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di Sofia Nardacchione - Audio
Il 2 aprile 1985 è un martedì, sono passate da poco le 8.30, Barbara Rizzo è uscita dalla sua casa a Pizzolungo, una piccola frazione di Erice, nel trapanese, per accompagnare a scuola i figli, Giuseppe e Salvatore Asta, di sei anni. La sua macchina viene superata da quella del giudice Carlo Palermo e in quel preciso momento viene fatta esplodere un’autobomba. Barbara, Giuseppe e Salvatore muoiono: la loro macchina fa da scudo a quella di Palermo, che si salva, insieme agli uomini della scorta. La strage di Pizzolungo è uno dei tanti attentati mafiosi sui quali non c’è ancora una verità completa: sono passati trentacinque anni ed è in corso il quarto processo per individuare i mandanti. È una strage che racconta tanto: della mafia nella Sicilia degli anni Ottanta, di mafiosi che non si fanno scrupoli nel far saltare un’autobomba nonostante sappiano che colpirà delle persone innocenti, di un dolore che si trasforma in impegno, di una lunghissima ricerca di verità e giustizia e, infine, della ribellione interna alle famiglie mafiose.

Sono questi gli elementi che sono stati approfonditi nella nuova serie di podcast di Sentiti Libera: quattro puntate che partono proprio da quel 2 aprile 1985 e arrivano ad oggi, mentre è in corso il quarto processo per fare luce sulla strage.

I podcast a cura di Libera Bologna e Q Code Mag

Strage di Pizzolungo, capitolo uno

Strage di Pizzolungo, capitolo due

Strage di Pizzolungo, capitolo tre

Strage di Pizzolungo, capitolo quattro

Nei precedenti processi, come mandanti sono stati condannati in primo grado all’ergastolo Totò Riina e Vincenzo Virga, capi mafia di Palermo e Trapani. Come esecutori sono stati invece condannati i palermitani Nino Madonia e Balduccio Di Maggio: furono loro a portare a Trapani il tritolo usato per l’autobomba. Nel primo processo vennero condannati in primo grado all’ergastolo anche i boss Gioacchino Calabrò, Vincenzo Milazzo e Filippo Melodia, ma vennero poi assolti sia in Appello che in Cassazione. Tutti e tre sono stati indicati come esecutori della strage nelle successive dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, ma non potranno mai più essere processati, a causa della sentenza definitiva di assoluzione.

Pezzi di verità che devono ancora essere messi insieme. Una verità che, forse, dopo la sentenza del quarto processo sulla strage di Pizzolungo sarà più completa. L’unico imputato di questo processo è Vincenzo Galatolo. Un nome importante: il boss palermitano, considerato vicino ad ambienti deviati dei servizi segreti, è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Non solo, la famiglia dei Galatolo organizzò il fallito attentato all’Addaura a Giovanni Falcone, nel 1989. Ora è accusato anche di essere il mandante e l’ideatore dell’attentato al giudice Carlo Palermo.

Ad accusare il boss di Cosa Nostra è stata la figlia, Giovanna Galatolo, che ha deciso di rinnegare mafia e famiglia e diventare collaboratrice di giustizia. Prima delle sue dichiarazioni, il movente era stato ricondotto alla strategia mafiosa negli anni Ottanta, che mirava a colpire magistrati e forze dell’ordine che lavoravano contro Cosa Nostra. Non è mai stato approfondito il ruolo dei poteri occulti e dei servizi segreti deviati, a cui è considerato vicino proprio il boss Vincenzo Galatolo. Lo scorso settembre l’accusa ha chiesto una pena a 30 anni di carcere: la sentenza è prevista per il prossimo settembre.

Tratto da: liberainformazione.org

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