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È durata quasi due ore la lettura del dispositivo della sentenza del processo Aemilia, pronunciato in aula questa mattina dal presidente della Corte Francesco Maria Caruso. Dei 148 imputati (di cui 34 accusati di associazione mafiosa), ben 125 sono stati condannati. 19 sono state invece le assoluzioni e 4 le prescrizioni.
La pena più alta è quella inflitta a Michele Bolognino, condannato a 20 anni e 7 mesi di reclusione. Seguito da Giuseppe Iaquinta, la cui pena stabilita è di 19 anni. Due, invece, per il figlio Vincenzo. Pasquale Brescia, imprenditore e titolare del ristorante Antichi Sapori, è stato invece condannato a 6 anni e 9 mesi. 13 anni e 9 mesi per l’imprenditore reggiano Omar Costi. Per l’ex patron della Reggiana Gourmet, invece, la pena scende a 4 e sei mesi. Per Gianluigi Sarcone (fratello del boss Nicolino, già condannato in abbreviato) la Corte ha stabilito una condanna di 3 anni e 6 mesi.
Pene pesanti anche per la famiglia Bianchini: 9 anni e 10 mesi per l’imprenditore modenese Augusto, 4 anni per la moglie Bruna Braga e 3 anni per il figlio Alessandro. Antonio Valerio, il più importante pentito del processo, è stato invece condannato a 6 anni e due mesi. Assolto invece un altro collaboratore di giustizia, Salvatore Muto. 8 anni e un mese per l’ex poliziotto della stradale di Cremona Maurizio Cavedo.
Sono queste le posizioni di alcuni “imputati eccellenti” del più grande processo di mafia al nord. In attesa di leggere le motivazioni della sentenza, tuttavia, è importante sottolineare alcuni aspetti:
La sentenza emessa oggi va a confermare l’intero impianto accusatorio. In Emilia Romagna, soprattutto nelle città di Reggio Emilia, Modena, Piacenza, ha operato (e probabilmente continua ad operare) una cosca di ndrangheta autonoma, ovvero quella dei Grande Aracri. Una cosca che in questi ultimi trent’anni ha usufruito del sostegno di personaggi esterni all’ambiente malavitoso e, grazie a tale sostegno, è riuscita a svolgere un ruolo non indifferente in ambienti politici, imprenditoriali ed economici.

1 - La sentenza emessa dalla Cassazione (40 condanne) pochi giorni fa nei confronti degli imputati che hanno invece optato per il rito abbreviato aveva, in realtà, già segnato un punto di non ritorno in tal senso confermando in maniera definitiva il ruolo e l’importanza dei Grandi Aracri, dei suoi sodali e dei suoi fiancheggiatori.

2 - L’attenzione mediatica nei confronti dell’udienza di oggi è stata altissima. Non si può dire lo stesso, purtroppo, delle udienze precedenti. Il processo Aemilia è durato più di due anni. Gli organi di stampa locali hanno seguito in maniera capillare questo procedimento penale. I media nazionali molto meno. È stata un’occasione persa.

3 - Come detto, questo processo e queste sentenze fanno riferimento a una sola cosca, di una sola mafia. In Emilia Romagna, tuttavia, sono presenti tutte le mafie italiane e straniere. Il numero complessivo degli imputati (rito abbreviato e ordinario) supera abbondantemente i duecento. Proviamo a moltiplicare questo dato per tutte le mafie e le cosche presenti in regione. E ci renderemo facilmente conto di come la strada da percorrere sia in realtà ancora tanta. E in salita.

4 - Proprio per quest’ultima ragione, il vero sforzo inizia adesso. Superare il processo Aemilia, renderlo un punto di partenza. Affinché si possa finalmente avere la capacità di leggere i segnali e le tracce che le mafie presenti in Emilia Romagna continuano a lasciare nei nostri territori. E non occore attendere una sentenza per fare questo.

Tratto da: mafiesottocasa.com

Foto © Imagoeconomica

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