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di Aaron Pettinari

Pizzo, droga e frutti di mare. Nel blitz dei carabinieri 38 in manette
C'è una donna al comando della famiglia di Porta nuova, Teresa Marino, moglie del boss Tommaso Lo Presti. E' questo il dato raccolto durante le indagini della Procura di Palermo condotte dal procuratore capo Francesco Lo Voi, dall'aggiunto Leo Agueci e dai sostituti Caterina Malagoli, Francesca Mazzocco. Così questa mattina i Carabinieri del comando provinciale diretto dal colonnello Giuseppe De Riggi hanno arrestato altre 38 persone eseguendo i provvedimenti di fermo firmati dai pm.
Dalle indagini è emersa una nuova riorganizzazione di una delle famiglia mafiose più importanti del Capoluogo siciliano con importanti legami anche con la famiglia di Bagheria.
In particolare le attività condotte dai militari hanno consentito di ricostruire il ruolo ricoperto dalla donna-boss, in stretto contatto con il marito già detenuto. Già da tempo Teresa Marino, che è anche cugina dell'altro boss di Porta Nuova Tommaso Di Giovanni, gestiva la cassa della famiglia e spesso i due si trovavano a discutere proprio delle risorse a disposizione di Cosa nostra. “Per ora siamo combinati male…questa mattina ho visto il conto…cioè mi sono rimasti quindicimila euro... lui stava gli portando i soldi duemila e cinque... duemila e quattro, mille e quattro mi deve dare... mille tre e ottanta... la prossima settimana ci sono altri duemila e cinque, e ancora non abbiamo finito ancora c’è il materiale”.
In particolare la donna, che dopo l'arresto di Di Giovanni ha diretto le a attività criminali dell’associazione mafiosa secondo le direttive impartite dal marito detenuto, condizionando costantemente le attività illecite anche degli altri affiliati e capi famiglia, in particolare nel settore del traffico degli stupefacenti, si preoccupava della condizione delle mogli dei detenuti.
E' proprio il sostentamento delle famiglie dei carcerati uno dei punti cardine dell'economia mafiosa (“…appena le porta...io glieli faccio avere…dille così) e un sodale libero, consapevole di quanto la cosa stesse a cuore, affermava che sarebbe stato disposto a farlo anche di tasca propria (glieli stavo dando io….di tasca mia…”). E in tempi di crisi, viste le minori entrate anche per i clan, per fare quadrare i conti aveva avviato una spending review generale anche tagliando i compensi degli uomini d'onore.



In qualità di capo si trovava anche a dover intervenire in prima persona. Un giorno rimproverò la moglie di un mafioso che si era permessa di andare direttamente da Tommaso Di Giovanni, senza passare per la scala gerarchica del clan. Disse: “Non ti devi allargare, perché sei andata da mio cugino a chiedergli i soldi? (...) Sono tutti in carcere, per ora siamo tutti combinati male”.
In tempi di crisi Cosa nostra investiva il proprio denaro anche nel mercato dei Frutti di mare per una vendita effettuata in regime di monopolio che di fatto aveva scalzato ogni concorrente (“…gli dici che senza ordine di … non possiamo caricare nessuno nei nostri camion…gli dici che finisce la giornata e lo mandi a casa, altrimenti vengo e vi metto mani a tutti e due e vediamo se la dobbiamo finire…lo prendo e lo scanno qua…”) con una conseguente imposizione degli approvvigionamenti ai pescivendoli della città, costretti a rispettare anche le indicazioni relative all’ampiezza dei punti vendita. Così state sequestrate alcune attività commerciali del settore ittico secondo gli inquirenti riconducibili a Cosa nostra.
Altra figura emersa nelle indagini è quella di Paolo Calcagno, finora mai indagato per mafia, “sulla carta” reggente del mandamento di Porta Nuova anche se i veri ordini erano quelli che arrivavano dal carcere con le direttive dello storico padrino Lo Presti.
Nel blitz sono coinvolte nuove figure delle famiglie di Porta Nuova, Palermo centro e Borgo Vecchio, ma anche vecchi boss come Gaetano Tinnirello (Corso dei Mille) ed un architetto della provincia un tempo vicino a Totò Riina e Bernardo Provenzano.
Importanti affari venivano svolti con la gestione dei traffici di droga e delle estorsioni. I militari hanno bloccato due corrieri in Argentina e Francia, partiti per conto dei boss di Bagheria e Palermo.
Sul fronte delle estorsioni sono circa una trentina quelle contestate agli indagati. Da parte di quattro commercianti vi è stata la denuncia spontanea del racket mentre altri hanno denunciato soltanto dopo lo sviluppo delle indagini. Dalle investigazioni è emerso in maniera chiara che l’attività estorsiva in danno di commercianti e imprenditori operanti soprattutto nel settore dell’edilizia, costretti al versamento a Cosa Nostra di somme di denaro pari al 3% del valore dell’appalto.
“Le indagini hanno però messo in risalto una grande capacità di riorganizzazione di Cosa nostra. Gli arresti di oggi dimostrano come l'economia palermitana sia condizionata da Cosa Nostra sono 27 le estorsioni accertate, gli operatori economici hanno collaborato, denunciando o ammettendo il ricatto mafioso. L'organizzazione puntava anche al controllo del mercato, nell'ambito del settore ittico, eliminando le ditte concorrenti a quelle mafiose”, ha detto il tenente colonnello Salvatore Altavilla, comandante del Reparto Operativo, che ha condotto l'inchiesta. E il procuratore aggiunto Agueci ha aggiunto: “Cosa nostra è ancora radicata nel territorio quella di oggi è la sesta operazione antimafia nel giro di pochi mesi, effettuata dagli stessi magistrati della Dda e dagli stessi carabinieri. Le risorse a disposizione non sono tante, ma queste indagini dicono che lo Stato c'è, anche nei territori più difficili”.
Dalle indagini dei pubblici ministeri Francesca Mazzocco, Caterina Malagoli e Sergio Demontis, coordinati dall'aggiunto Leonardo Agueci e dal procuratore Francesco Lo Voi, emerge, ancora una volta, che il mandamento di Porta Nuova è il più influente della città, indipendentemente da chi lo governi.

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