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di Valentina Tatti Tonni - Intervista
“In Puglia ormai è consolidato il principio che ci consente di parlare di mafie e non di mafia.
Ciò in relazione alla lunghezza e alla vastità della regione che, non avendo mai avuto una criminalità organizzata unita, si è andata frastagliando a seconda della posizione geografica. (…) Il diffuso e sistematico rinvenimento di armi in tutta la Regione, parallelamente agli svariati, gravi fatti di sangue, fornisce ampia conferma del potenziale militare delle cosche pugliesi, che non si fanno scrupolo di sparare in pieno giorno nei centri cittadini e mietere vittime anche tra persone che nulla hanno a che fare con le dinamiche criminali locali. Si pensi al caso dell’anziana pensionata di Bitonto, uccisa nel corso di un’azione di fuoco tra clan contrapposti, il 30 dicembre 2017609. Anche nel semestre in esame si sono registrate diverse sparatorie che, a Bari ad esempio, hanno colpito elementi di vertice di alcuni sodalizi, come il reggente del clan Capriati. Sparatorie che sono indicative, in provincia di Bari ma anche nel foggiano, delle profonde fibrillazioni tra le cosche, riferibili alle persistenti contese per il controllo del territorio” scrive così la Direzione Investigativa Antimafia (DIA) nella relazione del secondo semestre 2018 sulla criminalità organizzata pugliese e lucana. Fattispecie che vengono confermate dnel libro di Andrea Leccese (in foto), edito da Castelvecchi e pubblicato nel giugno scorso con il titolo Malapuglia, crasi scelta dall’autore come nel caso del precedente Massomafia e che nelle note finali, dopo aver scritto con aderenza e rigore nelle fonti ufficiali quattro capitoli sulle mafie pugliesi, scrive: “Partiamo dalla bellezza della nostra terra”.
Ed è proprio per (ri)partire dalla Puglia che lo abbiamo raggiunto al telefono per porgergli alcune domande.

Che cosa l’ha spinta a scrivere un libro sulla criminalità in Puglia?
Ho notato che non c’era un solo libro che parlasse delle mafie pugliesi. È vero che c’è un’origine comune, la famosa sacra corona unita, nata negli anni Ottanta nel carcere di Bari e capeggiata da Pino Rogoli almeno nella prima fase, ma quello è stato più un progetto di mafia regionale che di fatto non è stato proprio realizzato. Possiamo suddividere, senza pretese di esaustività, le mafie pugliesi in mafia foggiana, mafia barese e mafia salentina. Quindi sarebbe più corretto parlare di mafie pugliesi che hanno delle caratteristiche anche distinte: la mafia foggiana è quella più rumorosa ma forse, io parlo sulle evidenze giudiziarie, forse non ha la dimensione economica che hanno raggiunto invece le altre mafie, quella barese e quella salentina che hanno scelto, guarda caso da parecchio tempo, la strategia dell’inabissamento e quindi fanno meno reati rumorosi per occuparsi meglio di affari e attirare meno l’attenzione dell’opinione pubblica.

Quindi non c’è stato un evento particolare che l’ha spinta a scrivere il libro. Ha sentito la necessità di farlo.
Sì, io sono pugliese e ho avuto questa impressione: una continua sottovalutazione del fenomeno e il fatto che non ci siano libri che parlino di mafie pugliesi è sintomo di sottovalutazione. La sottovalutazione c’è stata per molto tempo in Puglia, anzi, si traduce normalmente in impunità per i boss e lo diceva già Gaetano Mosca nei primi anni del Novecento che il mafioso esercita l’arte di delinquere impunemente. Per tanto tempo in effetti c’è stata una grave sottovalutazione del fenomeno da parte dei poteri pubblici e questo si è tradotto nel rafforzamento e nel consolidamento di queste organizzazioni malavitose.

Anche il fatto che ci siano pochi giornalisti che sul territorio si occupano di mafia, mi sembra sintomatico.
malapugliaQuesto può essere sintomatico. La mafia pugliese è poco conosciuta, io qualche tempo fa parlando con un libraio nel Veneto e lui proprio non immaginava neanche che ci fosse una mafia anche in Puglia. Troppo spesso, questo accade ancora oggi, c’è un approccio scorretto al fenomeno mafioso, sembra quasi che si pensi che si tratti solo di un problema di ordine pubblico invece è anche un problema di ordine pubblico, ma è soprattutto un problema che riguarda la correttezza dei rapporti economici, le organizzazioni mafiose possono essere imprese mafiose, come io le definisco spesso, imprese che hanno un vantaggio rispetto all’imprenditore onesto cioè di avere quella forza intimidatrice del vincolo associativo. In più, la cosa ancor più grave, è un problema che riguarda la qualità della democrazia perché, sappiamo benissimo che le organizzazioni mafiose detengono pacchetti di voti che vengono messi magari a disposizione di candidati senza scrupoli e le conseguenze si possono immaginare.

Interessi mafiosi diretti non solo verso gli illeciti ma anche verso i giovani…
Il forte potere attrattivo di queste organizzazioni nei confronti dei giovani, addirittura dei minorenni è un problema che viene evidenziato anche nelle relazioni della Commissione Parlamentare Antimafia e della DIA a partire dagli anni Novanta e questo secondo me è un dato allarmante. Tra l’altro le evidenze giudiziarie, ci sono anche articoli che parlano di questo argomento, pare che non si tratti soltanto dei giovani che provengono da famiglie disagiate oppure dei giovani dei quartieri popolari ma sono anche giovani della piccola-media borghesia magari attratti dal desiderio del guadagno facile. È da sempre una caratteristica delle mafie pugliesi questo forte potere attrattivo nei confronti dei giovani, questo lo scrive già Luciano Violante, nel libro che io cito sempre Non è la piovra, del 1994 [ed. Einaudi, ndA.].

Date le conferme giudiziarie, com’è possibile che la gente non solo sia ancora omertosa ma che spesso non creda affatto nell’esistenza di un fenomeno mafioso così evidente?
La gente è omertosa perché ha paura e le organizzazioni mafiose operando sul territorio vengono sottovalutate e quindi non vengono colpite adeguatamente, anche soprattutto sul piano economico-patrimoniale, è anche fisiologico che le persone abbiano paura. Nella provincia di Foggia c’è soltanto il Tribunale di Foggia, nel 2012 con un provvedimento che io ho difficoltà a valutare in maniera positiva è stato soppresso il Tribunale di Lucera e questa è stata una decisione pubblica infelice perché significa aver eliminato un importante presidio di legalità sul territorio e poi, non ci si può lamentare se le organizzazioni mafiose tengono il terrore nelle popolazioni locali.

Ricorda altre decisioni pubbliche infelici?
Ce ne sono state tante. La mafia pugliese nasce come reazione dei criminali pugliesi alle mire espansionistiche della camorra cutoliana [la cosiddetta “Nuova Camorra Organizzata”, ndA.] con un processo di rapida imitazione delle mafie tradizionali e con l’avallo da parte della ‘ndrangheta che, non voleva colonizzare il territorio pugliese come avrebbe voluto fare Raffaele Cutolo, ma aveva piuttosto necessità di avere degli alleati sul territorio, la porta verso l’Oriente che è molto utile per le armi, per gli stupefacenti, dai Balcani.
In quel periodo in Puglia c’erano diversi mafiosi, dalla camorra e dalle altre mafie tradizionali, che si trovavano per soggiorno obbligato. Come hanno fatto i cutoliani a conoscere il territorio pugliese e a interessarsi? Proprio perché li hanno mandati in soggiorno obbligato che è una stupidaggine perché si fonda sull’idea che spostando, trasferendo il mafioso, quello perde i contatti con gli altri mafiosi, ed è una sciocchezza perché se dalla Campania lo trasferisci in Puglia a un’ora e mezza di distanza, visto che più o meno negli anni Ottanta c’erano già le autovetture e non è che si girava con il calesse, non credo avessero tutta ‘sta difficoltà a conservare i rapporti con gli altri sodali…
Un’altra decisione sbagliata fu quella di trasferire, perché allora c’era una fibrillazione tra le camorre che creano problemi anche all’interno delle carceri, i camorristi cutoliani nelle carceri baresi. Altra decisione che, insomma, non poteva che avere conseguenze nefaste.

Il suo libro è stato pubblicato in giugno, qual è l’impatto che dovrebbe avere sulla gente e cosa si aspetta?
Contrastare e cercare di superare questa sottovalutazione del fenomeno. Il fatto che non sia conosciuta la mafia pugliese è sintomo di sottovalutazione, quindi ritengo sia una cosa positiva scriverne. Sciascia più o meno diceva una cosa del genere… la sottovalutazione dei problemi sociali è più o meno come la sottovalutazione delle malattie individuali e nasconderle, rimuoverle, sicuramente non serve a risolverle. Direi che da pugliese mi sono sentito di scrivere, è un atto d’amore verso la mia regione.

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