, gli cadde addosso. Si rialzò immediatamente e, come in preda ad un raptus, imbracciò il fucile sparando alla testa. Fu il colpo di grazia. Il killer voleva essere certo che l’esecuzione fosse completa e mirò anche alla testa dell’insegnante Filippo Costa. Fu il secondo colpo di grazia.

Si poteva andar via. Ma l’ultimo killer nella fuga perse gli occhiali che saranno ritrovati sotto il corpo senza vita del colonnello Russo.

Ci si convinse subito che si trattava di un duplice delitto di mafia. Un agguato preparato nei dettagli almeno da 26 giorni. La 128, trovata abbandonata a tre chilometri da Ficuzza, è stata rubata infatti a Palermo il 25 luglio, appunto 26 giorni prima. Non sarebbe stato più semplice per la mafia uccidere il colonnello Russo in via Ausonia sotto casa a Palermo e il professor Costa a Misilmeri, dove abitava? - si chiede ancora il giornalista - No, perché la mafia voleva un’esecuzione spettacolare ed esemplare”.

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