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di Luciano Armeli Iapichino, filosofo
Quando ero bambino trasmettevano in tv un cartone animato (di cui non ricordo il nome) in cui il protagonista, un ragazzino musicista, ogni notte, tirava da sotto il letto la custodia del suo violino, si recava in terrazza all’insaputa della sua famiglia, gonfiava una navicella e a bordo della quale intraprendeva viaggi in un cosmo gravido di avventure, facendo appena in tempo a rientrare prima che la madre lo svegliasse al mattino per andare a scuola. Mi fu regalato, in seguito, Dalla Terra alla Luna, di Jules Verne(1865), con il quale iniziai a guardare verso l’alto con quella curiositàche si sposa con il misterodinanzi all’altare della consapevole piccolezza dell’essere umano. E poi vidi, in immagini di repertorio, il famoso allunaggio di quel 20 luglio del 1969,in cui terrestri, Neil Armstronge Buzz Aldrin, sollevarono dal suolo lunare pari tempo un impercettibile pulviscolo spaziale e infinite aspettative su inimmaginabili scenari futuri. Nel frattempo, negli anni ’80, la mia immaginazione era in lieta compagnia delle Aquiledi Spazio 1999 di G. Anderson, con le metamorfosi di Catherine Schellnel ruolo di Maya. L’uomo, il miserrimo, l’acaro, il guerrafondaio, il boia, il colonizzatore, il mercante di schiavi, il “gassatore”, il “guerrafreddaiolo”, si era accorto che c’erano anche le stelle e gli stimoli di conquista potevano seguire orbite verticali e non solo orizzontali. Poi, in effetti, il passo in avanti si è concretizzato nel 1975 con il programma ASTP (Apollo Soyuz Test Program): Usa e Urss “unirono” le loro navicelle dinanzi alla Terra, consentendo agli equipaggi di interagire. Fu l’embrione della stazione orbitante. L’uomo che scruta l’infinito fuori dall’orbita terrestre. L’interesse (la conquista dello spazio) pareva, da quel momento in poi, armonizzare e acquietare la bestia famelica di un uomo che sino a quel momento e da secoli aveva sbranato se stesso come l’Erisittonedella mitologia greca. Cinquant’anni. Eh sì, l’umanitàè di nozze d’oro con lo spazio (nel frattempo il pianeta ha sacrificato vite umane per amore dell’esplorazione spaziale: basti ricordare gli incidenti del 1986 (Challenger) e del 2003 (Columbia) con quattordici astronauti polverizzati). Ma la “conquista” non si è fermata: il rover Curiosity passeggia su Martedal 2012 e altre sonde viaggiano verso l’infinito con apparecchiature sofisticate messe a punto da tante nazioni.

satellite

Cinquant’anni e la nostra vita si è trasformata, accelerata, globalizzata, “virtualizzata”, digitalizzata. Il real timeè sempre più in tempo reale (la ripetizione è voluta), l’ingombrante è divenutomicrochip, e poi abbiamo i 4 K, i 4D, i 5 G - che fra qualche tempo diventeranno obsoleta spazzatura - e l’infinto, appunto. Tutto è stato, è e continua a essere in frenetica rivoluzione, in inseguita trasformazione, in gara per “superare” i battiti del fiatone, in stato di imperscrutabilità di massa. La domotica è ormai a livelli avveniristici anche se gran parte della popolazione mondiale non riesce a comprendere le funzioni della pulsantiera-tv e un'altra non ha idea di cosa sia un’appsu uno smartphone. A tal proposito mio padre mi chiede sempre di leggere gli sms che arrivano sul suo telefonino di prima generazione. E anche mia madre. In tutto questo, già da qualche tempo, abbiamo celebrato le esequie del libro. È stato un momento riservato, purtroppo, a pochi intimi: l’elogio toccante e doloroso è stato letto dalle statistiche sulla lettura. In tanti no hanno sofferto. Non se ne sono accorti. Cinquant’anni.Il mondo è cambiato. Tanti passi avanti per l’umanità, tanti indietro di umanità. Siamo moderni, stanchi Prometei, sovraccaricati di tecnica e d’informazione non filtrata, parafrasando Byung-Chul Han, “ossessionati”, “iperattivi”, “multitasting”, spinti da turbini di algoritmi insensati verso disturbi di natura depressiva e nevrotica. Forse sarebbe necessario per l’acaro umano una sosta. Di riflessione. Di manutenzione della coscienza, di ridefinizione degli obiettivi. Soprattutto quelli a breve termine. Tragedie umanitarie, mattanze, esodi, bioetica e clima in primis, le sfide da affrontare con il faro illuminante del principio di responsabilità verso le generazioni future. A tal proposito, ammonisce il filosofo Hans Jonas: “ciò che l’uomo è in grado do fare e, nell’irresistibile esercizio di tale facoltà, è costretto a continuare a fare, non ha eguali nell’esperienza passata, alla quale tutta la saggezza tradizionale sul comportamento giusto era improntata”. Saggezzaè la parola chiave. Quanta ne è rimasta. Soprattutto nei deliri di onnipotenza di capi di Stato, leader, di chi sogna di fare il premier, dei poteri forti, occulti, visibili, strafottenti e di capitale. Signori e signori, cinquant’anni fa, il primo sbarco sulla Luna: un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità.

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