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di Pietro Orsatti
Notte. Roma. Autobus notturno. Umanità perduta, ossa spezzate. Non c’è pietà in questo ventre devastato del millennio. Non c’è neppure dolore o disgusto. Nulla. Per sopravvivere devi distogliere lo sguardo da questo luogo che non è Italia, tantomeno Europa e neppure Africa. Perché neache una guerra ha questo fetore di piscio e pelle in putrefazione. Piedi piagati da cancrene incurabili infilati a forza in pantofole di peluche che ere fa dovevano essere azzurre. Sopravvissuto a una guerra, al deserto, ai campi di prigionia in Libia, alla traversata su una zattera di gomma sgonfia insieme a altri disperati e arrivato in Europa a morire su un autobus che fa avanti e indietro ogni notte collegando la Laurentina cento Rebbibia. Un uomo ridotto a piscio e pus. E Roma. Caput mundi dei moderni pogrom per abbandono e decreto. Sicurezza. Quale sicurezza c’è e soprattutto per chi in tutto questo?
Un ragazzo sudanese, poco più di un bambino, si dondola ossessivamente una due tre volte, poi si ferma, beve un sorso di birra scadente del discount, rovescia il resto a terra, poi stringe gli occhi, rigido come un ramo di quercia, scopre i denti e pronuncia una sola vocale. “A!”. Silenzio. “A!”. E ricomincia a dondolarsi, identico il ciclo di gesti e di suoni. Stessa velocità, stesso ritmo, stessa intensità.
Non c’è pietà possibile in questa quieta discarica di emozioni. Dove tutto è accettabile perché si ritiene che non ci riguardi, che non sia nostra responsabilità, che sia colpa della vittima e non del carnefice.
Brucia la notte. Non di fiamma. Dolore che attraversa schiena e mascella. Sordo. Continuo. Rimani immobile, rigido, non riconosci luoghi e suoni e odori. La città si contrae come le gambe piagate del moribondo, si piega su se stessa e riesce solo a sputare livore sull’asfalto di un capolinea dove, sbiadito, un murales omaggia il genio autistico di Theolonius Monk.
Dove è finita la città dove sono cresciuto?
Un cumulo di rifiuti, scatole, stracci, barattoli si scuote e emerge una testa. E una litania urlata taglia la notte come un lama che solca la carne di un animale al macello. Un volto, una bocca spalancata e occhi di un bianco accecante in questa notte di nausea. Ricorda lo sguardo di un condannato dalla febbre gialla. Ricorda i peggiori incubi di una delle tante guerre invisibili che alimentano i nostri lussi, le batterie dei nostri inseparabili smarhphone che utilizziamo per mandare foto di gattini e porno amatoriali filmate per ricatto o vendetta.
Il meglio non lo abbiamo mai dato, del peggio ce ne facciamo vanto.

(Scritto qualche mese fa dopo aver perso l’ultimo autobus)

Tratto da: orsattipietro.wordpress.com