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droga dollaridi Piero Innocenti
Ben consapevole di come qualcuno storcerà il naso leggendo queste note, proviamo a fare alcune sintetiche considerazioni sulle “ricchezze” prodotte dalle attività fuorilegge in alcuni paesi, traendo spunto dai dati e dalle analisi fatte sul punto anche in tempi recenti. Appena quattro anni fa, secondo Eurispes, Istat, Legambiente, Confesercenti-Sos/Imprese e Abi, nel nostro paese si valutava in circa 420 miliardi di euro il “contributo” alla ricchezza nazionale proveniente dalla criminalità e dall’evasione fiscale. In particolare, si stimava in 250miliardi il prodotto dell’economia illegale (traffico di stupefacenti, estorsioni, ecomafie, usura, prostituzione, furti e rapine, abusivismo edilizio, traffico di armi, tratta delle persone) e 100miliardi di euro – sul totale di 250 miliardi derivanti dall’economia sommersa (o “non osservata” come si dice oggi) proveniente da tasse evase (irpef, ires, irap, iva, contributi sociali, imposte locali). Questa montagna di denaro rappresentava circa il 30% del pil ufficiale italiano del 2011, contro una media europea di circa il 10%. Oggi, limitando l’analisi all’economia criminale (traffico di droghe, prostituzione, contrabbando di tabacco) che contribuisce alla stima del nostro Pil, valutazioni recenti della CGIA di Mestre (febbraio 2016) parlano di un importo prudenziale di circa 211 miliardi di euro nel decorso anno, con una incidenza sul Pil di circa il 12%. Un quadro, a me pare, decisamene desolante, che diventa drammatico se si dà uno sguardo ad altri paesi lontani dall’Europa dove, ormai, le mafie, specie quelle collegate al narcotraffico, costituiscono veri e propri “antiStati”. Esperti analisti dei servizi di intelligence americani ed europei, in servizio da diversi anni in alcuni paesi del Centro-Sud America, sostengono che, se il narcotraffico venisse debellato improvvisamente, l’economia americana subirebbe un crollo intorno al 20%, quella colombiana di circa il 40%, quelle di Perù e Bolivia del 30%. In una situazione del genere, il contraccolpo più pesante lo subirebbe il Messico, con una perdita di ricchezza di circa il 50%. Già nel novembre del 2009, un attento osservatore messicano come Edgardo Buscaglia, del Centro Internazionale di Sviluppo Legale ed Economico, denunciava come l’economia messicana fosse fortemente condizionata dai poderosi cartelli dei narcos, le cui risorse finanziarie stimate rappresentavano circa il 40% del Pib nazionale (Prodotto interno bruto come si indica in quel paese). Valutazione che non suscitò allora (neanche successivamente) una particolare preoccupazione politica né un forte allarme sociale in un paese, spiace dirlo perché, per altri aspetti, è straordinario, fortemente destabilizzato dalla criminalità del narcotraffico. Da troppi anni, ormai, queste organizzazioni criminali sono presenti in moltissimi paesi ed hanno raggiunto livelli straordinariamente elevati di ricchezza, di controllo territoriale e di capacità corruttive. Nelle fila dei trafficanti di stupefacenti militano, di nascosto, governanti, parlamentari, finanzieri, giudici, militari, poliziotti corrotti, uomini d’affari e banchieri che riciclano denaro in tutto il mondo. Basti pensare all’America Latina, all’Asia, al Medio Oriente, all’Africa, regioni che, con la loro perenne instabilità favoriscono appunto anche giochi e interessi delle mafie. Una situazione, quella odierna, già drammatica e destinata ad ulteriori sviluppi con prospettive tragiche in molti paesi, se non si adotteranno nuove politiche antidroga a livello internazionale.

Tratto da: liberainformazione.org

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