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di Piero Innocenti
Una volta superata la gravissima emergenza sanitaria che stiamo vivendo e che ha già causato tanti morti in Italia, diffuso ansie e paure in tutto il Paese, sconvolta la vita di milioni di persone, cosa ci aspetta su un altro fronte, quello della criminalità, rimasta (quasi) completamente inoperosa per tanto tempo anche per le forti limitazioni alla libertà di circolazione?
Rifletto su questo perché ho appena finito di leggere il report, di poche pagine, sull’andamento della delittuosità in relazione alla emergenza epidemiologica da Covid-19, redatto dal Servizio Analisi Criminale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza e relativo al periodo 1-22 marzo 2020.
Uno scenario in cui si registra una netta diminuzione, meno 64,2%, dei delitti denunciati (52.596) nel suddetto periodo in raffronto ai 146.762 delitti dello stesso periodo del 2019. Un calo significativo anche se, debbo dire, mi sarei aspettato decrementi percentuali ancor di più accentuati, almeno nelle regioni maggiormente colpite dall’epidemia (Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Veneto), tenuto conto delle tempestive rigorose restrizioni nella libertà di movimento adottate, della chiusura di gran parte delle attività commerciali e della massiccia presenza su strada di personale delle forze di polizia, di quelle locali, di contingenti dell’esercito.
Francamente, 2.701 furti nelle case, 2.162 borseggi e 2.868 furti su auto in sosta in un Paese sotto stretto controllo poliziesco e con poca gente in giro, non sono pochi. Nessuno, intendiamoci, pensava di vedere completamente annullati i delitti, neanche se fosse stato adottato il “coprifuoco” e si fosse davvero militarizzato tutto il territorio, come qualcuno, demagogicamente, sollecitava. La criminalità esiste, è una malattia di ogni società e non deve diventare un’ossessione.
Resta da capire, tuttavia, cosa potrà accadere quando, terminata questa terribile esperienza, la criminalità comune (la grande criminalità continua sempre imperterrita anche nell’attuale emergenza) tornerà baldanzosa e pervasiva come sempre nelle strade e nelle città per recuperare il tempo perduto e tornare al “lavoro” quotidiano. Temo che ci sarà molto da fare per le forze di polizia (le cui risorse umane sono ridotte, come è noto) e sarà necessario integrare ancor di più, magari con contingenti dell’esercito (ai militari è stata data la qualifica di agenti di pubblica sicurezza) il dispositivo di sicurezza nazionale per un serrato controllo del territorio ai fini preventivi e repressivi.
Già mi immagino, innanzi alla probabile recrudescenza di fatti criminali, le rinnovate iniziative da parte di gruppi di vicinato di fare la vigilanza nottetempo come è stato fatto fino ad un paio di mesi fa in molte città, prima che iniziassero i primi segnali della epidemia. Non mancheranno, statene certi, iniziative finalizzate a “richiamare in servizio” (con un bando?) poliziotti e carabinieri in pensione da poco. Aumenteranno, di nuovo, le richieste di servizi di vigilanza privata, di montaggio di grate alle finestre, di porte blindate, di collegamenti di teleallarme alle centrali di polizia e carabinieri.
Saranno “sconsigliati” gli arresti in flagranza di reato da parte della polizia giudiziaria e si cercherà di procedere a denunce in stato di libertà per non creare altri problemi ad un sistema carcerario perennemente in crisi per il sovraffollamento. I magistrati aumenteranno le detenzioni domiciliari, con tutto quello che comporta in termini di vigilanza da parte delle forze di polizia per verificare l’osservanza degli obblighi imposti stando in “casa” (da dove, spesso, si continua a delinquere come fanno molti spacciatori). Gli uffici e comandi delle forze dell’ordine, verosimilmente, si troveranno a fronteggiare un più consistente numero di denunce e querele presentate dai cittadini (nel 2018 e 2019, mediamente, sono stati 7.500 i reati denunciati giornalmente) dovuto alla accentuata “ripresa” delle attività delinquenziali, con la conseguenza che, spero di sbagliare, sarà difficile, salvo situazioni particolari, fare indagini approfondite per individuare i responsabili (attività già oggi non facile).
Tanto più che, temo, le forze di polizia potrebbero essere chiamate a fronteggiare situazioni di tensione e di turbolenze in alcuni contesti territoriali del Paese in relazione alla gravissima situazione economica che si sta profilando e per la quale, sin da ora, si predispongono rimedi che speriamo possano essere sufficienti.

Lo Stato, volendo, può sconfiggere anche il virus mafioso
Se lo Stato poi avesse mobilitato contro l’espandersi della criminalità mafiosa le risorse umane specialistiche, quelle finanziarie e quelle straordinarie dell’intera comunità nazionale, con la stessa determinazione che sta mettendo nell’attuale gravissima emergenza sanitaria nazionale (e mondiale), forse, oggi, non saremmo ancora a parlare del “contagio” diffuso e incontrollabile delle mafie nostrane e di quelle straniere che trovando un “terreno fertile” si sono insediate da anni nel nostro Paese.
Risorse ingenti, come noto, con procedure veloci, per i problemi sanitari e dell’economia, ma anche, finalmente, la consapevolezza di tutta la politica di come sia molto elevato il pericolo di infettare una grossa fetta della popolazione con conseguenze drammatiche sul piano della mortalità e su quello economico e sociale.
Presi come siamo – in uno stato di semi detenzione domiciliare – da questi pensieri che ci turbano non poco, è passata in sordina la “Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza 2019” redatta dai nostri Servizi dell’Intelligence (Presidenza del Consiglio dei Ministri) e presentata in Parlamento a febbraio scorso quando si stava appena profilando la situazione di allarme sanitario in alcune cittadine lombarde.
Tra i temi analizzati, tutti di particolare rilevanza, non poteva mancare quello sulla criminalità organizzata e, in particolare, “le proiezioni delle mafie all’estero”, le “infiltrazioni criminali nel ciclo dei rifiuti” e sulla “criminalità nigeriana: i sistemi dell’euro to euro e dell’osusu”.
Così, mentre nell’attuale momento storico si rileva una forte riduzione della delittuosità imputabile alla c.d. criminalità di strada, predatoria, dovuta essenzialmente alla scarsa mobilità di delinquenti collegata alla emergenza del coronavirus, la grande criminalità se ne infischia altamente di tutto questo e dovendo pensare a riallocare le proprie disponibilità economiche fa ricorso “a schemi sofisticati realizzati anche grazie al supporto assicurato da studi professionali compiacenti e largamente utilizzati pure per finalità di evasione fiscale”.
Così, Cosa nostra sembrerebbe “fortemente indebolita dall’azione di contrasto” e starebbe ricercando “nuove opportunità di affari al di fuori dei territori di matrice” mentre la ‘ndrangheta continua ad essere la “regina” delle mafie con la sua capacità “di adattarsi ai mutamenti di scenario, alle diversità dei contesti e alle emergenze organizzative conseguenti all’azione di contrasto”.
E’ quanto si è rilevato anche con l’ultima operazione di polizia “Rinascita-Scott” (dicembre 2019) che ha evidenziato, ancora una volta, “i rapporti illeciti tra c.o., massoneria, e un ampio novero di imprenditori, avvocati, politici e amministratori locali”. E’ da questi articolati network relazionali che si propaga quel virus, per nulla invisibile, che di tanto intanto, con qualche indagine di polizia giudiziaria si riesce ad intercettare e a neutralizzare per un breve tempo perché il contagio è ormai diffuso.
Come ci ricorda la relazione in argomento che, parlando della camorra, rileva il suo “attivismo imprenditoriale (..) in diversi settori economici all’estero nonché del basso Lazio, area di tradizionale insediamento anche per la ‘Ndrangheta. Un Paese in cui la sua Capitale e tutta la provincia registrano “l’operatività di diverse matrici delinquenziali dedite ad un’ampia gamma di attività criminali” con comitati d’affari che sono “espressione di varie formazioni criminali, attivi, tra l’altro, nel settore degli appalti pubblici e nella gestione del ciclo dei rifiuti, oltre che nel riciclaggio dei proventi illeciti”.
Pochi, ma significativi, i cenni informativi sui clan baresi e foggiani, sulla loro “insidiosa crescita organizzativa e capacità di infiltrare l’economia legale”, anche grazie alle “indebite interferenze nell’apparato amministrativo locale”.
Occorrerebbe un vero, profondo processo di sanificazione di tali ambienti che lo Stato potrebbe fare se veramente volesse risolvere, una volta per tutte, l’emergenza connessa alla diffusione del virus mafioso. Chi avrà il coraggio di avviare tale progetto?

Tratto da: liberainformazione.org

Foto © Imagoeconomica