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di Vincenzo Musacchio*
Noi italiani siamo un Paese senza memoria. L’Italia rimuove il suo passato e conserva solo ciò che le fa comodo. E’ un paese, gattopardesco, in cui tutto cambia per restare com’è. In cui tutto scorre per poi impantanarsi nella melma della politica corrotta. Se l’Italia avesse cura della sua memoria, si accorgerebbe di uomini cinici, distaccati dall’etica, insofferenti alla coerenza, e privi di qualsiasi tensione morale che siedono sugli scranni delle istituzioni democratiche. A distanza di quasi trent’anni c’è ancora chi, fuori e dentro le istituzioni, vuole tenere nascosta la verità sulle stragi di mafia. Quella politica che con orgoglio urlava “onestà…onestà” e che voleva governare l’Italia proprio con Di Matteo, addirittura come Ministro della Giustizia, combattendo il malaffare di molti partiti allora al Governo, oggi governa con questi partiti e si schiera contro Di Matteo difendendo Bonafede senza se e senza ma. Antonino Di Matteo dà fastidio perché ha osato indagare su quella stagione di sangue e sulla trattativa che ci fu tra Stato e mafia affinché la verità giungesse finalmente fuori. Siamo di fronte ad un uomo che da oltre vent’anni vive sotto scorta senza avere più un briciolo vita normale come tutti noi. A coloro i quali pensano alle scorte come simbolo di potere e autorità, avendo io solo vissuto un periodo di semplice vigilanza di polizia, vorrei fare un invito a riflettere su cosa significa non potere vivere anche i momenti più personali o familiari con la libertà e la normalità di tutti e costringere chi ti sta accanto a sopportare le preoccupazioni e le limitazioni della vita privata. Ho parlato con Di Matteo un paio di volte e mi è parso subito un magistrato che non si ferma davanti agli ostacoli, nel suo lavoro, nella ricerca della verità e della Giustizia. Se si è permesso di denunciare l’ipocrisia di una politica “farlocca” che vuole umiliarlo lo ha fatto raccontando i fatti come sono andati. Ma in Italia esporre i fatti spesso fa scattare l’accusa di protagonismo e di politicizzazione. Raccontando i fatti avrebbe infangato addirittura le istituzioni. Comprendo cosa Di Matteo stia provando, sentendosi accerchiato e isolato da quelli che prima lo osannavano e che oggi si accorge, lo hanno spudoratamente usato. A fargli male non sono le mediocrità di un Ministro qualunque, a fare male è soprattutto l’ostilità, da parte di chi ai più alti livelli istituzionali dovrebbe essere al suo fianco nella battaglia per la verità e invece fa finta di niente. Di Matteo, vive sotto scorta perché è stato condannato a morte da Totò Riina, non dimentichiamolo. Bonafede non può ritenersi un paladino dell’antimafia solo perché da qualche mese firma 41-bis come se fosse qualcosa di straordinario: fa semplicemente il suo dovere. In un Paese davvero democratico ci sarebbe stata una rivolta di popolo per la verità su questa questione. La verità invece è vergognosamente misconosciuta. Per me Di Matteo resta l’ultimo baluardo contro uno Stato colpevole di non lottare le mafie come dovrebbe esser fatto. Per questo io sto con Di Matteo e con chi lavora e si sacrifica al suo fianco. Da semplicissimo cittadino rivendico il diritto alla giustizia e alla verità. Non accetto il silenzio omertoso delle istituzioni, la reticenza, o peggio la complicità. Pretendo che non resti ancora una volta tutto avvolto dalla nebbia, nella speranza evidentemente che il tempo cancelli le prove e faccia calare definitivamente il sipario su questo increscioso episodio. Si accertino responsabilità e collusioni, se vi sono state. Sto con Di Matteo quando ricerca la verità. Sto con Di Matteo quando rileva l’anomalia di un Ministro che prima chiama e offre e poi all’improvviso revoca. La storia si ripete e a fare carriera sono non i più bravi ma quelli che hanno l’appoggio della politica. Non si era andati al Governo per cambiare questi meccanismi clientelari? Uomini come Paolo Borsellino, come Giovanni Falcone, come Antonino Caponnetto, non si sarebbero mai accontentati di mezze verità. Per loro, per onorarne davvero la memoria, per tutti coloro hanno perso la vita in quella stagione di sangue, non possiamo accontentarci nemmeno noi oggi: pretendiamo la verità. Per tutto questo io sto ancora con Nino Di Matteo e non cambio idea per mero opportunismo.
(8 maggio 2020)

* Giurista e docente di diritto penale, associato della School of Public Affairs and Administration (SPAA) presso la Rutgers University di Newark (USA). Presidente dell’Osservatorio Antimafia del Molise e Direttore scientifico della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise.

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