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di Carlotta Baldi - 3 giugno 2015
Trenta aprile 2014. E' questa la data della scomparsa del vicecommissario della Polizia di Stato, Roberto Mancini. La causa? La “ricerca della verità”, dedicando la propria vita allo svolgimento delle indagini sui rifiuti tossici illegalmente gestiti dalle organizzazioni mafiose. La sua storia è emblematica. Mancini inizia le sue indagini sui rifiuti illeciti già negli anni '80 e si svolgono soprattutto nella cosi detta Terra dei Fuochi. Già all’epoca si sapeva dell’esistenza dei rapporti tra clan camorristici e massoneria, le quali gestivano il traffico dei rifiuti affidate a ditte di loro competenza, interrandoli nelle zone di Caserta - Napoli - arrivando fino alla provincia di Latina. L’allora ispettore Mancini con la sua squadra della Criminapol aveva già fatto indagini riguardo a questo aspetto, ma all’epoca non era un visto come un problema rilevante. Così, come spesso accade, l'inchiesta venne accantonata senza troppi indugi.

Per fare in modo che le indagini della Criminapol del Lazio avessero un riscontro ulteriore l’ispettore si avvalse di un collaboratore di giustizia molto importante nel campo della criminalità organizzata: l'ex camorrista casertano Carmine Schiavone. Accompagnato da quest'ultimo andò sui luoghi in cui la criminalità organizzata aveva creato discariche nascoste. Con i propri occhi vide l’orrore che era stato fatto al territorio circostante, causato non solo dai “soliti” prodotti di plastica, vetro, gomma. Infatti, a rendere il tutto ancora più drammatico ed inquietante, vi era una fortissima presenza di materiali tossici, prodotti chimici, scorie nucleari, piombo, rame, zinco, cromo, materiale acido. La discarica venne paragonata alla centrale nucleare di Cernobyl, su affermazione di un magistrato della Procura di Santa Maria Capua Vetere. A causa degli altissimi valori di inquinamento che si riversarono sulle falde acquifere si è generato anche un ingente quantitativo di diossina, liquido incolore, capace di produrre effetti devastanti anche sul campo alimentare (esempio la mozzarella di colore blu).
Anche dopo aver lavorato e dimostrato quando accadeva, l'inchiesta di Mancini rimase in un cassetto ferma per almeno dieci anni. Successivamente, insieme al Presidente della Commissione Parlamentare sul Ciclo dei Rifiuti Tossici, il poliziotto ha dato il via ad un'indagine a tappeto ispezionando centinaia di siti tossici, ed è proprio in uno di questi sopralluoghi, che ha contratto un tumore al sangue che è poi stato causa della sua morte.
Un uomo lasciato solo, Mancini, come tanti altri in passato ma anche oggi nel presente.
Il suo decesso è uno dei tanti che si sono verificati in Campania, sempre più regione “record” per questo genere di casi. Episodi che potrebbero aumentare secondo gli studi dell’Organizzazione mondiale della sanità. Anche in Toscana ci sono questi rischi. Una Regione, quest'ultima, dove il traffico di rifiuti ricopre un ruolo rilevante e vi è una base operativa per diverse famiglie camorriste impegnate in numerosi affari criminali.
Alla luce dei fatti è importante tenere alta l'attenzione, e al tempo stesso onorare la memoria di chi con con prestigio, indossando una divisa, ha cercato di invertire l’ordine delle cose anche a rischio della propria vita.

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