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dia fdidi Alessio Di Florio*
È stato reso noto alla stampa nei giorni scorsi il rapporto della Direzione investigativa antimafia (Dia) relativo al secondo semestre del 2016. Trecentotrentasei pagine che ricostruiscono ed analizzano la mappa degli affari sporchi lungo tutta la Penisola.

Il giudice Giovanni Falcone – il cui metodo è più volte citato dalla Direzione investigativa antimafia – affermava che per indagare sulle mafie era necessario seguire “i soldi”. Collegare anche fatti apparentemente lontani e slegati per ricostruire le dinamiche mafiose, come un vero e proprio puzzle. Il rapporto della Dia relativo al secondo semestre del 2016 dimostra quanto il “metodo Falcone” è ancora oggi valido e prezioso.
Il sociologo Zygmunt Bauman, in occasione della prima edizione del Festival dell’Economia di Trento – a giugno del 2006 – ha definito “liquida” la società moderna. La sua analisi può essere perfettamente adattata alle mafie che operano in Italia. Le relazioni sociali secondo Bauman – scomparso nel gennaio scorso – sono “segnate da caratteristiche e strutture che si vanno decomponendo e ricomponendo rapidamente, in modo vacillante e incerto, fluido e volatile”. È quello che accade oggi nella sfera criminale mafiosa.

Le mafie si adattano alla società, hanno un mercato sempre in evoluzione, agiscono sulle leve dell’economia, decidono gli appalti, piegano e cooptano la sfera politica. In un capitolo dedicato alla Liguria – a pagina 103 – l’ultimo rapporto della Dia fa esplicito riferimento ad una “vocazione imprenditoriale” delle cosche. Un’impresa che si inserisce nei settori più disparati e, per “puro e vile scopo utilitaristico”, fa deviare dal solco della legalità. La stessa Dia, fin dalle prime pagine, li definisce esplicitamente inquinamenti dell’economia e della società, che coinvolgono tutte le regioni e mutano a seconda delle esigenze e situazioni. Nella ricostruzione del traffico internazionale di stupefacenti, ad esempio, c’è un dato fondamentale: dopo il porto di Gioia Tauro, in Calabria, il secondo porto per importanza è quello di Genova.

L’ambiente nel mirino
L’ambiente, soprattutto attraverso i traffici di rifiuti, è al centro degli appetiti mafiosi. Così come gli appalti e le bonifiche di precedenti devastazioni ambientali. Alcune inchieste oggetto di approfondimento da parte della Direzione investigativa antimafia possono essere considerate emblematiche di un sistema del malaffare che ruota attorno alle bonifiche.

Pasquasia: la miniera dei misteri e l’inchiesta sulla bonifica
Il rapporto illustra – a partire da pagina 247 – l’inchiesta ‘Bonifica Pasquasia’, conclusasi il 27 ottobre 2016: 11 arresti nell’ottobre scorso e 32 indagati, in totale, nei mesi successivi. Ad essere contestati i reati di associazione a delinquere finalizzata allo smaltimento illecito di rifiuti speciali e ferrosi, frode in pubbliche forniture, corruzione, falso, peculato, furto, appropriazione indebita aggravata dall’abuso di prestazione d’opera, turbativa d’asta, reati fiscali finalizzati alla creazione di quantità ingenti di fondi neri destinati al pagamento dei pubblici funzionari, concorso esterno in associazione mafiosa. Al centro dell’indagine l’appalto per la bonifica dell’ex sito minerario di sali potassici in provincia di Enna ad una ditta bergamasca. “La bonifica della miniera di Pasquasia per la quale erano stati stanziati 8 milioni di euro, solamente per lo smaltimento del cemento amianto, non é mai iniziata. A Pasquasia, piuttosto, è stato fatto un sacco”. Il sacco a cui si fa riferimento è quello del materiale ferroso presente nel sito.
Secondo le conclusioni dell’inchiesta il materiale ferroso non è stato smaltito ma venduto in nero o trattato con una finta vernice isolante. Imprenditori vicini a Cosa Nostra avrebbero imposto manovalanza, capocantiere e ditte di trasporti. Il 26 marzo dell’anno scorso venne controllato e sequestrato un carico di 115 pallet, in totale 106 tonnellate di cemento amianto che era risultato trattato con la falsa vernice isolante, presso il porto di Catania. Il carico era stato già effettuato su una nave pronta a salpare per una località del Nord Italia che gli inquirenti non sono riusciti ad identificare. Nel marzo del 2014 tra Leonforte ed Assoro (Enna) venne scoperto un camion carico di oltre 6 tonnellate di rame proveniente dalla miniera. Furono arrestate 5 persone per ricettazione.
La miniera – poi posta sotto sequestro – era stata improvvisamente chiusa già il 27 luglio 1992, nonostante prospettive di attività dagli 8 ai 20 anni. Le motivazioni della chiusura non sono mai state rese note. Negli anni Ottanta l’azienda che gestiva il sito – la Italkali – era la terza fornitrice di sali potassici al mondo. Pippo Fava su “I Siciliani” scrisse che Pasquasia era “al centro di grossi interessi da parte di compagnie minerarie, poiché il vero potenziale economico della miniera era legato non tanto all’uso del sale potassico come fertilizzante, quanto al ruolo che, nel minerale kainite, è dato dal magnesio. Minerale di cui è ricca la miniera” e che ha un utilizzo strategico anche in ambito militare.
Il 3 ottobre 2013 un’interrogazione alla Camera presentata dal Movimento 5 Stelle – rimasta ad oggi ancora senza risposta – ha riaperto alcuni dei tanti dubbi sulla storia del sito. Nel giugno 1992 il pentito Leonardo Messina avrebbe rivelato a Paolo Borsellino che “le gallerie sotterranee venivano utilizzate per smaltire scorie radioattive”. Conferme ufficiale dell’uso del sito per lo stoccaggio nucleare non si sono mai avute. In occasione del sequestro del 2014 la Procura di Caltanissetta ha smentito la presenza di scorie nella miniera. Ma di indizi è disseminata la vicenda. Negli anni Ottanta l’Enea aveva individuato Pasquasia come sito idoneo. La Procura della Repubblica di Caltanissetta, ricorda l’interrogazione del M5S, ha confermato l’esistenza di “un procedimento penale, archiviato nel 2003, a carico di noti indagati per reati ambientali correlati allo smaltimento dei rifiuti” e soprattutto “anche radioattivi all’interno della miniera in questione”. Nel 2011, l’allora deputato di Forza Italia, Ugo Grimaldi – già assessore regionale siciliano all’ambiente – rilanciò la questione nel corso di un’intervista. Secondo l’intervistatore, Angelo Severino, la presenza di Cesio-137, rilevato nei dintorni della miniera, potrebbe essere dovuto ad “un inaspettato incidente nucleare verificatosi probabilmente intorno al 1995 durante una fase sperimentale di laboratorio da parte dell’Enea”. La possibilità di smaltimento di rifiuti radioattivi nel sito è riportata anche nell’inchiesta “Miniera di Stato” di Rainews del 18 gennaio 2013. Su Pasquasia stava portando avanti denunce Vincenzo Fragalà, l’avvocato e deputato palermitano in quota Alleanza Nazionale assassinato il 23 gennaio 2010.

Appalti e comitati d’affari a Reggio Calabria
Emblematica della capacità delle mafie di incidere su appalti e operato della pubblica amministrazione è l’operazione “Reghion”. Le indagini dei Carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria hanno portato il 12 luglio dell’anno scorso a smantellare un vero e proprio comitato d’affari. L’inchiesta – collegata alla precedente “Fata Morgana” sugli intrecci tra politica, imprenditoria, ‘ndrangheta e massoneria – ha coinvolto la Calabria, la Capitale e la Lombardia. Concorso esterno in associazione mafiosa, turbata libertà degli incanti, truffa aggravata, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, induzione indebita a dare o promettere utilità, intestazione fittizia di beni e estorsione aggravata dal metodo mafioso le accuse contestate a vario titolo agli indagati. Secondo le indagini il comitato d’affari si era impadronito della gestione della pubblica amministrazione comunale, consentendo ad imprese legate alle cosche l’ottenimento di appalti, aggirando o eludendo la normativa antimafia, veicolando contratti multimilionari in favore di alleanze imprenditoriali. Tra gli appalti ci sarebbe quello per il completamento e l’ottimizzazione del sistema di depurazione delle acque e la gestione delle risorse idriche (250 milioni di euro). Esempio paradigmatico del mercimonio delle funzioni pubbliche e della sottomissione dell’interesse pubblico. Tutto avvenuto nonostante il Comune di Reggio Calabria fosse sotto commissariamento prefettizio dopo lo scioglimento per infiltrazioni mafiose.

Campania, il potere di infiltrazione e condizionamento dei clan
Tra i tanti casi citati nel rapporto della Dia, come emblematico del potere di infiltrazione e condizionamento della sfera pubblica da parte delle organizzazioni criminali, possiamo citare quanto accaduto a Marano di Napoli. “Il 1 dicembre 2016 – leggiamo nel rapporto – è stato eseguito un sequestro preventivo per violazioni alle norme urbanistiche concernenti le opere di urbanizzazione dell’area P.I.P. (Piano Insediamenti Produttivi) di Marano, interamente realizzate con contributi erogati dal Comune. Tra i soggetti sottoposti ad indagini per varie fattispecie di reato (minaccia per costringere a commettere un reato, falsità materiale ed ideologica commessa da pubblico ufficiale, e reati strettamente connessi alle irregolarità nell’esecuzione delle opere di urbanizzazione), vi sono due imprenditori titolari della ditta che aveva ottenuto l’appalto per la realizzazione del complesso industriale. L’indagine, avviata nel dicembre 2015, ha acclarato che le opere di urbanizzazione, costruite a supporto del complesso industriale, non sono state mai collaudate e i relativi certificati e le relazioni tecniche sono risultati falsi, né i collaudi potranno dare esito positivo, non essendo state rispettate le indicazioni progettuali. Negli illeciti sarebbero coinvolti i vertici del clan Polverino e pertanto agli imprenditori è stata contesta l’aggravante mafiosa”.
L’operazione Mandamento (19 settembre 2016) del Tribunale di Napoli ha addirittura documentato che un sodalizio criminale non si limitava a condizionare le aggiudicazioni degli appalti ma, addirittura, imponeva agli imprenditori edili di fornirsi da aziende riconducibili al clan. O, in altri casi, le imprese subappaltanti.

* twitter @diflorioalessio

Tratto da: terredifrontiera.info

Foto © Dia

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