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tribunale palermo 2-Gianfri- I collaboratori di giustizia? “Ne ho la più alta disistima”.
Immaginiamo quanta disistima possano nutrire i collaboratori di giustizia nei confronti di alcuni ex magistrati scesi in politica.
Pensavamo che solo gli irriducibili di Cosa Nostra attaccassero così duramente i cosiddetti “pentiti”, evidentemente la categoria dei detrattori si è allargata a dismisura.
E i politici indagati? “Chi è pulito vada avanti”.
Sono queste le dichiarazioni di Giuseppe Di Lello, ex membro del pool antimafia, intervenendo, con un’intervista a Repubblica Palermo, sul “caso” di Fabrizio Ferrandelli, accusato da collaboratori di giustizia di voto di scambio.
Già in passato, Di Lello, si era scagliato contro il processo trattativa e i suoi ex colleghi del pool antimafia della Procura di Palermo.
Per Di Lello, Ferrandelli dovrebbe “andare avanti, perché le accuse potrebbero anche non avere alcun riscontro”.
D’altronde, continua l’ex pm rispondendo alle domande del giornalista Fraschilla, “troppo spesso abbiamo visto pentiti che dopo anni si ricordano di un Ferrandelli o di un altro solo per screditarli o magari per tornare sulle prime pagine dei giornali. In questi casi occorre avere fiducia nella magistratura”.
Dichiarazioni forti che, però, stridono non poco col passato dell’ex magistrato che, proprio grazie alle parole dei pentiti e dei collaboratori, ha ricostruito alcune delle pagine più oscure della nostra storia e ha costruito la propria carriera.
Un’incoerenza di fondo che si ritrova anche in altri passaggi dell’intervista, come quando Di Lello, ex deputato di Rifondazione Comunista, si scaglia contro i magistrati che scendono in politica.
Stando a quanto afferma
, infatti, la crisi di fiducia che ha colpito la magistratura deriverebbe dalla “eccessiva facilità con la quale in questi anni i magistrati sono scesi in campo”.
“La Costituzione garantisce a tutti i cittadini l’elettorato passivo”, ha poi precisato. “Ma alcune regole di salvaguardia sull’ingresso dei magistrati in politica sono state aggirate: ad esempio quella che obbligava a mettersi in aspettativa dal ruolo almeno sei mesi prima dello scioglimento delle Camere. Divieto sempre aggirato”.
Ne ha per tutti, l’ex magistrato, ha parole sprezzanti nei confronti di Michele Emiliano, attuale presidente della Regione Puglia. Magari vi si può cogliere una punta d’invidia, considerata la brillante carriera che caratterizza il percorso politico di Emiliano.
E se a qualcuno venisse mai da ricordare il suo periodo in politica, Di Lello si affretta a precisare che il problema è un altro: “prima i magistrati si candidavano soprattutto al Parlamento nazionale”, ha infatti ammesso, “adesso ambiscono a fare i governatori di Regione, i sindaci, oppure ricevono perfino incarichi di sottogoverno o di assessore. Il tutto, spesso, nello stesso distretto nel quale hanno fatto i magistrati. Per me è un fatto inaccettabile. Ecco, questo sta creando nell’opinione pubblica una grande confusione di ruoli tra magistratura e politica”.
E’ davvero curioso come si possa tanto radicalmente saltare il fosso e sputare nel piatto in cui si è mangiato.
Così come si dovrebbe ricordare l’importanza che Giovanni Falcone attribuiva ai collaboratori di giustizia nell’ambito alla lotta a Cosa Nostra e chiudiamo riportando il pensiero di Paolo Borsellino riguardo ai politici indagati “Se la magistratura, per una serie di motivi, ritiene di non poter rinviare a giudizio un politico indagato, sia esso l’ultimo dei consiglieri comunali fino alle più alte cariche dello Stato, pur essendoci indizi inconfutabili, ma difficili da provare, allora dovrebbe essere la politica stessa ad allontanarlo dalle Istituzioni”.

Tratto da: articolotre.com

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