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manca chi lha visto morte''Chi l'ha visto?'' torna a occuparsi del mistero della morte del giovane urologo
di AMDuemila
Angelina Manca
ricorda di non aver mai potuto dare una carezza a suo figlio dopo la notizia della sua morte. Sono le sue parole ad aprire il servizio di “Chi l'ha visto?” andato in onda ieri sera. Federica Sciarelli introduce il reportage sul mistero della morte di Attilio Manca, a cura di Paolo Fattori e Goffredo De Pascale, nella nota trasmissione di Rai3. Si rivedono le immagini della prima volta in cui in genitori del giovane urologo di Barcellona Pozzo di Gotto (Me), Gino e Angelina Manca, avevano partecipato a “Chi l'ha visto?”, in quella occasione si era cominciato a parlare della “pista Provenzano” come possibile movente della morte del medico siciliano. Nella puntata di ieri sera un'attenzione particolare è stata riservata alle recenti dichiarazioni di due collaboratori di giustizia Stefano Lo Verso e Carmelo D'Amico. Ecco allora che si può ascoltare quest'ultimo mentre riferirsce le confidenze ricevute da Salvatore Rugolo per il quale la morte del giovane urologo sarebbe un omicidio che vedrebbe sullo sfondo un coinvolgimento di mafia e Servizi segreti. Per D'Amico un ruolo nevralgico lo avrebbe il pregiudicato barcellonese condannato per associazione mafiosa Rosario Cattafi. Su quest'ultimo il vicepresidente della Commissione antimafia, Claudio Fava, ha un'idea molto chiara: “E' un personaggio di frontiera, che mette assieme diversi mondi, quelli più operativi della criminalità mafiosa e quelli apparentemente distanti che offrono a quella criminalità sponde e protezioni e coperture”. Il giornalista lo incalza chiedendogli se le indagini sul decesso del giovane urologo sono state fatte “a regola d'arte”. “No – è la replica tranciante di Fava – sono state fatte in modo abbastanza sciatto, soprattutto all'inizio. Tutta una serie di dubbi che andavano formulati per altre vicende che stanno attorno alla storia di Attilio Manca sono mancate. Credo che ci sia stato qualche punto di imperizia o di frettolosità nel chiudere tutto”. Il servizio affronta anche il mistero del generale dei Carabinieri citato dal pentito D'Amico, che a suo dire sarebbe coinvolto nella morte di Attilio Manca. Vengono ugualmente affrontare quelle che lo stesso D'Amico definisce le confidenze di Antonino Rotolo su quell'esponente dei Servizi, chiamato il “calabrese”, che sarebbe stato responsabile dell'omicidio del dottor Manca. Il giornalista commenta all'ex Procuratore di Viterbo, Alberto Pazienti, la stranezza del fatto che in casa di Attilio Manca non fossero stati trovati gli strumenti classici di un tossicodipendente. Pazienti è imbarazzato, sfuggente: “...lì, qualcosa che... boh... non lo so... è un'opinione... potrebbe (Attilio Manca, ndr) aver fatto in tempo... (ad occultarli, ndr). Forse se non avessero parlato sempre di un omicidio di mafia... uno poteva riaprire degli accertamenti... forse un po' più locali, meno esterni..”. L'inviato di “Chi l'ha visto?” torna ad affrontare la questione del verbale dell'ex capo della Squadra Mobile di Viterbo, Salvatore Gava, che erroneamente attestava la presenza di Attilio al Belcolle nei giorni in cui Provenzano si trovava in Francia. “Il vostro servizio – ammette a denti stretti Pazientiha fatto si che si andasse a controllare esattemente se poteva essere una relazione falsa oppure se una relazione veritiera con... dei dati non approfonditi... tra l'altro sottolineando come fosse un soggetto abituato a fare relazioni false”. Come è noto Gava è stato condannato a 3 anni in via definitiva per aver falsificato un verbale in cui si attestava il ritrovamento e sequestro di alcune bottiglie molotov all'interno della scuola Diaz durante il G8 di Genova. Il servizio prosegue, si parla del viaggio di Provenzano in Francia e di quella telefonata di Attilio ai genitori nell'autunno del 2003 (effettuata proprio dal sud della Francia, secondo la testimonianza di Gino e Angelina), mai risultata dai tabulati.



Il giornalista ribadisce che i magistrati palermitani avevano accertato solamente l'esistenza di un infermiere che si era occupato di Provenzano durante la sua latitanza, senza però mai individare alcun medico. “E' possibile che dopo un intervento chirurgico così delicato Provenzano fosse assistito soltanto da un infermiere?”, si chiede Paolo Fattori. Subito dopo si ascoltano le parole di Stefano Lo Verso quando racconta ai magistrati della statuina della Madonna regalatagli da Provenzano che potrebbe essere utile nelle indagini sulla morte di Attilio Manca. L'inviato di “Chi l'ha visto?” si chiede se il riferimento è alla chiesa di Notre Dame de la Garde. O forse Lo Verso si riferisce al santuario di Tindari, poco distante da Barcellona Pozzo di Gotto? Sullo schermo passano le immagini della dott.ssa Dalila Ranalletta che nel 2004 aveva effettuato l'autopsia su Attilio Manca. “E' possibile che nel referto dell'autopsia non venga indicata con precisione l'ora del decesso?”, si chiede il giornalista. La risposta su quella che da più parti è stata definita un'autopsia “lacunosa” e gravida di incongruenze arriva dal vicepresidente della Commissione antimafia, Luigi Gaetti. “Leggendo tutte le deposizioni – afferma Gaetti – si vede che tre persone che hanno competenza descrivono la rigidità (del cadavere, ndr) in tre modi diversi, cominciano quindi a sorgere i primi dubbi. Una cosa inaccettabile riguarda il fatto che non si sia rilevata la temperatura del cadavere, questo avrebbe permesso di collocare l'epoca della morte in maniera molto precisa. Viziare il sopralluogo, quindi la raccolta di questi elementi, va a inficiare in maniera importante tutto il lavoro fatto successivamente. Bisogna capire il perchè di tanta superficialità nel raccogliere questi elementi. Lì c'erano persone che hanno competenze, docenti universitari... è impensabile che un docente universitario commetta un errore da inesperienza”.
“La verità la conosco ed è quella che è – afferma Gino, il padre di Attilio, a conclusione del servizio –. Ma la giustizia quando la potrò avere? Tra 20, 30 anni? Quando io non ci sarò più?”.

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