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In Arabia Saudita la finale di Supercoppa Italia tra Milan e Juventus
50mila tagliandi staccati in poche ore: a gonfie vele la vendita dei biglietti della #SupercoppaItaliana in programma a #Jeddah il 16/1”. Scriveva così lo scorso 2 gennaio la Lega Serie A sul proprio profilo ufficiale di Twitter. E’ contento il calcio italiano di questa finale. D’altronde come potrebbe non esserlo. Una partita del genere può solo attirare come mosche al miele nuovi investitori stranieri, magari qualche sceicco saudita, e tanta, tanta audience. E quindi quattrini. Sempre lì torniamo, sono i soldi che fanno girare le cose e il mondo del calcio ne è, ahinoi, diventato un grande modello. Ma c’è un limite a tutto e quando quel limite viene oltrepassato bisogna dare un segnale forte per far capire a chi di dovere, in questo caso presidenti calcistici, dirigenti e soprattutto ai governi, che il denaro non può vincere sulla moralità. La questione è nata quando si è riaccesa la polemica sulla finale di Supercoppa Italia tra il Milan e la Juventus che si terrà il prossimo 16 gennaio a Jeddah in Arabia Saudita. Non proprio il paese baluardo del rispetto e della tutela dei diritti umani. Immediate sono state le critiche della politica, di diversi enti e associazioni umanitarie e giornalistiche. L’USIGRAI (Unione Sindacale Giornalisti Rai) ha chiesto un ripensamento, in qualità di azienda detentrice dei diritti TV del torneo per l’Italia, e ha provveduto a farlo in maniera ufficiale scrivendo alla Lega Serie A e alle due squadre. Il perchè della contrarietà di questi ambienti è chiara. L’Arabia Saudita è stata spesso definita uno stato canaglia che non osserva le decisioni degli organi internazionali, nè le associazioni umanitarie e non dimentichiamolo è protagonista indiscussa in diversi teatri di guerra in medioriente. Uno su tutti in Yemen dove dal 2015 interviene duramente con le sue forze militari arrivando a creare nel paese la “più grande crisi umanitaria del mondo”. Anche grazie al sostegno bellico italiano da dove partono i missili che i sauditi sganceranno sui civili yemeniti. Ma andiamo con ordine. Per decenni l’Arabia Saudita ha finanziato l’estremismo e il terrorismo islamico in tutto il mondo. Non è un mistero, lo sanno tutti. Basta pensare che a più riprese, almeno nel 2009 e nel 2015, Hillary Clinton, prima segretario di Stato e poi candidata alla presidenza Usa, ribadì che il terrorismo islamista nei più diversi Paesi (compreso l’Isis in Iraq e in Siria) era foraggiato dai sauditi. Lo stesso Isis che con gli attentati del 2015-16 “mise in ginocchio la libertà dei cittadini europei”, e per cui il mondo del calcio compreso si raccolse per un raccoglimento di dolore di 60 secondi prima di ogni partita disputata nei principali campionati europei, Serie A inclusa. L’Arabia Saudita di questi ultimi anni è dominata dal principe ereditario Mohammed bin Salman, 33 anni, che ha un evidente debole per la pena capitale con chi è intenzionato a contestarlo. Jamal Kashoggi, il giornalista assassinato da un commando militare nel consolato saudita di Istanbul per cui oggi Ryahd, e in particolare gli ambienti vicini a "Mbs" (Mohammad bin Salman) devono ancora darne chiarimenti, è l’ultimo triste esempio di quanto sia sotto attacco la libertà di stampa e di opinione nel Paese. In Arabia Saudita fino ad un anno fa le donne non potevano mettersi al volante, queste sono tutt’ora discriminate, trattate come esseri inferiori. Caso vuole che per la prima volta nella storia potranno assistere ad un mach di calcio, poichè fino a poco tempo fa le madri, mogli e bambine non erano nemmeno ammesse negli stadi. Quest’anno sembra che l’aria sia almeno un pò cambiata ma ciò non basta perchè comunque non potranno godersi la partita dove vorranno, ma solo in alcuni settori. Potranno entrare allo stadio solo se accompagnate e non sarà consentito loro girare liberamente o seguire la partita dai posti accanto al terreno di gioco, perché sono quelli riservati ai soli uomini. Ma forse la FIGC (Federazione Italiana Giuoco Calcio), nella persona di Gaetano Miccichè il presidente, questo non lo sa o fingeva di saperlo “nascondendosi dietro ad un pallone”. “La nostra Supercoppa sarà ricordata dalla storia come la prima competizione ufficiale internazionale a cui le donne saudite potranno assistere dal vivo” ha detto dopo le polemiche di questi giorni. Tutto ciò stona con tutte quelle iniziative positive e utili che condannavano le discriminazioni dentro e fuori al terreno di gioco. Come la proposta a tutti i giocatori della Serie A di tingersi, giustamente, il viso di rosso in occasione e in sostegno delle donne che ogni giorno vengono calpestate dall’arroganza dei loro compagni. Oppure la presa di distanza da episodi di razzismo che sono avvenuti nel corso dei 90 min di Inter-Napoli, quando il difensore di origini senegalesi Kalidou Koulibaly era stato raggiunto da pesanti insulti razzisti da parte della tifoseria di casa. Proprio per queste giuste e coraggiose iniziative stupisce come il calcio italiano abbia comunque scelto di giocare una finale di coppa in un paese come l’Arabia Saudita dove tutto ciò non viene nemmeno preso in considerazione. D’altronde si sa negli ultimi tempi quello che fa rotolare un pallone non è il giocatore alle sue spalle ma i dollari di sponsor e società. Se davvero si volesse tornare alle origini e ridare un minimo di valore morale al “gioco più bello del mondo”, tutti dovrebbero fare un piccolo e semplice atto rivoluzionario. Il giorno mercoledì 16 gennaio 2019 alle ore 18.30, quando verrà dato il fischio d’inizio alla finale, basterà prendere il telecomando e cambiare canale.

Foto ©  GSA

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