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impastato giovanni funerali peppino c centro impastatodi Luciano Armeli Iapichino
Il 9 maggio è passato. In tanti hanno sentito il bisogno di fare memoria. Di ricordare Peppino nel giorno della sua morte, di rivedere i “Centopassi”, di fermarsi e dare udienza alla coscienza, di ascoltare la semplice e travolgente forza di mamma Felicia, di avviare una riflessione sul ruolo e sull’azione di resistenza di questo martire contro la lurdia, la sporcizia dell’animale umano, lasciando con la sua Radio Aut un’eredità paradossalmente “scomoda”: ovvero che la lotta alla mafia si fa, si deve fare, senza se e senza ma!
E sì, Peppino e le altre vittime sono riusciti a intuire, a subodorare l’amalgama di un’altra e impenetrabile eredità da contrastare: quella du zu “Tanu”, alias Gaetano Badalamenti”. Un lascito, il suo, di atteggiamenti meschini, arroganti, mafiosi, raccolti dopo la sua morte da un esercito di pusillanimi, di “tanicchi” senza tempo, inesauribili, influenzabili e senza palle che si mimetizzano astutamente nella giungla sociale di una nazione con la maschera di un pericoloso perbenismo.
Questa la forza della mafia, la sua corazza, la sua garanzia, la sua ricetta vincente: una catena umana, apparentemente perbene che la difende. E non se ne intuisce il motivo. Forse.
Una categoria antropica a suo “servizio” che, di fatto, è cancrena, muffa, zavorra sociale, in balia e in cerca di “sporche” ale protettive che possano puntellarne la fragilità esistenziale (conscia o inconscia che sia), celare l’istintivo bisogno di sopraffazione sull’altro, velare in qualche modo il primordiale dovere di nascondere i fallimenti e la necessità di apparire, nell’accidia, forti, vincenti e senza rimproveri.
I tanicchi, gli Zeno Cosini senza struttura di pensiero, inetti, frustrati e fastidiosi, che predicano bene ma razzolano male, riconoscono - quando lo riconoscono - laddove si annida la figura du zu Tanu di turno, sposandone i modi di fare, il pensiero, l’azione, la filosofia del fare quotidiano senza indugi; sottomettessi al pari dei bravi manzoniani e mantenendo un profilo sociale potenzialmente garbato, pulito, onesto.
Nella loro memoria, del ricordo di Peppino  - e di altri cento martiri - assurto a specchio o a voce della coscienza, non c’è traccia. Il vessillo di una vergognosa ipocrisia.
A volte passano inosservati, ma la loro inerzia, la capacità di mimetizzazione senza gloria e senza parteggiare - se non erroneamente - devasta una società condannata da qualche tempo e su vari fronti al fallimento etico, politico, economico, culturale.
Peppino, ironicamente ma con veemenza, imponeva al fratello: cunta e camina.
Contare e camminare ... per cento passi: la distanza tra la loro e la casa du zu Tanu.
Questo esercito di gente perbene, che sa e non ammette, che persevera nell'equivoco, che “frequenta” oggi la casa ideologica dei tanti zu Tanu, ha smesso di contare, di camminare, di conoscere, d’informarsi, di scavare, di approfondire, di capire, di comprendere, di leggere e, soprattutto, di vedere ciò che realmente è una contraddizione in termini tra il dire e il fare: un costruttivo sfacelo corredato da demoniache omelie in cui la mafia sguazza e ringrazia. Che stupidi!
Una pletora di gente perbene che ha smesso di analizzare la genesi delle tragedie che attanagliano la società, di scomporla oltre l’apparenza, intrappolata in gabbie mentali e sofferente di cloroformizzazione del senso critico paradossalmente corroborante. Boicotta, denigrandola e sminuendola, pari tempo, la lettura, la conoscenza, l’antimafia. Quest’ultima, dal canto suo, ridicolizzata, moribonda, agonizzante qual è – e quale si vuol far passare - può continuare a servire quantomeno, anzi serve, a capire, a leggere i territori, a smascherare gli agganci, le amicizie, gli apparentamenti con il sistema masso-mafioso, prevenendo il raggiro in cui si è impantanato il sistema- nazione a causa di questi tanicchi.
Che fa rima con gli ominicchi di Sciascia.
Ma tanto facciamo finta che tutto va bene, che i vari Tanu sedutu e Manu cusciuta non siano mimetizzati nelle nostre istituzioni, nelle nostre città, nei nostri paesi, nelle nostre piazze, nei nostri luoghi di lavoro; che non ci siano tra loro il buono, il brutto e il cattivo, perché tanto i cattivi siamo noi; che la nostra società può andare così com’è, che non ci sia una zona grigia di professionisti, che comunque resta gente perbene, anche se fa affari con la criminalità, la corteggia, la osanna; e facciamo finta che il passato non conti, che le inchieste e le condanne nei curricula non contino per l’elaborazione del nostro giudizio sui de cuius, sulla politica, nelle relazioni umane. Che il Paese - Italia non abbia avuto mattanze, stragi, bombe e autobombe, martiri e persino leader politici mafiosi che continuano a essere corteggiati e glorificati. 
Umiliati, come popolo, come massa informe, acefala, miserabile, indegna, uno, due, tre, quattro, cinque, dieci e cento volte. Di un’umiliazione che non si vuole ammettere, e chi ni futtemu, perché è sempre utile avere il “compare” amico che restare anonimi senza arte né parte. Meglio vivere nelle nostre mafiopoli in decadenza, gravide di misteri, di illegalità, di omertà che fingere di essere obiettivi per fotografare ‘sta minchia… ricordando così, passata la celebrazione e con una risata, Peppino e l’eredità du zu Tanu.

Foto © Centro Impastato

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