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di matteo nino 2015 c acfbdi Francesca Scoleri
“Noi siamo un Paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia”.
Con le parole pronunciate da Pasolini in anni distanti per costumi, vita sociale e politica, devo concludere le riflessioni fatte imbattendomi nell’intervista al magistrato Nino Di Matteo che RAI 2 ha mandato in onda alle 2 e mezza della scorsa notte.
“Alle 2 e mezza di notte”.
Parole coraggiose e sentite. Parole sofferte e amare. Parole che meritavano ben altra divulgazione.
Nino Di Matteo, il pubblico ministero del processo trattativa Stato-mafia, ha deciso nei giorni scorsi di restare a Palermo nonostante, il consiglio superiore della magistratura, gli abbia quasi intimato di trasferirsi a Roma alla Direzione nazionale antimafia a causa di nuove minacce di morte che vanno ad aggiungersi ad altre minacce più e meno recenti.
Lo scoop è che il csm si sia ricordato del magistrato Di Matteo dopo averlo posto negli anni, in una condizione estrema di solitudine istituzionale con la complicità della politica, i fatti invece, sono assai allarmanti. La chiave di lettura di essi è qualcosa che dovrebbe raggiungere la percezione di tutti i cittadini italiani ma, tornando alle parole di Pasolini, “siamo un Paese senza memoria” e quel che accade a Palermo intorno a Di Matteo, merita uno spazio di pochi minuti alle 2 e mezza di notte sulla rete pubblica nazionale.
In sostanza, lo Stato si è messo al riparo da attacchi futuri.
Dio non voglia, ma semmai accadesse qualcosa al magistrato più esposto d’Italia, lo Stato, questa entità non ben definita che si muove su due rette parallele, quella pubblica e quella massonica, potrà dire: “ci siamo preoccupati di trasferirlo perché in pericolo di vita. Lui ha voluto restare a suo rischio e pericolo. La nostra coscienza è integra”.
Dal canto suo, Di Matteo risponde “Accettare un trasferimento d’ufficio connesso esclusivamente a ragioni di sicurezza sarebbe stato un segnale di resa personale e istituzionale che non intendo dare. La mia aspirazione professionale di continuare a lavorare sulla criminalità organizzata trasferendomi alla Dna si realizzerà eventualmente solo se e quando sarò nominato in esito a una ordinaria procedura concorsuale”. Procedura concorsuale che si è più volte resa ridicola respingendo la figura di Di Matteo con motivazioni risibili.
Accadde anche a Falcone tutto questo ma noi siamo coerenti e lo siamo in modo dannato e quindi “…un Paese senza memoria”.
“Lo Stato non deve mai aver paura di processare se stesso”, Nino Di Matteo ne è convinto. Non deve preferire insabbiamenti alla verità dei fatti. Qualunque essi siano. L’esatto contrario di quel che dimostra invece questo Stato, dove un Presidente della Repubblica si mette d’accordo con un indagato per ostacolare la procura che “processa se stesso”. Giorgio Napolitano non ci ha fatto mancare nulla. Di ogni nefandezza istituzionale ha lasciato traccia e firma.
Ieri notte ho pensato a quel che accadde intorno all’ultima video intervista che Paolo Borsellino rilasciò a dei giornalisti francesi. Quando ci fu la possibilità di trasmetterla in Italia, lo speciale fu mandato in onda notte tempo nel 2000, perché tutti i direttori dei tg e dei programmi di approfondimento Rai, rifiutarono di auto attribuirsi l’iniziativa. Una cosa vergognosa. Per questa gente sono morti Borsellino e Falcone. Per questo mare di ipocrisia istituzionale e sociale.
Nell’intervista andata in onda la scorsa notte, Nino Di Matteo dice, “conoscere le verità che continuano a emergere dal processo trattativa, è nell’interesse del Paese” e come non trovarsi d’accordo. Le ricadute politiche conseguenti a lunghe latitanze, all’iniziativa di stragi e di sospensione di stragi, le abbiamo viste negli ultimi infernali 20 anni, fatti di imbarbarimento delle istituzioni e della nostra cultura.
Lui ci prova. Nino Di Matteo ci prova da 20 anni a dire che il problema non è la mafia in se stessa e che la sua organizzazione criminale si nutre di collusione politica. Lo sappiamo tutti che ha ragione ma pur sapendolo, accettiamo che l’ipocrisia lo avvolga.
Qualche mese fa, il nostro sito ha pubblicato il documentario sulla mafia realizzato dal regista inglese Paul Sapin e dal produttore Toby Follet. Invitiamo i nostri lettori alla visione ponendo molta attenzione alle parole in coda; gli autori del docu film hanno chiesto al Presidente della Repubblica Mattarella e al Presidente del consiglio Renzi di esprimersi sui rischi che corre Di Matteo ma hanno ricevuto un: niente da dire.

Tratto da: themisemetis.com

Foto © ACFB

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