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provenzano multicolordi Giuseppe Lumia
Vi propongo una mia riflessione, pubblicata su l’Unità, sul ruolo poliedrico ricoperto da Bernardo Provenzano all’interno di Cosa nostra.

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Provenzano è morto. Mi auguro che adesso non venga santificato o trasformato in un mito, un “capo dei capi” da celebrare, magari con un sontuoso funerale dello “Stato Mafia” proprio a Corleone.

Provenzano è morto e con lui alcuni dei principali e più importanti segreti di Cosa nostra. Quelli, ad esempio, sulle collusioni con le “alte sfere” della politica e dell’economia. Un’espressione non mia, ma utilizzata dal collaboratore di giustizia Nino Giuffré che conosceva Provenzano molto bene, essendo stato suo uomo di fiducia, anche se per poco non ci lasciava la pelle vista la  propensione dello stesso Provenzano a liberarsi di tutti i vari pretendenti alla guida di Cosa nostra.

Provenzano, un boss dai mille volti. Considerarlo solo come uno dei tanti capi di Cosa nostra non ci farebbe cogliere la sua valenza criminale, la funzione che ha svolto al vertice dell’organizzazione e le numerose responsabilità che ha condiviso insieme a Riina e ai vari boss della mafia, dai Madonia della provincia di Caltanissetta, ai Virga, i Mangiaracina e Matteo Messina Denaro nella provincia di Trapani, ai La Rocca a Catania, a Rampulla, Cattafi, Galati-Giordano, Bontempo-Scavo in provincia di Messina, ai Bevilacqua ad Enna, ai Falzone e Sutera in provincia di Agrigento, ai Martorana in provincia di Ragusa… tanto per citarne solo alcuni.

Provenzano “u tratturi”. È questa una delle facce del boss, quella dell’ uomo estremamente violento che passa sopra tutto e tutti. È stato infatti il responsabile di centinaia di delitti, operativo nella strage di Viale Lazio, uno dei principali mandanti delle stragi di mafia del ’92/’93 e dei più efferati delitti. Ricordo a tutti che a Bagheria, presso la fabbrichetta della famiglia dei boss Greco, considerata l’ufficio operativo di Provenzano, si uccidevano e squagliavano nell’acido i nemici dei corleonesi durante la lunga guerra di mafia.

Provenzano “u ragionieri”. Immagine opposta, ma non in contraddizione con la prima. Uomo abile politicamente a costruire relazioni con gli apparati, con la politica, rappresentante di una corrente di Cosa nostra, magari diversa dallo stesso Riina, ma mai in contrapposizione a lui. Lo stesso Riina ha più volte confermato, anche di recente, il sodalizio inossidabile con Provenzano. Basta andare a Corleone per capire che tra i figli di Riina e Provenzano ci sono differenze, ma rotture mai, risultato da attribuire anche all’abile mediazione della famiglia Lo Bue, che ha saputo far convivere e coesistere le famiglie Provenzano, Riina e Bagarella.

Provenzano che ha saputo trattare con lo Stato, reggere l’intricato rapporto con i servizi, guidare una difficile transizione di Cosa nostra verso quella attuale, che preferisce gli affari e le collusioni con le istituzioni piuttosto che gli omicidi e le stragi. Senza mai dimenticare che quando è necessario colpire non si è mai tirato indietro, come molti fatti dimostrano, compresa la decisione di eliminarmi.

Provenzano il religioso. L’uomo della tradizione, quello che scandiva la sua giornata con la scrittura dei famosi pizzini, attraverso i versetti della Bibbia. Un Provenzano tutto “casa e chiesa”, tipico di un certo modo di pensare di Cosa nostra. Pronto a dare tutto al “Dio denaro” e al “Dio potere”, ma altrettanto pronto a ricorrere ad un Dio usato e piegato alle strategie mafiose. Come se i boss fossero i veri sacerdoti di una tradizione che tutto può, senza limiti, in una visione totalitaria e idolatra che spesso ritroviamo nelle frange estreme del radicalismo islamico. Una “religione mafiosa” che tuttavia non si contrappone alle altre, ma che come un parassita pensa di svuotarne regole e responsabilità fino a succhiarne il sangue e il midollo e manipolare l’ idea stessa di religione, di Stato e di società civile che si è affermata nel corso della storia moderna.

Manca il “Provenzano collaboratore”. Forse sarebbe stato impossibile, ma con i miei occhi e con le mie orecchie nel carcere di Parma a 30 centimetri di distanza ho colto in Provenzano un’apertura senza precedenti. Un’apertura che andava verificata. Lo Stato doveva dare il meglio di sé, invece ci si è divisi, sono scoppiate ad arte le polemiche e le fughe di notizie e non si è riusciti a verificare sino in fondo questa importante ipotesi.

In quell’occasione mi stupì la reazione dei figli, che piuttosto che incoraggiare il padre alla collaborazione si sono solo preoccupati di smentirlo e di mettere le “mani avanti”, a scanso di equivoci, in modo tale che gli equilibri non venissero fatti saltare in aria e lui potesse portare così nella tomba i segreti inconfessabili che ha vissuto da protagonista.

La sua latitanza è stata da record, così come la sua tenuta ai vertici dell’organizzazione. È riuscito a sopravvivere alle mille guerre di mafia e ha saputo in modo perverso gestire affari, relazioni, omicidi e stragi. Insomma, Cosa nostra però continua e va avanti con lo stesso Riina, Matteo Messina Denaro e i tanti  boss “fine pena” che sono ritornati ad “infestare” il territorio. Ho detto più volte che una sorta di maledizione incombe su Provenzano e sulla sua famiglia. Di questa maledizione adesso dovrà dar conto con il vero e buon Dio.

Giuseppe Lumia

Tratto da: giuseppelumia.it

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