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mafia pascoliDecine di omicidi irrisolti ed esecutori a piede libero
di Luciano Armeli Iapichino
1879. Il medico palermitano, studioso di tradizioni popolari, Salvatore Salomone Marino, nella sua opera Costumi e usanze dei contadini di Sicilia, con riferimento alle classi contadine del tempo nella Sicilia dell’Unità d’Italia, distinguendoli da quelli “del vecchio stampo”, simbolo di una più antica quanto più sana e onesta tradizione, così scriveva: “I nuovi […] più svelti, più saputi, più civili, ma insieme con un fardello di ambiziose e indigeste e corrotte idee, che daranno loro un altro tipo non saprei ancor dir quale, ma lontano certo dal tradizionale dell’isola nativa, e forse men buono.” Franchetti e Sonnino, nella loro inchiesta del 1876, avevano, dal canto loro individuato, come scrive Rosario Spampinato, “nel carattere feudale della società isolana la causa prima dell’esistenza della mafia e delle cattive condizioni di pubblica sicurezza”.
Centotrentasei anni dopo, ecco lo stato delle cose.
2016. L’area rurale oggetto in discussione è quel fazzoletto di terra che insiste nel Parco dei Nebrodi, compresa tra i comuni di Cesarò, San Fratello, Caronia, Capizzi, Tortorici, Troina, zona in cui convergono le province di Messina e di Enna e in cui, dal 1989 al 2016 (il riferimento statistico si chiude con l’agguato al Presidente del Parco dei Nebrodi, dott. Giuseppe Antoci, dello scorso 18 maggio), una vera e propria mattanza, a cui si aggiungono numerosi casi di lupara bianca, è esplosa senza che un’incisiva azione investigativa da un lato, e i riflettori dei media dall’altro, riuscissero a contenere un fenomeno cruento, sotterraneo, strutturato e in continua ascesa.
Una vera e propria guerra perpetrata dalla mafia dei pascoli per la gestione dei terreni nebroidei a uso civico che, grazie a una rete di complicità a vario livello (C.A.A. e S.I.A.N e non solo), riscuote consistenti finanziamenti comunitari.
Una mattanza che si affianca a quella scatenata negli anni ’90 dalle faide tortoriciane dei Bontempo Scavo e dei Galati Giordano e a quella, lungo la fascia tirrenica messinese, esplosa in concomitanza all’avanzamento dei lavori dell’autostrada Messina-Palermo e la relativa gestione dei subappalti dell’opera per conto dei clan di Barcellona Pozzo di Gotto e del palermitano.
Procediamo per ordine.
12 dicembre 1989. A cadere sotto i colpi di lupara e di una calibro 9, a Caronia sono Matteo Blandi, titolare di un distributore di benzina e di una ditta di trasporti, di 42 anni di Sant’Agata di Militello e Mohamed Douch, suo dipendente marocchino di 29 anni. Esclusa la pista della rapina. L’incasso era stato rinvenuto vicino ai corpi.
11 novembre 1991. Morello Benedetto, allevatore, è ucciso a San Fratello in contrada Volpe.
14 maggio 1992. Cinque colpi di lupara calibro 12 trucidano l’ex sindaco di Cesarò, Calogero Palmiro Calaciura, 45 anni.
Nello stesso anno viene assassinato, sempre nelle terre cesaresi, Sanfilippo Tabò Sebastiano, 72 anni.
4 gennaio 2000. Il ventitreenne cesarese, Giuseppe Savoca, viene ritrovato carbonizzato dai carabinieri di Passopisciaro lungo la strada per Castiglione di Sicilia, in contrada Baronesse. Il giovane è riconosciuto dagli anfibi ai piedi.
20 settembre 2000. In contrada Fontana d’Angelo, Caronia, è rinvenuto il cadavere di Carroccio Paolo, allevatore di San Fratello, 51 anni.
Nel mese di agosto del 2001 a Cesarò scompare Attinà Mario.
29 settembre 2001. Sulla statale tra San Fratello e Acquedolci, quattro colpi di pistola freddano Francesco Costanza, bracciante di Tusa, 48 anni. L’omicidio parrebbe essere stato commissionato direttamente da Bernardo Provenzano: i Nebrodi, già a quel tempo, sono entrati nell’interesse di Cosa Nostra palermitana.
17 ottobre 2001. Viene ferito gravemente, a Cesarò, l’allevatore Carmelo Triscari Barberi.
3 giugno 2002. In contrada Vallonazzo di Cesarò due colpi di fucile centrano mortalmente il bracciante Bruno Sanfilippo Pulici, 30 anni, incensurato.
15 dicembre 2008. A Caronia è freddato l’imprenditore Granza Antonino, 41 anni, di Acquedolci, incensurato.
22 marzo 2013. In contrada Casazza a Cesarò viene ucciso con 2 colpi di pistola calibro 7,65,  il guardacaccia Epifanio Zappalà, 46 anni e residente a Misterbianco.
7 luglio 2014. In contrada Pulcino, a Cesarò, è ucciso con un fucile calibro 12 l’allevatore di San Teodoro, Giuseppe Conti Taguali, 54 anni. Omicidio questo dai possibili sviluppi inquietanti date le parentele della vittima sia a Maniace sia a Tortorici.
Giuseppe Antoci, poteva essere l’ultima vittima in ordine di tempo, salvato dalla scorta e da fortuite circostanze.
Un interrogativo, a questo punto, è d’obbligo. Salvo qualche eccezione, quanti di questi omicidi (ci sarebbero anche dei tentati omicidi), nel corso di questi lunghi anni, hanno trovato una soluzione investigativa? Quanto è stato accertato a distanza di tempo? Gli eventuali responsabili dei cruenti misfatti sono stati consegnati alle patrie galere - come nel caso dell’omicidio Sanfilippo Pulici - o circolano indisturbati entro i perimetri del Parco? Molte vittime erano addetti del settore agro-zootecnico: è, paventabile, un collegamento - almeno per parte di esse - con il business dei terreni in affitto e della loro gestione?
Se è vero che molti omicidi sono rimasti impuniti è anche vero che il livello di omertà, all’interno del territorio nebroideo, non favorisce la risoluzione degli stessi, certificando tra l’altro anche mimetizzati circuiti di connivenza e, per certi aspetti, d’inefficienza di controllo e coordinamento degli inquirenti.
In effetti, forse, quest’ultimo dubbio parrebbe trovare una sua ragione d’essere.
Cesarò (Me). L’attività dei carabinieri è coordinata dal comando di Santo Stefano di Camastra; il commissariato della Polizia di Stato è a Sant’Agata Militello; il distretto giudiziario competente è quello di Catania (Procura e D.D.A.).
Troina (En), pochi chilometri da Cesarò. Polizia di Stato e Carabinieri sono coordinati dai comandi di Nicosia; la Procura ordinaria di riferimento è a Enna, la D.D.A. di competenza è quella di Caltanissetta.
Capizzi (Me), altra manciata di chilometri da Cesarò. Polizia di Stato a Sant’Agata di Militello, il comando dei carabinieri operativo è quello di Mistretta, la Procura ordinaria competente è quella di Enna, la D.D.A. di riferimento è a Caltanissetta.
San Fratello (Me). I Carabinieri sono coordinati da Santo Stefano di Camastra, la Polizia di Stato competente è quella di Sant’Agata Militello, la Procura ordinaria è a Patti e la D.D.A. di competenza è quella di Messina.
Risultato: l’ingranaggio di coordinamento delle autorità, nei comuni ricadenti in quest’angolo montano della provincia messinese, probabilmente, si presenta vincolato da ambiti di competenza distanti.
Un inconveniente, questo, non solo per l’attività investigativa ma per quell’utenza sociale vittima di soprusi, scoraggiata, pertanto, nell’eventuale produzione delle relative denunce.
Torniamo all’ecomafia dei terreni concessi al pascolo.
Negli anni 2012-2014, il canone d’affitto percepito dal concedente, per ettaro di superfice, era equivalente a circa 36,00 euro, quello percepito dai concessionari era di circa 600,00. euro. Nel 2015 il canone dei concedenti si è attestato a una soglia di circa 100 euro, quello del concessionario a quella di circa 500,00 euro.
Esemplificando, in quattro anni, i concessionari che gestiscono un terreno di circa 600 ettari, con un canone sull’unità di superfice pari a 36,00 euro circa, percepiranno un contributo al netto del canone di affitto pari a circa 1.700.000,00 euro, con un rapporto percentuale tra canone pagato e contributi ricevuti del + 2.000,00 % circa.
Se la mafia, ai fini della riscossione di questi consistenti finanziamenti comunitari, si appropria delle particelle catastali non dichiarate all’insaputa dei legittimi proprietari e con il gioco di prestanomi e delle subdole compiacenze, il business in un’area particolarmente “povera” è garantito. Gli istituti bancari zonali, in questo senso, potrebbero rivelare molto.
In data 18 marzo 2015 è stato sottoscritto tra la Prefettura di Messina, la Regione Sicilia, L’Ente Parco dei Nebrodi, L’Ente Sviluppo Agricolo e i Comuni aderenti al Parco dei Nebrodi, il Protocollo di Legalità (adesso esteso in tutta l’isola) con lo scopo, oltre di imporre ai soggetti concessionari l’obbligo di “non concedere a terzi la titolarità o l’utilizzo totale o parziale del bene concesso e di denunciare immediatamente all'Autorità Giudiziaria o a quella di Polizia Giudiziaria ogni illecita richiesta di denaro o altra utilità ovvero offerta di protezione o estorsione di qualsiasi natura che venga avanzata nei propri confronti o di familiari”.
Un interrogativo? È un protocollo obbligatorio o, nelle more del diritto amministrativo, discrezionale? Perché se così fosse, sarebbe auspicabile la piena applicazione da parte dei soggetti firmatari, sindaci in testa. Sarebbe auspicabile!
In conclusione.
L’impressione è che sui Nebrodi, nonostante gli sforzi e gli agguati, poco sembra scalfire il potere delle famiglie malavitose. L’ondata di retate e di arresti che hanno portato al sequestro di enormi quantità di droghe (marijuana, cannabis) se da un lato denota un apprezzabile sforzo istituzionale nel controllo del territorio atto a ridimensionare il fenomeno del traffico di stupefacenti, dall’altro si mostra, ancora, come un tentativo alquanto debole nel contrasto della mafia che spara e che ingurgita ingenti flussi di denaro comunitario. Una mafia che sembra avere un controllo capillare, serio, indisturbato su tutto.
È una mafia avulsa da interessi politici? C’è una classe politica scevra da questo tipo d’interesse? Mafia nebroidea e politica territoriale viaggiano sullo stesso vagone d’intenti?
E non sarebbe dubbio eretico quello di carpire se, in una torta così succulenta, in affari ci sia anche la potente cosca barcellonese, ben attanagliata alla piramide socio-istituzionale, e/o la longa manus di Matteo Messina Denaro, e tutta la rete di complicità a vario livello che alimenta inerzia e paradigmi gattopardeschi? Nulla cambia!