Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

lombardo-antoninodi Salvo Vitale - 6 giugno 2015
Venti anni fa il maresciallo dei carabinieri della stazione di Terrasini, Antonino Lombardo, nel cortile della caserma Bonsignore di Palermo si sparava un colpo di pistola, lasciando una lettera nella quale indicava, con molta chiarezza, i responsabili del suo gesto. «Mi uccido per non dare la soddisfazione a chi di competenza di farmi ammazzare e farmi passare per venduto e principalmente per non mettere in pericolo la vita di mia moglie e i miei figli che sono tutta la mia vita… Non ho nulla da rimproverarmi poiche' sono stato fedele all'Arma per trentuno anni e, malgrado io sia arrivato a questo punto, rifarei tutto quello che ho fatto. La chiave della mia delegittimazione sta nei viaggi americani..." Qualche giorno prima, in una agitata trasmissione  “Tempo Reale”, condotta da Michele Santoro, il sindaco di Palermo Leoluca Orlando e quello di Terrasini Manlio Mele, avevano affermato che c’erano “pezzi dello stato collusi con la mafia”. Con la solita mancanza di scrupoli e di rispetto, persino per il gesto di una persona che era stato “posato” dai suoi superiori, il direttore del Giornale Belpietro e un suo giornalista, Giancarlo Perna, tentavano di scaricare la colpa del gesto del maresciallo su Orlando e Mele, che avrebbero diffamato il militare. Santoro denunciava Belpietro che, nel novembre del 2011 veniva condannato per diffamazione al pagamento di una multa di 60 mila euro.

Ma, andando al di là dello sciacallaggio del giornale berlusconiano, non c’è dubbio che la figura di Lombardo è controversa e che il suo suicidio è uno degli episodi più inquietanti che stanno dietro ai misteri sull’operato dei carabinieri all’interno delle vicende siciliane, soprattutto per quel che riguarda la mafia. Lombardo era riuscito ad allacciare un rapporto con Gaetano Badalamenti, che aveva incontrato due volte nel carcere di Fairton, negli Stati Uniti, dove era stato condannato a 47 anni per traffico di droga. Pare che Badalamenti si fosse dimostrato disponibile a venire in Italia, accompagnato da Lombardo, per esporre ai magistrati la sua tesi, secondo cui, dietro la scalata al potere dei corleonesi ci sarebbe stata la Cia e Totò Riina sarebbe stato manipolato dai servizi segreti americani, con la strategia sotterranea di Giulio Andreotti. Lombardo aveva anche prenotato il biglietto per il viaggio, dal quale sarebbe tornato in compagnia di don Tano. Il 23 febbraio 1999 scoppia la grana della trasmissione “Tempo reale”, nel corso della quale, sulla piazza di Terrasini si presentano anche i D’Anna, (soprannominati “I Narduna”), ovvero i figli di due storici mafiosi terrasinesi, tra l’altro imparentati con Gaetano Badalamenti, (una sorella di don Tano aveva sposato Mummino (Girolamo)  D’Anna). Va detto che tra il maresciallo e i D’Anna c’era molta vicinanza, stretti rapporti, che si parlava di gite in barca assieme alle loro figliole, amiche, che i D’Anna erano andati a trovare il maresciallo Lombardo all’Ospedale Civico, dove era stato ricoverato per un intervento operatorio. Tutti elementi che lasciavano adito a sospetti e a pettegolezzi. Lombardo aveva invece continuato il suo lavoro all’interno della sezione anticrimine dei ROS di Palermo e, per quel che ci è dato presumere, pare che avesse fatto un buon lavoro, dal momento che egli stesso scrive nella sua lettera: “Il giorno più bello della mia vita è stato quello della cattura di Totò Riina, alla quale ho dato un grosso contributo”. All’ultimo minuto a Lombardo venne dato ordine di sospendere il suo viaggio: qualcuno dei suoi collaboratori in caserma pare avesse detto che Lombardo stava per essere arrestato. Fra l’altro, proprio allora, era stato ritrovato ucciso uno degli informatori di Lombardo, Francesco Brugnano. Il pentito Angelo  Siino sostiene che Brugnano avrebbe organizzato un incontro tra lui e lo stesso maresciallo Lombardo. In ogni caso nella lettera è indicato molto chiaramente a chi attribuire la responsabilità del suicidio: “chi di competenza” non può essere altro che un superiore. Il figlio di Lombardo ha condotto una battaglia per rientrare in possesso della lettera e cercare di fare riaprire le indagini sul suicidio del padre, ma s’è trovato davanti a elementi secretati sui quali si ferma ogni richiesta di chiarezza. Afferma che Lombardo, tre ore prima del suicidio, avrebbe dichiarato a un collega “Dopo il secondo incontro con Tano Badalamenti nel carcere americano di Fayrton, il capomafia mi ha inviato una lettera, mi ha messo in guardia da alcuni miei superiori, disse che per motivi politici e di carriera erano legati a strani personaggi”. Sostiene che è scomparsa l’agenda marrone in cui il padre segnava tutti i suoi appuntamenti e le sue riflessioni e non si trova più persino la lettera di Badalamenti. Anche il cognato di Lombardo, il tenente Carmelo Canale,  ha avuto, come Bruno Contrada, vicissitudini giudiziarie per mafia, estorsione, corruzione, rivelazione di segreti delle indagini collusioni con la mafia. Di suo cognato Nino Lombardo ricorda che “Fu lui a dire al generale Mario Mori che Riina doveva essere cercato attraverso la famiglia Ganci della Noce, cosa che poi risultò determinante. Non so chi glielo disse. Mio cognato era uno sbirro vecchia maniera. Le notizie, quando non c’erano i pentiti, si beccavano così, dai delinquenti”. Guarda caso Raffaele Ganci aveva una villetta a Terrasini. Nella vicenda di Lombardo c’è tutto il gotha militare dell’epoca, c’è Obinu, che accompagnò Lombardo in America e verbalizzò il dialogo con Badalamenti, c’è il colonnello Mori, che presiedeva a tutte le operazioni relative alla trattativa dello stato con la mafia, c’è il capitano Di Donno e altri personaggi al vertice delle forze dell’ordine. Non saprei dire se ci fosse anche Subranni, che in quelle vicende era quasi sempre presente, essendo diventato il principale esponente dei ROS. Difficile ancora oggi capire se il lavoro di Lombardo fosse “pulito” o se, come è presumibile, usasse anche lui canali non ortodossi per  “trattare” con alcuni mafiosi e colpire i più pericolosi. Una volta mi disse: “Professore, non pensi male di me. Io agisco in nome dello Stato e per il bene dello stato”. Da allora non esito a riconoscergli l’identità di “servitore dello stato”, vittima delle sotterranee manovre di altri servitori dello stato, i suoi superiori. L’Associazione “I cittadini contro le mafie”, il 7 giugno, alle ore 10,30 a Partinico, al Palazzo dei Carmelitani, consegnerà un riconoscimento ai familiari.

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos