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buco nero si costituzionedi Luciano Armeli Iapichino
C’era, tra gli altri, Pietro Calamandrei, Palmiro Togliatti, Umberto Tupini, Nilde Iotti, Angelina Merlin; c’era un popolo che bramava speranza e libertà. E c’era Giuseppe Saragat che auspicava, per la nostra Repubblica, un volto umano. Correva l’anno 1946.
Oggi, 2016, il volto di “questa” nazione, assediata da corruzione, disoccupazione, emergenza immigrati, terremoto, è quello di Maria Elena Boschi, Ministra proponente del DDL costituzionale unitamente al temerario (tanto da sfidare in un duello televisivo un costituzionalista del calibro di Zagrebelsky) Presidente del Consiglio, Matteo Renzi.

A favore e contro il quesito referendario, cui saremo chiamati a esprimerci a dicembre, un esercito di personalità, oltre i ranghi politici, che si sono più o meno contraddistinti nella cultura, nella cinematografia, nell’imprenditorialità.

Il fronte del si auspica, per sommi capi, la fine del bicameralismo perfetto, un Senato ridimensionato nei numeri e nei poteri con la conseguente eliminazione della navetta parlamentare, delle novità in materia di elezione dei giudici Costituzionali e del Presidente della Repubblica, l’abolizione del Consiglio Nazionale delle Economie e del Lavoro (CNEL). Lo slogan è quello a favore di una Carta costituzionale che consenta un’azione governativa più celere, concreta e meno costosa. Il nemico da abbattere sarebbe un immobilismo parlamentare deleterio per una nazione che deve affrontare le sfide del III Millennio.

Il fronte del no, di contro, paventa il rischio di un ridimensionamento della sovranità popolare a vantaggio di una deriva oligarchica dai venti imprevedibilmente letali per la democrazia nazionale, ancor peggio dell’attuale inerzia di una Casta percepita sempre più corrotta e inetta; deriva già subodorabile nell’articolazione del quesito che furbescamente disorienterebbe, con altre questioni, il popolo sovrano chiamato a presentarsi raggirato, in questo smisurato campo di guerra, all’appuntamento con la storia.

Qualche interrogativo.

È, o no, in gioco la cosiddetta rigidità costituzionale eletta a garanzia dalle democrazie nate dal secondo dopoguerra?

È necessaria, per superare gli stalli parlamentari (riconducibili, forse, a un impoverimento della classe politica) una riforma di questo tipo in un Paese in cui le priorità sembrerebbero di altra natura e l’immaturità etico-civile (leggasi corruzione) è consolidata nei palazzi istituzionali e in ogni remotissimo anfratto della società da Roma a Palermo, da Milano a Lampedusa?

È, o no, in atto l’attacco più sfrontato al cuore della nostra democrazia dagli ultimi trent’anni, supportato dalla sfrontata demagogia del suo più irresponsabile esecutore istituzionale, Matteo Renzi, pedina ultima di un sistema che mira a saldare, in nome del nulla, per i decenni a venire (collocando i giusti manovratori, Presidente della Repubblica compreso, e umiliando la voce del Parlamento elettivo) un accentramento di potere ai danni della sovranità popolare, mascherato nell’indecifrabilità di un testo per certi aspetti illeggibile?

È, o no, in atto, dopo i risultati impopolari della Buona Scuola, gli effetti concretamente inefficienti dello Jobs Act, la proposta imbarazzante di una Vountary diclosure (condono fiscale), indegna sbavatura nella carta d’identità di un governo che si definisce di sinistra, il concreto tentativo di raggirare un popolo fortemente impegnato a non umiliarsi prima della fine del mese e che nella Carta Costituzionale, definita da Benigni, qualche tempo fa, la più bella del mondo, e che ora, invece, sembrerebbe, a suo avviso, perfettibile, intravede con lacrime e sangue l’unico baluardo di garanzia della sua dignità?

Tre interrogativi ai quali il cittadino pensante, a difesa della sua Costituzione, potrebbe rispondere: è possibilmente in gioco; non è necessaria; è possibilmente in atto!

Basti pensare, ad esempio, che la Grecia, strutturalmente detentrice di una Carta Costituzionale più speditamente “esecutiva” della nostra e che lascia ampio margine di governabilità, è, da tempo, impantanata nelle sabbie mobili del baratro economico e politico.

Forse, una delle riforme necessarie a questo Paese non concerne la rivoluzione delle regole del gioco democratico.
Forse è auspicabile una rivoluzione etica incarnata, in primis, dai rappresentanti del popolo che violano, sino all’assuefazione della parte offesa, i diritti e gli interessi dell’elettorato. Il popolo è divenuto schiavo di se stesso: è tenuto in una condizione di degrado civile dai suoi stessi rappresentanti e spesso, anche, dalla deviazione di quegli Istituti di controllo, di tutela e di sicurezza dei cittadini previsti dalla Costituzione della Repubblica Italiana.

A che serve, se l’intento non è l’accentramento dello Stato e la deriva oligarchica dello stesso, riformare una Carta costituzionale se mostruosità ancor più indicibili sono impresse come stimmate sulla pelle di cittadini onesti, vittime di omicidi anomali in cui il coinvolgimento di pezzi deviati dello Stato sembrerebbe così palese da rasentare l’imbarazzo istituzionale nelle aule dei tribunali? Dall’omicidio, rimasto impunito, del sindacalista Salvatore Carnevale a partire dagli anni ’50, all’isolamento istituzionale di Aldo Moro, del generale Dalla Chiesa, dei giudici Falcone e Borsellino, all’omicidio e la relativa vicenda processuale dei coniugi Agostino, a quello inenarrabile dell’urologo Attilio Manca, casi in cui la giustizia è stata inumata da decenni (e ancora, la presunta trattativa Stato-Mafia, il caso Cucchi, i tentacoli para-massonici che aggrovigliano i fondamenti della Repubblica), gli esempi in cui il bacillo della corruzione appare intaccare la regolare applicazione del dettato costituzionale, corteggiando il legislatore e il suo controllore, sono molteplici.
A che serve una riforma lontana anni luce dalla necessità contingente di un popolo "suicidato" dalle banche e da Equitalia, impoverito da una pressione fiscale che umilia e scoraggia pubblico e privato, culturalmente indebolito e sviato dalla disinformazione?
In un universo democratico già abbastanza tetro, un sì alla riforma costituzionale calata da Matteo Renzi paventa l’innesco di un temibile buco nero fuori controllo laddove il controllo e il rispetto delle regole non è utopia o fantascienza ma amara e reale conseguenza perpetrata già da un pezzo sulla pelle del popolo italiano. Se poi lo chiede l’Europa del potere finanziario, la nostra risposta l’affidiamo a Zagrebelsky, di certo persona più competente: qual è l’Europa alla quale volete dare risposte?

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