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giacalone rino 20151019di Rino Giacalone
A Salemi ci si è interrogati sulla latitanza di Matteo Messina Denaro, ricercato da oltre 8 mila giorni. La corresponsabilità è la prima cosa da creare se si vuol contrastare la mafia e la politica complice e corrotta.
A Trapani, da Palermo, si arriva in un'ora, con l'autostrada. Eppure da sempre si avverte tra le due città una separazione che è molto meno misurabile ma infinitamente più profonda di cento chilometri d'asfalto. Da una parte la capitale, sfrontata tanto nella bellezza quanto nella miseria, caotica, sporca, gonfia di misteri ma abituata a ritrovarsi ogni giorno sulle pagine dei giornali: i duecento morti ammazzati ogni anno, i cadaveri eccellenti, gli scandali, la radiografia delle cosche, sempre mutevole e quindi poco affidabile ma comoda da offrire in pasto alla gente. Dall'altra Trapani, silenziosa e inospitale, con le strade e i palazzi coperti da un alone giallastro di sabbia e sporcizia come certi paesini africani ai confini del deserto, e il vento che spazza incessantemente il lungomare. A Trapani (la mafia ndr) forse essa è addirittura più forte e inviolabile che a Palermo, poiché può contare, oltre che sulle proficue alleanze con le cosche americane, sull'impaurito silenzio della città e sull'indifferenza dei mass media; chi tenta di opporsi al suo strapotere finisce isolato e ucciso, come Ciaccio Montalto, oppure isolato e allontanato, come è accaduto negli ultimi tempi a magistrati e poliziotti troppo pignoli. E’ l’incipit di un articolo uscito su I Siciliani di Pippo Fava nel 1981. La firma quella di Claudio Fava. Lo stesso “attacco” può essere ancora usato oggi dovendo scrivere di Trapani. L’unica correzione è che non si spara quasi più, e a Trapani i delitti di mafia fanno parte della tragica ma spesso dimenticata storia della provincia. L’ordine di non sparare fu dato proprio da Trapani, da Matteo Messina Denaro, latitante da oltre 8300 giorni,  il ricercato oggi, si dice, più ricercato che ci sia. Oggi c’è la mafia sommersa, la mafia che comanda grazie all’aria grigia, che non ha bisogno di armi per imporsi nel territorio, la Cosa nostra 2 ideata ancora da quel Matteo Messina Denaro che nel trapanese e nel suo mandamento, quello di Castelvetrano, inaugurò per tempo la stagione delle affiliazioni senza più tanti riti particolari e sanguinolenti da compiere. La mafia trapanese resta forte. Forte anche perché i più continuano a negarla, ieri non c’era oggi raccontano che è sconfitta, è forte perché ancora oggi a Trapani c’è chi dice che non bisogna parlare di mafia a scuola o che Matteo Messina Denaro non è il primo dei problemi, è forte perché i giornalisti che la raccontano vengono accusati di delitti più orribili di quelli commessi e compiuti dai mafiosi, cioè quelli di assalire e calpestare i territori, è forte perchè tra la mafia e l’antimafia c’è chi pensa esista una posizione mediana, “a me non interessa né l’una né l’altra”, è forte perché alla fine se si parla di mafia si comincia e si finisce con l’attaccare l’antimafia, è forte perché la politica ha dei bravi attori e delle bravi attrici, è forte perché la mafia ha saputo arricchirsi con i finanziamenti pubblici, perché ha reato sacche di denaro presto disponibile, cash. Matteo Messina Denaro è latitante dal 1993, oggi ci chiediamo chi garantisce questa latitanza. Non vediamo singole persone, vediamo un sistema.
“Non esistono innocenti. Esistono solo diversi gradi di responsabilità”, come ci ricordò una volta lo scrittore svedese Stieg Larsson. Per esempio. Alla latitanza di Messina Denaro dovrebbe essere riconosciuta straordinaria attenzione e invece….invece c’è chi sostiene che è esagerato ricondurre tutto il malaffare a Matteo Messina Denaro. E questo mentre come nel 1981 l’attenzione della mafia è rivolta a quello che si fa nei Palazzi di Giustizia. Leggete la sentenza sulla famosa loggia massonica segreta Iside 2, dove erano iscritti mafiosi e colletti bianchi, per scoprire che l’attività principale era rivolta al lavoro di magistrati, giudici e cancellieri. Oggi persiste il tentativo di conoscere ciò che avviene nelle Procure, quella massoneria alleata alla mafia se non essa stessa Cosa nostra, non ha abbandonato la mira. Tra le toghe c’è una guerra intestina sotterranea, ci sono pm, da Palermo a Trapani, malvisti perché hanno alzato il tiro verso “il terzo livello”. Scene già viste ai tempi di Falcone e Borsellino. Qui c’è la Mafia borghese, la mafia trapanese è ancora ben capace di agire, è viva e vegeta e ad ogni caduta di testa ne ha pronte altre tre e pronte a rialzarsi. A dipingerla come un’idra o come l’Araba Fenice non si sbaglia. Mafiosi come Prometeo, come tanti Golem o Hermes, dalla mitologia alla realtà. Lo sanno bene gli investigatori che ci sono, eccome se ci sono. Per loro non c’è caldo o freddo che tenga, non ci sono orari di servizio, impegni personali o familiari che vengono prima del lavoro. Non percepiscono straordinari, non lavorano per il vile denaro. Ma subiscono pressioni. In questa terra abbiamo visto fior di investigatori uccisi o trasferiti. Abbiamo visto investigatori che solo ascoltando una conversazione di un paio di secondi riuscivano a capire cosa stesse accadendo. Alcuni li abbiamo ancora, altri sono stati promossi e mandati a combattere altre mafie. Chi è rimasto non deve essere più toccato, vogliamo vedere promossi i bravi investigatori ma non per essere rimossi ma essere ancora più aiutati a “cacciare” il boss ed il suo “cerchio magico”, vogliamo che questa squadra non sia indebolita ma rafforzata, sennò sarà inutile chiederci perché Matteo Messina Denaro non viene ancora catturato. Così come diciamo che un pm che svolge funzioni da sostituto procuratore distrettuale non può lavorare con l’etichetta sulla giacca che ne indica la data di scadenza, come uno yoghurt ci ha appena ricordato a Salemi il procuratore aggiunto Teresa Principato ad un incontro organizzato da Libera, come un prodotto commerciale, oggi ancora dovremmo riconoscere ad alta voce che dinanzi alla mafia organizzata non abbiamo uno Stato altrettanto organizzato nella lotta. Basta con le irresponsabilità, basta con i politici che giocano con le parole legalità ed antimafia. “La politica senza la mafia può esistere, è la mafia senza la politica che non può esistere” ci ha detto don Ciotti. Matteo Messina Denaro non ha bisogno di mille o cento uomini, gliene basta qualcuno, messo al posto giusto, come fu per Santo Sacco e Lillo Giambalvo, consiglieri comunali a Castelvetrano, come Franco Orlando, consigliere comunale a Trapani e nel frattempo braccio destro del killer Vito Mazzara, come Pino Giammarinaro il deputato rais a Salemi. La politica, il terzo livello. Non ci sono solo il prescritto senatore Tonino D’Alì, o il prescritto onorevole Bartolo Pellegrino, ce ne sono tanti altri che come loro non hanno rispettato e non rispettano la distanza di sicurezza dalla mafia. C’è una indagine di oggi quella scattata a Firenze ma che arriva dritto in Sicilia nei confronti dell’imprenditore Andrea Bulgarella che ci svela come può essere possibile aiutare la mafia, c’è la massoneria ma ci sono anche le marchette raccontate in questa inchiesta dove il puzzo di cosa nostra è avvertibile come non mai.

giacalone rela 20151019

E le parole di don Luigi Ciotti debbono farci svegliare. "Oggi c'è un livello di commistione mai raggiunto tra le mafie e le istituzioni.
Tutte le mafie stanno ingrassando e non sono figlie della povertà e dell'emarginazione.

Non c'è legalità senza uguaglianza.

C'è bisogno di giustizia sociale.

Chi protegge la mafia e' la critica sterile, e' la protesta senza impegno, son o quelle solidarietà che non si traducono in corresponsabilità".
A Trapani la mafia resta quella che nel 1988 veniva raccontata dal giornalista senza tessera Mauro Rostagno, barbaramente ammazzato perché raccontava, c’era e c’è una mafia forte e inviolabile, protetta da insospettabili alleati, c’è la mafia che induce a chiedere a un giornalista “a chi appartieni”, c’è un giornalismo che invece anche di esagerare preferisce il silenzio o il fango. Questa non è una terra normale, purtroppo ce ne accorgiamo ogni giorno di più. Dove passa facile facile il messaggio che i magistrati sono, come li descrive Matteo Messina Denaro,  dei Torquemada, qui accade che spariscono le notizie semmai vengano scritte. Spariscono le condanne semmai qualcuno se ne ricordi, qui si fanno i “festival della legalità” dove la parola mafia è bandita, qui la gente non sa ancora indignarsi. E questa è la cosa più grave tra le responsabilità che fanno di tutti noi dei “colpevoli”.
Un capitolo a parte merita il giornalismo. Conoscere, scrive Roberto Saviano a proposito di Gomorra, non è più una traccia di impegno morale. Sapere, capire diviene una necessità. L'unica possibile per considerarsi ancora uomini degni di respirare. Allora qui ci sono pochi uomini e ci sono tanti uomini che pensano di respirare. E’ stato sempre impossibile raccontare la mafia anche quando insanguinava le strade, oggi è sicuramente ancora più impossibile perché  la specificità che distingue la mafia dalle altre organizzazioni criminali, e cioè il suo essere parte integrante di un sistema di potere in cui c’è la politica. Oggi noi giornalisti dobbiamo sforzarci di rompere il muro di omertà che protegge Cosa nostra, dobbiamo raccontare bene le cose con i nomi ed i cognomi, sfatare ciò che tanti pensano e cioè che da queste parti il bavaglio esiste senza bisogno di far una legge come sembra desideri fare il Parlamento. Dobbiamo avere la forza di rispedire al mittente le veline che puntualmente arrivano dagli avvocati difensori dei mafiosi, dei collusi, dei corrotti. “Fai quel che devi accada ciò che può” è la lezione che ci ha lasciato Roberto Morrione. “Trapani - ci ha ricordato poco prima di morire prematuramente Santo Della Volpe - che sia un luogo difficile per la nostra professione è certezza; ma proprio per questo il giornalismo deve essere limpido e ben ancorato ai capisaldi della professione”. Cosa nostra può essere combattuta anche dai giornalisti, mettendo al centro del nostro lavoro, come ancora ci ha lasciato detto Santo Della Volpe, i diritti e i doveri del giornalismo e quindi la qualità dell’informazione, senza mai abbassare lo sguardo dinanzi a chi ha colpe da scontare, o in galera o anche per le strade delle città.
Abbiamo tra le mani quella verità che Mark Twain definiva più bizzarra, perché più fantastica di ogni finzione!

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