Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

licata-candidati-salvodi Salvo Vitale - 19 maggio 2015
Partiamo presto. Il  giorno non è dei più favorevoli, è il 17 maggio. Sono le otto e sembra di essere nella prima luce del mattino, se luce si può chiamare la cupola di  nebbia, acqua, lampi, tuoni che avvolge il paesaggio: forse  è quella che viene chiamata una “bomba d’acqua”. Dina cerca di fermarmi, non è prudente andare in giro così. Riconosco che ha ragione, ma parto lo stesso. Faro mi aspetta a Terrasini: anche sua moglie Agata, che lo ha accompagnato, è preoccupata. Prima di partire chiamo Lillo, il mio contatto con Licata, il quale mi dice che, dalle sue parti c’è il sole. Faro ha studiato attentamente gli itinerari e ha deciso che la via più favorevole è la Palermo-Mazara del Vallo, con deviazione a Castelvetrano. Malgrado Faro mi sembri poco convinto, guido sino a Castelvetrano, dove prendiamo un caffè e ci scambiamo di posto. Lungo il percorso si stagliano i templi greci di Agrigento, con il loro millenario fascino. Nei pressi di Licata chiamo Lillo, il quale mi dice che lo troveremo in mezzo alla strada e non potremo sbagliare nel riconoscerlo. E infatti è lì, al bivio, che sventola, come un matto, una bandiera rossa col simbolo di Rifondazione Comunista. Risate e abbracci.

Andiamo nella sua campagna, dove a poco a poco comincia ad arrivare gente, anzi, per dirla come una volta e come si usa ancora da queste parti, compagni. Riconosco tra questi Gianluca Mantia, con il quale avevamo partecipato sette o otto anni fa alla Carovana Antimafia in Emilia: allora portava le treccine e i suoi capelli avevano un colore biondo sporco, sembravano quasi di canapa: adesso, a parte un po’ di barba, è liscio, pettinato o quasi, e grande è il mio stupore nell’apprendere che è candidato a sindaco di Licata, dove a fine maggio ci saranno le elezioni comunali: fra l’altro è uno che da tempo si muove contro il progetto di otto trivellazioni che dovrebbero essere portate avanti da una società americana al largo delle coste circostanti. Anche gran parte di coloro che ci stanno attorno è candidata, per lo più a coppie, marito-moglie, madre-figlio ecc, dal momento che il voto è dato per par condicio. Grande grigliata, grande abbuffata e poi Claudio ci porta a fare un giro nella periferia del paese, per farci ammirare le ville liberty di Ernesto Basile, le coste, l’abusivismo sulle spiagge, la bellezza del territorio e le sue ferite inferte dagli uomini. Ci fa notare anche una grande statua del Cristo risorto davanti alla casa di un noto mafioso, quasi, egli dice, una sorta di segno di riconoscimento. Licata è una città di 40 mila persone, adagiata sul mare, con un’economia in gran parte caratterizzata da serricultura e da qualche sprazzo di turismo, grazie alle belle spiagge. Andiamo nella sede  di questi compagni, i quali ci dicono del PD locale che appoggia da una parte un candidato a sindaco che in passato era stato eletto e aveva festeggiato l’elezione in camicia nera e con ampi saluti romani, mentre l’altra parte del PD appoggia un candidato del Nuovo Centro di Alfano. Salvini non è stato capace di presentare la sua lista, ma ci sono più di 400 candidati al consiglio comunale e sette candidati a sindaco. In ritardo, rispetto all’orario convenuto, iniziamo la presentazione del mio libro, che Gianluca definisce l’evento culturale dell’anno a Licata: è un’occasione, per me e per Faro, di parlare di Peppino, di sua madre, dell’evoluzione della mafia dagli anni ’70  ad oggi, dei ventidue anni passati per ottenere giustizia, a partire dal depistaggio delle indagini, subito dopo il 8 maggio, giorno della morte di Peppino, ad opera dell’allora maggiore Subranni. Apprendo dopo che la moglie di Subranni è di Licata, che egli vive lì e, in un certo momento, lo vedo  attraversare la piazza con sua moglie. Chissà se è venuto a sentire. Senza saperne niente riferisco che Paolo Borsellino avrebbe detto a sua moglie Agnese che Subranni era “punciutu”, ma che  non ci credo. Mentre parliamo  si sente, dal fondo della strada una sorta di banda musicale: siamo costretti a fermarci per il passaggio di una processione che porta a spasso “u bammineddu di Praga” la piccolissima statua del bambin Gesù, proprio quella che una volta avevo visto nella chiesa di Santo Stanislao di Praga e che mi aveva lasciato stupefatto per il modo in cui il bambino è vestito: paramenti reali, a forma di cono, istoriati ricamati e diamantati, corona e simboli reali: appena nato e già bardato. Poche persone al corteo, a parte un gruppo di scout, un altro gruppetto di ragazzine in costume da ballerine e una confraternita con tunica bianca e mantellina rossa. Il corteo arriva in fondo alla strada e ritorna, costringendoci a una seconda interruzione, nel corso della quale mi metto a pregare in latino. I miei tredici libri vanno a ruba, Faro distribuisce alcune locandine con poesie di Peppino, alcuni ragazzi del posto ne improvvisano una recita, alla fine autografi, foto, dediche, auguri per un buon successo elettorale, baci e ritorno verso Palermo, dove continua il temporale lasciato al mattino, quasi si trattasse di un altro pianeta.

Ti potrebbe interessare...

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos