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di AMDuemila
Dai misteri sulle stragi del 1992 e del 1993, ai numerosi depistaggi di Stato, come quello sulla strage di Via D'Amelio dove persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta (definito dalla sentenza di primo grado del processo Borsellino Quater come “il più grave depistaggio della Storia della Repubblica"); dalla scomparsa dell'agenda rossa, al processo (del secolo) sulla Trattativa fra Stato e Mafia (certificata da una sentenza di primo grado che molti hanno voglia di rimuovere in vista dell'appello), fino ad arrivare ai continui attacchi istituzionali subiti nel corso degli ultimi anni da un ristretto gruppo di magistrati coraggiosi e determinati nella ricerca della verità su quegli anni.
Da uno Stato che per scelta politica non si prende cura del proprio territorio mettendo costantemente a rischio la vita dei propri cittadini, ad un “sistema” politico, amministrativo, giudiziario, affaristico sempre più compromesso.
Argomenti in apparenza diversi e scollegati che Francesco Bertelli mette come fossero uniti da un unico file rouge in questo suo nuovo libro Dossier Italia 2013-2019. Raccolta di articoli su mafia e politica (Edizione Aggiornata) con ilmiolibro.it Gruppo Editoriale Feltrinelli.
Bertelli, collaboratore di ANTIMAFIADuemila e di altre riviste online come laGiustizia.info, PiazzaFoglia.it, unisce tutte le sue collaborazioni avute nel corso degli ultimi sei anni fin dai tempi universitari (dal 2013 al 2019 appunto), dando vita ad una raccolta di articoli che alla fine formano un puzzle completo. Da osservatore e appassionato, Francesco racconta, in stile di cronista, passo passo quel che è accaduto in questo nostro strano Paese in questi anni.
E c'è amarezza nelle sue parole. C'è interesse, da parte di tutti noi cittadini a conoscere, studiare, riflettere e capire che cosa è successo in Italia e perché è successo? C'è la volontà di conoscere il nostro passato oppure si tratta solo di una volontà in mano a pochi?
C'è un motivo se la vecchia mafia del boss con la coppola in capo è mutata, lasciando il posto ad una mafia imprenditoriale, dei colletti bianchi, che ha trovato casa e appoggi nel mondo politico?
Per non parlare dei magistrati in pericolo di vita. Giustamente Bertelli va a concentrarsi sugli attacchi che uno sparuto gruppo di servitori dello Stato ha subìto dal 2013 ad oggi. Non solo a livello istituzionale (fino a scomodare la Presidenza della Repubblica). Questi magistrati rischiano, hanno rischiato (e rischiano tutt'oggi) la vita: nomi come Nino Di Matteo, Roberto Scarpinato, Antonio Ingroia, Francesco Del Bene. Alla maggioranza degli italiani sono nomi che dicono qualcosa oppure sono soltanto in pochi a conoscere le loro storie?
I continui negazionismi e negazionisti sull'esistenza di un patto fra pezzi dello Stato (deviati rispetto a cosa?, si chiede Bertelli) e uomini di Cosa Nostra hanno come unico obiettivo quello di screditare il processo sulla Trattativa. Continuare a parlare di “presunta trattativa” ci ha portato a separare i vari argomenti e a ragionare per compartimenti stagni: le stragi, i depistaggi di Stato, i patti fra Stato e mafia, una giustizia che non funziona (debole con i forti e forte con i deboli), una strategia politica sempre e solo emergenziale e mai di largo respiro. Sono tutti argomenti che vanno uniti insieme come un unico disegno.
E se a distanza di 27 anni da quelle bombe, da quel passato che non se ne va mai via ma rimane lì ben presente, ancora la volontà da parte dello Stato di processare se stesso non c'è, Bertelli ci fa una domanda: ma noi cittadini, in questi anni, dove eravamo?

DATI AUTORE
Dottore in Giurisprudenza, collabora con una serie di riviste online: laGiustizia.info (quotidiano fondato da Antonio Ingroia), AntimafiaDuemila, AzioneCivile.net, PiazzaFoglia.it (quotidiano online del Comune di Rozzano [MI]). Ha scritto altri due romanzi: “Rosso Sangue”(2012), “Jòzefòw '42” (2013). Nel 2018 ha pubblicato “Dossier Italia 2013-2018- Raccolta di articoli su mafia e politica”.

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Estratto libro

SEGRETI DI STATO
di Francesco Bertelli

“La vera storia dello stragismo italiano è rimasta in larga misura nell'ombra a causa dell'impotenza della giurisdizione a fare luce sulle occulte causali politiche delle stragi, sui mandanti eccellenti e, talora, persino sugli esecutori materiali.”
(Roberto Scarpinato, Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Palermo, durante il 22° anniversario della Strage di Via D'Amelio 19 luglio 2014)

dossier italia 2013 2019Il 19 luglio 1992 alle ore 16.58 Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta (Emanuela Loi, Walter Eddie Cosina, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina) saltano in aria in Via D’Amelio. In una Fiat 126 parcheggiata proprio davanti al cancello che immetteva al palazzo in cui abitava la madre del giudice, un ordigno composto da 90 chili di tritolo (Semtex-H) viene fatto esplodere. I corpi dei sei servitori dello Stato sono sparsi un po' ovunque. Solo un agente si salva e rimane ferito perché si era spostato con la sua ammiraglia a fare la manovra di svolta al termine della via: è Antonio Vullo. L’onda d’urto dell’esplosione lo investirà e gli farà perdere conoscenza per qualche minuto. Al risveglio lo scenario che gli presenterà davanti è da film del terrore.
Che ci sia una donna tra le vittime, lo si capisce per un tremendo dettaglio: proprio in prossimità di un terrazzo del secondo piano dell’edificio c’è una chiazza rossa alla parete. In mezzo, ci sono dei ciuffi di capelli rossi rimasti appiccicati al muro dalla forza dell’esplosione: è quello che resta di Emanuela.
In mezzo alla strada e sul marciapiede ci sono i resti degli altri agenti. Di Paolo Borsellino rimane il busto che è volato al di là della ringhiera di entrata. A riconoscerlo saranno alcuni colleghi giunti nel luogo della strage pochi minuti dopo, quando ancora il corpo non era stato coperto dai teli degli addetti al servizio sanitario. Viene riconosciuto da due dettagli: la dentatura e quei baffetti inconfondibili.
Ma questo è solo il teatro cruento di quella strage. Succede qualcos’altro di ancora più sconvolgente.
Un dato certo è che dalle 16.59 fino alle 17.30 il teatro della strage rimane senza transenne o recinti. Tutti possono transitarvi. E accade uno dei fatti che si accomuna ai tanti misteri della nostra storia Repubblicana. Dietro ogni omicidio eccellente c’è sempre un fatto strano. Questo però è uno dei peggiori: tra le 17.20 e le 17.30 accade qualcosa. Un uomo con la pettorina azzurra e distintivo viene immortalato in una fotografia che salterà fuori soltanto nel 2005: è il Capitano Giovanni Arcangioli, in mano ha la borsa del giudice Borsellino. Se si va su youtube esiste il video che dura pochi secondi in cui si vede l’uomo in questione dirigersi verso via Dell’Autonomia Siciliana, attigua a Via D’Amelio. E’ in quei dieci minuti che accade di tutto. Alle 17.30 quando Via D’Amelio viene recintata e quando altri soggetti si avvicinano alla macchina del giudice Borsellino, trovano la sua borsa nella parte posteriore della vettura: all’interno oltre al costume da bagno ancora umido di Borsellino (che aveva fatto il bagno quello stesso pomeriggio nella sua villa al mare) verrà trovata l’agenda grigia del giudice in cui vi venivano segnati i vari appuntamenti. Ciò che però scompare per sempre è la sua agenda rossa. Un’agenda in pelle, regalo dell’Arma dei Carabinieri di cui Borsellino non si separava mai dal giorno della morte del suo amico fraterno Giovanni Falcone. Era un’agenda in cui Borsellino segnava tutte le sue riflessioni. Fin da subito i familiari (la moglie Agnese, i figli Lucia, Fiammetta e Manfredi) denunciano la scomparsa di questa agenda. E soprattutto confermano un dato importante: quel pomeriggio del 19 luglio quando Paolo Borsellino si era recato dalla madre per accompagnarla ad un controllo medico, si era portato l’agenda rossa.
Chi ha preso quell’agenda? Dalle risultanze del Borsellino quater qualche passo in avanti in questo senso è stato fatto. Anche se sono molti i misteri che permangono. Di sicuro un dato certo è che Giovanni Arcangioli ha avuto in mano quella borsa, nel momento antecedente al reinserimento della stessa all’interno della vettura in fiamme. Non c’è la prova però che abbia sottratto l’agenda rossa.
Altro mistero è la testimonianza di un poliziotto che ricorda di aver visto un uomo in giacca e cravatta che era alla ricerca della borsa del giudice e alla domanda di chi fosse questo mister x avrebbe detto: “Appartengo ai servizi”. E’ molto probabile che qualche soggetto misterioso all’interno di quel video (consultabile su youtube in due versioni, una breve e una più lunga) può aver sottratto l’agenda di Paolo Borsellino. Altro elemento certo, secondo la Procura di Caltanissetta che ha tentato di far luce sul mistero della scomparsa dell’agenda rossa, questo mister x si troverebbe nel video oggetto della vicenda.
Ci sono poi le versioni contrastanti di Giuseppe Ayala, giunto sulla luogo della strage subito dopo l’esplosione, il quale, sia nella prima inchiesta sulla scomparsa dell’agenda rossa che poi non arrivò al dibattimento (perché secondo i giudici non c’è la prova effettiva che quel 19 luglio Paolo Borsellino avesse dentro la borsa l’agenda rossa), e sia durante la parte del Borsellino quater e dei precedenti tre processi in nei momenti in cui ci si è concentrati sulla scomparsa dell’agenda rossa, ha dato sei versione diverse. Alla fine non si riesce a capire se lui ha avuto in mano la borsa o se l’ha data a qualche altro soggetto lì presente nelle vicinanze. Né si sa con certezza se qualcuno dei soggetti in questione ha aperto la borsa e sottratto l’agenda.
Il Borsellino quater è un processo che ha ad oggetto il depistaggio sull’omicidio Borsellino e che ha smontato l’impianto costruito nei tre processi precedenti(Borsellino uno, Borsellino bis e Borsellino ter), portato alla scarcerazione di Vincenzo Scarantino, piccolo boss di borgata che dopo pochi giorni dalla strage venne arrestato in quanto si era autoaccusato di essere l’autore della strage. Il tutto però cade fin da subito (nel 1996 egli stesso ritratta le sue dichiarazione per poi riconfermarle come se fosse stato quasi costretto a farlo), ma con tante complicità a livello degli apparati dello Stato, Scarantino si fa quasi diciotto anni di carcere. Perché?
Questi due fatti, la scomparsa dell’agenda rossa e il depistaggio che ha portato alla scarcerazione di Scarantino, si ricollegano ad un altro argomento che li tiene entrambi fusi insieme: la Trattativa tra Stato e mafia, avvenuta tra la strage di Capaci e la morte di Paolo Borsellino per una prima parte, poi protrattasi nei due anni successivi.
Che cosa sapeva Paolo Borsellino di questa trattativa? Dopo anni di misteri e di silenzi si è arrivati a scoprire che egli sapeva, era a conoscenza di un dialogo tra vertici dello Stato e dei Ros e vertici di Cosa Nostra proprio all’indomani della strage di Capaci dove aveva perso la vita il suo amico fraterno Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti di scorti. Si è venuti anche a sapere che Paolo Borsellino si mise di traverso contro questo patto scellerato. E si sa anche che dal giorno in cui aveva perso la vita Falcone, Borsellino non si separò mai dall’agenda rossa, continuando a scriverci sopra in continuazione.
“Sto vedendo la mafia in diretta”, disse alla moglie Agnese poche settimane prima di morire. Come non ricordarsi le parole che Borsellino pronunciò nel suo ultimo intervento pubblico all’Università di Palermo il 25 giugno 1992, in attesa di essere chiamato dalla Procura di Caltanissetta, come testimone della strage di Capaci? “Io sono testimone. [...] Sono testimone perché dopo la morte di Giovanni mi sono fatto delle convinzioni. [...] E tutto quello che io so però voglio raccontarlo all’autorità giudiziaria”. Nessuna autorità giudiziaria lo chiamerà mai.
Perciò, tornando a noi: chi aveva interesse a far sparire l’agenda rossa? Chi aveva interesse affinché un depistaggio maturasse effetti così indecenti per la ricerca di verità e giustizia? E la Trattativa? Che effetti ha provocato dal 1992 al 1994? E tutt’oggi come siamo messi? C’è qualcuno che ha la decenza di raccontarci cosa sta succedendo e cosa sia successo? Fu solo mafia oppure uomini insospettabili dello Stato hanno agito in nome di una indicibile “Ragion di Stato”?
E soprattutto: come mai in questi ultimi anni si è sentito parlare pochissimo di tutto questo, finendo per passare per complottisti sfigati?

Ps: Nella lettura degli articoli presenti in questa parte, troverete anche la storia di un certo “Faccia da mostro”. Chi era? Perché inserirlo in questa sezione? Non è un personaggio di finzione. Anzi. E come lui ce ne sono stati parecchi nella storia di questo Paese.
E’ un dato certo che nella parte deviata dello Stato, vi stesse un gruppo ristretto di agenti speciali, comandati nell’eseguire gli ordini più crudeli e impensabili. Il braccio armato dello Stato. Quelle menti raffinatissime di cui parlò Giovanni Falcone per commentare il fallito attentato ai suoi danni nel 1989 all’Addaura. Quelle stesse menti raffinatissime che hanno sottratto l’agenda rossa di Paolo Borsellino facendola sparire per sempre. Quindi, se vi spaventate fate bene: di “Facce da Mostro” ce ne sono, purtroppo, tantissime.

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