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riina-mano-boccadi AMDuemila - 24 febbraio 2014
“Chiudi quella maledetta bocca” è una delle frasi contenute nella lettera che – come si apprende dalle colonne di Repubblica – qualche giorno fa è stata inviata al carcere Opera di Milano. La missiva era indirizzata al Capo dei capi, che nei mesi scorsi durante l'ora d'aria in compagnia di Lorusso emanava ordini di morte al pm Nino Di Matteo e agli altri magistrati del processo trattativa, Roberto Tartaglia, Francesco Del Bene e Vittorio Teresi.
La lettera, firmata dalla Falange armata, prosegue sugli stessi toni: “Ricorda che i tuoi familiari sono liberi”, e infine: “Per il resto stai tranquillo, ci pensiamo noi”. La lettera non è mai arrivata nelle mani del boss corleonese, i cui inquietanti messaggi intercettati nell'ultimo periodo sono in mano alle procure di Palermo e Caltanissetta, che ne stanno decifrando i contenuti soprattutto in relazione alle minacce di cui è oggetto Di Matteo. Il messaggio, sequestrato dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, è stato ugualmente mandato alle due procure.

La sigla Falange armata torna dunque prepotentemente dopo oltre vent'anni, ma già recentemente il pool della trattativa Stato-mafia aveva fatto confluire nell'inchiesta una parte che riguarderebbe proprio l'organizzazione che nel biennio '90-'92 ha rivendicato una serie di omicidi e ferimenti. Secondo gli inquirenti a dialogare con i boss per porre fine a quella stagione di sangue non furono solo politici e uomini dell'Arma, ma anche agenti dei Servizi segreti. E nel registro degli indagati per l'indagine bis sulla trattativa ci sarebbe anche il nome di un ex dirigente dell'intelligence italiana che aveva contatti con l'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino. I pm Di Matteo, Teresi, Del Bene e Tartaglia avevano inviato gli agenti della Dia di Palermo a recuperare negli archivi del palazzo di giustizia di Roma gli atti del processo a uno dei telefonisti della Falange Armata. Il 9 settembre ’92 avrebbe infatti chiamato l’Ansa di Torino per lanciare una serie di critiche contro l'ex ministro dell'interno Nicola Mancino, accusato nel processo in corso a Palermo per aver testimoniato il falso sul dialogo instaurato tra elementi delle istituzioni, del Ros e della cupola di Cosa nostra. A giugno, sempre all'Ansa, erano giunte dalla stessa organizzazione delle minacce di morte nei confronti dell'allora ancora ministro Vincenzo Scotti. Anche nell'aprile 1993 la Falange torna a farsi sentire con l'Ansa di Roma, stavolta per minacciare il presidente della Republica Scalfaro (già minacciato da una lettera anonima di alcuni familiari di boss) e Mancino. Proprio nei giorni in cui si discuteva del possibile ammorbidimento del carcere duro per i mafiosi. Le minacce inviate a più uomini delle istituzioni si susseguirono a più riprese: il 19 giugno contro Mancino ed il capo della Polizia Parisi, il 16 settembre contro Capriotti (direttore del Dap) ed il suo vice Di Maggio. Sullo sfondo, quella riunione della cupola mafiosa ad Enna nella quale, come dichiara il collaboratore di giustizia Filippo Malvagna “si decise la strategia delle stragi Falcone e Borsellino, si disse di rivendicare tutti gli attentati con la sigla Falange Armata”. Una serie di aspetti che confluiscono nel medesimo disegno criminoso e che ora saranno attentamente vagliati dalla Procura di Palermo.

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