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carabinieri-web0Gli interessi dei clan per la fiction di Mediaset
di Aaron Pettinari - 14 dicembre 2011
All'alba di questa mattina è scattata la maxi operazione antimafia, denominata Pedro. I carabinieri del Comando provinciale hanno eseguito 28 ordinanze restrittive nei confronti di altrettanti soggetti, smantellando di fatto i mandamenti mafiosi di Porta Nuova e Bagheria. Per 22 indagati la Dda del capoluogo ha emesso provvedimenti di fermo per associazione mafiosa finalizzata alle estorsioni, al traffico di droga e alle rapine; per altre sei persone, già detenute per mafia, è stata disposta la custodia cautelare in carcere.

Un'indagine durata 15 mesi che, avvalendosi di importanti attività di intercettazioni video ed audio, ha permesso di rocostruire l’attuale organigramma del mandamento di Porta Nuova (Calogero Lo Presti detto “Pietro”, 59 anni, e Tommaso Di Giovanni, 45 anni, erano secondo l’accusa i capi) e le sue relazioni con tutti gli altri mandamenti palermitani e in particolare quelli di Pagliarelli, Santa Maria di Gesu’, Brancaccio, Noce, Boccadifalco, Tommaso Natale, Misilmeri e Bagheria. Su quest’ultimo clan si è poi focalizzata l’attenzione investigativa, arrivando all'individuazione dei vertici (il capomandamento era Antonino Zarcone) che gestivano una diffusa attività estorsiva sul territorio di competenza.
Del resto, così come era stato dimostrato nelle precedenti operazioni, Cosa Nostra si stava riorganizzando, dando seguito al proprio giro di affari fatto di droga ed estorsioni a tappeto su commerciandi ed imprenditori. Addirittura i boss erano riusciti ad inserirsi nella gestione del catering e dei trasporti per la troupe della fiction di Canale 5, "Squadra Antimafia Palermo Oggi".
 A mettere gli occhi, e le mani, sulla produzione televisiva, era stato Calogero Lo Presti, il quale si serviva del nipote, Tanino Lo Presti, per gestire direttamente la questione. Nella produzione, tra l'altro, lavorava anche un uomo vicino alla cosca. Molti elementi dell'operazione, si apprende da fonti investigative, sono stati ricostruiti anche grazie al contributo di una collaboratrice di giustizia, Monica Vitale. Questi era l'amante di un boss del Borgo Vecchio, Gaspare Parisi, arrestato a luglio: qualche giorno dopo, alcuni mafiosi le iniziarono a chiedere conto e ragione della gestione poco trasparente della
cassa del clan, curata dal suo uomo, che si sarebbe appropriato di somme di denaro di Cosa nostra. Tempo dopo, a settembre, Monica Vitale fuggi da Palermo ma, sentitasi braccata dai boss, prese la decisione di costituirsi, iniziando il proprio percorso di collaborazione rilasciando dichiarazioni al procuratore aggiunto Ignazio De Francisci ed ai sostituti Maurizio Agnello, Caterina Malagoli e Francesca Mazzocco.

Le rivelazioni della pentita anche su Fragalà
La Vitale ha così raccontato di aver raccolto anche il pizzo per conto della famiglia mafiosa di Porta Nuova, fra i negozi più esclusivi del centro città. Inoltre ha svelato alcuni retroscena del delitto di Enzo Fragalà, l'avvocato ex deputato di An che la sera del 23 febbraio 2010 fu picchiato selvaggiamente da un uomo. La pentita sostiene di aver saputo dal suo amante che ci sono i boss di Porta Nuova dietro l'omicidio: uno in particolare, l'ultimo reggente del mandamento, Tommaso Di Giovanni, anche lui finito in manette durante il blitz. Fragalà, ma i fatti devono ancora essere verificati, sarebbe stato ucciso per un comportamento ritenuto poco rispettoso nei confronti della moglie di un suo cliente detenuto per furto. Il capomafia, sentite le lamentele, avrebbe deciso per una punizione esemplare.

In manette anche il poliziotto che informava le cosche
Tra le persone arrestate a Palermo dai carabinieri c’è anche il poliziotto Matteo Rovetto. Questi, ormai in pensione da circa un anno, secondo gli investigatori avrebbe fornito a Calogero 'Pietro' Lo Presti, capo del mandamento di Porta Nuova fino al dicembre dell'anno scorso, notizie utili sulle indagini in corso nei loro confronti. Il poliziotto “talpa” avrebbe inoltre protetto la rete di spacciatori di droga controllata dai boss, avvisando della presenza delle forze dell’ordine nelle zone dove vendevano la droga, e aiutandoli a eludere le indagini.
In un'intercettazione del settembre 2010 Rovetto raccontà al capomafia di essere stato pedinato e di avere aiutato in passato anche degli spacciatori: “li vedi che ci sono i falchi l'altra volta al Secco io l'ho salvato. Ti giuro a me che la roba ce la prendeva subito... levati che li hai di sopra, gli ho detto. Non lo vedi che quello è messo là sotto che ti sta guardando... dice grazie zu Matteo, dice mi ha scansato le manette...”. Quindi aggiunse di aver confidato a «Masino» (Tommaso Lo Presti n.d.r.) dell'arrivo di personale dei reparti speciali della Polizia da Roma che, munito di attrezzature particolari e con l'ausilio di telefonini, aveva iniziato a frequentare la zona per fotografare tutti. Nell'occasione l'ex poliziotto aveva consigliato addirittura di far spostare gli spacciatori che lavoravano davanti alla sua macelleria per una quindicina di giorni in modo da non dare assolutamente punti di riferimento certi e da non fare troppa confusione in zona.
A Rovetto è stata dunque contestata l’aggravante del favoreggiamento di Cosa Nostra. “Le complicità non sono ad un livello istituzionale alto – ha spiegato il procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo commentando l'operazione -. Si tratta di informazioni fornite da un appartenente alle forze dell'ordine, che non rivestiva un grado particolarmente elevato. Purtroppo i contatti impropri sono sempre esistiti e qualcuno che viene meno ai doveri di riservatezza c'è stato sempre. Però – ha poi aggiunto - più che di una nuova stagione di servitori infedeli dello Stato, direi che è l'ulteriore conferma del fatto che in tutti le Istituzioni può sempre esserci qualche elemento infedele».

Le mani delle cosche sulla fiction antimafia
A finire nel mirino dei boss era stata anche la 'Taodue', la società di produzione della fiction di Mediaset 'Squadra antimafia Palermo Oggi'. Secondo quanto ricostruisce la Dda, i boss avrebbero sfruttato l'amicizia con un parente di un dipendente della Taodue per imporre il 'pizzo' anche alla produzione della fiction antimafia, ma anche l'indicazione delle ditte 'amiche' alle quali rivolgersi per forniture e pasti durante le riprese televisive.
I boss, secondo gli investigatori, si occupavano poi di rifornire di piccole quantità di droga anche la troupe. “Abbiamo riscontrato - ha spiegato il colonnello Paolo Piccinelli, comandante del reparto operativo - che un dipendente della Taodue era imparentato con una persona molto vicina al mandamento di Porta Nuova, che imponeva di far lavorare alcune ditte per la fornitura di beni e servizi, aziende che erano tutte vicine a Cosa nostra”.
lnoltre il clan di Portanova effettuava anche dei rifonamneti di cocaina. Il pusher era Giovanni Giammona. Alcuni tecnici della produzione lo contattavano al telefono ordinandogli le dosi di droga e usando un linguaggio in codice: “Volevo sapere se... che ne so... tanto il furgone hai visto dov'è, io sono sempre là... dove mi hai visto l'altro giorno. Una fotocopia così...”. A volte la qualità non era buona: “...mi vuoi proprio male a me? Ma male... no, la fotocopia mia non... non è uguale a... non si vede proprio! no, ma non è proprio uguale a quelle altre fotocopie, come mai?...”. Un altro uomo della produzione era interessato all'acquisto di più dosi: «...ora ti chiama adesso... non lo so vogliono fare... una bella spesa...”.

Un pensiero ai carcerati
Dalle indagini è anche emersa una nuova tendenza in Cosa Nostra in merito al mantenimento dei carcerati. A rivelarlo è stato il procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo, a margine della conferenza stampa in Procura: “Si sta preparando una sorta di innovazione nella previdenza nei confronti dei familiari dei carcerati. Il mantenimento non consiste più nel versamento di una rata mensile, ma in un unico pagamento per mettere in grado il nucleo familiare di iniziare un'attività produttiva, affrancandosi così dall'esigenza di 'versamenti'mensili”. In merito alle estorsioni compiute dai clan Messineo ha aggiunto: “Le estorsioni rimangono l'affare principale di Cosa nostra a Palermo, quasi un elemento fondante di un'attività che serve per sopravvivere. Inoltre aAbbiamo notato una decisione strategica: quella di non presentarsi direttamente nei cantieri in costruzione per riscuotere il pizzo, ma di contattare le vittime prima ancora dell'avvio dei lavori sulla base della sola notizia del rilascio della concessione. Insomma i boss, potendo contare su funzionari compiacenti al Comune, sarebbero in grado di conoscere in tempo reale le licenze edilizie concesse e i cantieri da aprire, presentandosi così ai titolari delle ditte che si occupano dei lavori ben prima che questi siano avviati”. Nel corso dell'operazione è stato anche registrato qualche episodio di collaborazione da parte di alcuni imprenditori taglieggiati. “Ma si tratta ancora di casi sporadici troppo pochi per parlare di una decisiva inversione di tendenza. Palermo - ha aggiunto - è ben lontana dalla normalità, che significa denunciare le richieste di pizzo di cui si è vittime. Certo queste forme di collaborazione, che nascono qua e là, ci fanno ben sperare”.

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