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di Marisa Denaro
Massomafia è un termine coniato negli anni ’80 da Giuseppe D’Urso, ingegnere fondatore dell’Associazione “I Siciliani” ed esponente di movimenti antimafia.
Indica il ruolo centrale della massoneria nei rapporti tra le istituzioni e le organizzazioni mafiose. È quel filo sottile che unisce il mondo illegale con il mondo istituzionale.
Precisamente D’Urso sosteneva che "le mafie non sono solo una patologia tipica delle Regioni del Sud Italia, ma un vero e proprio braccio armato di un regime di malaffare, un male endemico diffuso e istituzionalizzato, protetto e organizzato su basi ben precise, espressione di una parte consistente della classe dirigente locale e nazionale”.
Una serie di interconnessioni tra i vari poteri: la magistratura, le istituzioni, l’imprenditoria e la stampa che hanno come collante la massoneria ivi, in logge deviate, si incontrano le varie parti per trattare, aggiustare processi, indirizzare l’informazione e la piccola e grande economia nazionale
La mafia che penetra nei circoli massonici non è una cosa nuova, in passato il boss Bontate, al giorno d’oggi Messina Denaro hanno frequentato logge massoniche. La possibilità di entrare in contatto con la classe dirigente sia locale che nazionale e persino con l’alta finanza internazionale, fa gola a chi ha ingenti capitali da ripulire.
Così ci si ritrova con la classe dirigente ed élite criminale unite nella gestione della cosa pubblica persino a promulgare leggi ad hoc arrivando ad un punto tale da non riuscire più a distinguere chi è mafioso e chi è il complice esterno.
L’evoluzione delle mafie passa attraverso una capacità imprenditoriale in grado di inserirsi nei vari settori riuscendo a manovrare istituzioni ed imprese.
Se dapprima si poteva parlare di una simbiosi mutualistica tra mafia e i vari settori che operano nel nostro paese, grazie alla crescente complicità dei colletti bianchi, si è formata una entità unica.
Colpire l’intera massomafia non è cosa semplice poiché le normative a disposizione della magistratura, sono irrisorie: le pene per corruzione e voto di scambio non sono adeguate alla portata dei crescenti reati che vengono denunciati e registrati ogni anno.
La corruzione si annida nei gangli della politica e delle istituzioni a tal punto che, sussiste un sentimento di silente accettazione, dovuta anche alla certezza che i pubblici ufficiali che commettono tale reato, non siano puniti con pene esemplari.
Di voto di scambio si inizia a parlare dopo la strage di Capaci, recidere i rapporti tra politica e mafia è fondamentale ma anche in questo caso, il reato di voto di scambio elettorale politico-mafioso previsto dall’art. 416 ter del codice penale, non è stato in grado di limitare questa pratica diffusa tanto al Sud quanto al Nord Italia.
Una pena che varia dai 6 ai 12 anni, 200 denunce presentate nel solo biennio 2015-2016 non bastano per fermare un malcostume diffuso, fatto di promesse di lavoro, pagamento tramite buoni benzina o buoni spesa; facendo leva sulla crescente difficoltà economica di molti italiani disposti a “vendersi” pur di ottenere qualche beneficio.
Una aristocrazia mafiosa in grado di insinuarsi sempre di più nel tessuto economico-politico-sociale grazie a complici insospettabili tra coloro che siedono sulle poltrone e che dovrebbero essere al servizio della comunità.
L’evoluzione dei sistemi criminali, la loro capacità di adattarsi e mimetizzarsi nel territorio come nelle istituzioni, impone una continua opera di manutenzione alla legge antimafia, modificare normative carenti sarebbe auspicabile per mantenere il passo e non dare ulteriori vantaggi alla massomafia.

Tratto da: articolotre.com

Foto © Imagoeconomica

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