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galluccio enza bndi Enza Galluccio
Anche quest’anno con l’avvicinarsi del 19 luglio, anniversario della strage di via D’Amelio, non sono mancate le calde notizie estive di cui ormai solo in pochi ci occupiamo.
Dunque, nell’afa di luglio, il sottosegretario alla Giustizia Gennaro Migliore (Pd) esordisce con una richiesta di maggior attenzione ai costituzionali principi sui diritti umani in merito al c.d. carcere duro previsto dal 41 bis, tanto voluto da Giovanni Falcone e diventato legge dello Stato soltanto dopo la morte di Paolo Borsellino.
Innanzitutto val la pena di fare alcune considerazioni sulla necessità ravvisata da Migliore. La prima è che il tipo di detenzione citata non viola alcun diritto fondamentale dei detenuti che, per ovvia condizione, sono sottoposti a tali modalità restrittive per evitare che si perpetui la strategia dei capi di Cosa Nostra nel mantenere contatti con la base, impartendo ordini anche da reclusi come avveniva prima del decreto Martelli. La seconda è una mia semplice e personale riflessione. Mi domando come mai il sottosegretario non si sia pronunciato anche sui numerosi casi di abuso di potere (a dir poco) da parte di alcune frange delle forze dell’ordine, di guardie carcerarie e quant’altre figure simili che hanno fatto notizia nella cronaca di questi anni, si pensi al G8 oppure a casi come quello di Stefano Cucchi o di Federico Aldrovandi.
Sensibilità a fasi alterne quella del sottosegretario.
Inoltre, dopo l’uscita in stampa e online da parte di pochi organi d’informazione, egli si appresta a precisare quanto ritenga irrinunciabile il 41 bis, ma ribadisce che esso dev’essere applicato “secondo le corrette procedure”, come a far intendere che finora siano state utilizzate procedure scorrette senza specificare quali esse siano.
Viene invece specificato un esempio di maggior flessibilità necessaria per i detenuti in questione (Riina, Graviano, Carminati…), l’uso di videochiamate attraverso Skype in sostituzione delle obsolete schede telefoniche. Forse Migliore non sa che così si favorirebbero nuove modalità comunicative legate agli aspetti visivi oltre a quelli verbali, realizzate attraverso codici segreti storicamente parte dell’organizzazione mafiosa.
La terza considerazione, la più inquietante, è relativa alle motivazioni che portano una figura istituzionale a preannunciare pubblicamente un ulteriore intervento sul 41 bis, oggetto degli atti nel processo di Palermo e delle richieste del famoso “papello” di Cosa Nostra verso lo Stato, poste in cambio dell’interruzione della fase stragista (giustificazione alla trattativa, oggi venduta da molti come lecita) e probabilmente alla base di molti altri indicibili accordi.
Mentre “misteriosamente” Palermo brucia per atti definiti genericamente dolosi e a Roma ripartono inchieste su corruzione e riciclaggio in cui si intravedono legami con le alte cariche istituzionali (compare anche il nome di Dell’Utri), a sorpresa lo Stato si interessa ancora di alleggerimenti in tema di 41 bis. Nonostante le iniziative prese “in solitudine” in quel lontano 1993 dall’ex ministro Conso, oggetto di attenzione e testimonianza sempre all’interno del processo sulla Trattativa tra lo Stato e la mafia, chi oggi rappresenta lo Stato trova spazio per tale flessibilità non ben chiarita e, a dir poco, pericolosa.
A tutto questo si aggiunge il preoccupante richiamo del procuratore di Palermo Lo Voi che imporrebbe il silenzio con gli organi d’informazione da parte dei magistrati. Sembra che ogni dichiarazione debba oggi essere autorizzata dallo stesso Procuratore, pena l’intervento disciplinare.
Un altro bavaglio all’informazione su temi scottanti che riguardano le attività criminali e le relazioni esistenti tra queste e parti delle istituzioni dello Stato italiano.
Si preannuncia caldo e censurato questo luglio del 2016.

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