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impastato-peppinodi Giuseppe Lumia - 9 maggio 2015
Il mio ricordo della figura di Peppino Impastato mi riporta agli anni in cui guidai la Commissione parlamentare antimafia, quando si ebbe il coraggio di andare fino in fondo sulle responsabilità dello Stato non solo di fronte a quell’omicidio, ma al depistaggio sulle indagini messo in atto da pezzi delle istituzioni per nascondere la verità. Non è stato facile portare avanti un’inchiesta di quella portata utilizzando i poteri speciali della Commissione e chiamando in causa le responsabilità delle forze dell’ordine e della magistratura.
Le pagine di quella relazione della Commissione sul caso Impastato ci danno il senso dell’opera di Peppino, della straordinaria testimonianza d’amore che ci ha lasciato la mamma, Felicia Bartolotta, dell’impegno del fratello, Giovanni, e del lavoro di ricerca e memoria fatto dal Centro Impastato, guidato da Umberto Santino, e da quanti non si sono mai arresi di fronte agli innumerevoli tentativi di oscurare e occultare il sacrificio di Peppino Impastato. Oggi quella verità si staglia di fronte a tutti per consegnarci una testimonianza straordinaria di impegno contro la mafia, per la legalità ed il bene comune.

Anche Peppino Impastato è stato un politico profeta, come lo furono Piersanti Mattarella e Pio La Torre. Peppino Impastato intuì per tempo la trasformazione di Cosa nostra. Capì che ai boss contadini stavano subentrarono capi molto più ambiziosi, capaci di fare grandi affari, di colludere con la politica e di aprire ponti con il Nord del nostro Paese e con gli Stati Uniti d’America. Il boss Tano Badalamenti, che come Peppino abitava a Cinisi, è stato uno dei protagonisti di questa trasformazione insieme ai Bontade, agli Inserillo e gli altri che guidavano Cosa nostra di allora. Non fu una trasformazione lineare poiché si realizzò con gli affari e con le armi.
Peppino capì che in questa trasformazione in senso affaristico rientravano anche i grandi appalti, con in testa l’aeroporto di Punta Raisi e con esso il grande traffico internazionale di stupefacenti. Insomma, anticipò la necessità di una lotta alla mafia giocata su un terreno moderno e si misurò con una Cosa nostra feroce, come sempre, e molto più abile nei rapporti con l’economia.

Fu un polittico profeta perché comprese che Cosa nostra non la si combatte solo all’esterno, ma anche all’interno, mettendo in discussione quella mafia invisibile e, pertanto, insidiosissima che risiede nei modi di pensare e di agire e che determina quel “sentire mafioso” capace di fare danni spesso più devastanti della mafia militare.
Peppino, infatti, sfidò Cosa nostra anche in famiglia, rompendo quell’omertà familiare che ancora oggi è un elemento di riproduzione delle leadership mafiose e del suo radicamento. Ne prese le distanze con coraggio e determinazione senza ambiguità e furbizia. Cosa, ad esempio, che non sono mai riusciti a fare i figli di Provenzano o la figlia di Matteo Messina Denaro. Più volte mi sono appellato a loro ricordando l’esempio di Peppino Impastato, ma forse non hanno le basi etiche e culturali per poter fare una scelta così delicata e coraggiosa capace di mettere al centro delle relazioni affettive l’amore vero e autentico.

Peppino fu anche un politico profeta perché colse il pericolo che stava corrodendo la sinistra nel rapporto consociativo con certa Democrazia cristiana. Un rapporto che intorbidiva l’agire politico del più grande partito della sinistra e che lo disarmava di fronte all’aggressione mafiosa che conquistava terreno nelle istituzioni e inquinava la vita democratica a livello territoriale e regionale.

Ma c’è un profilo della sua profezia che spesso non mettiamo in evidenza. Era il rapporto con i costumi e la cultura di allora. Pochi sanno che Peppino era profondamente contrario all’uso delle droghe, in un periodo in cui, invece, anche a sinistra andava di moda e veniva visto in chiave libertaria. La sua cultura libertaria era di ben altro spessore. Per Peppino, infatti, la felicità non poteva che fondarsi su relazioni autentiche scevre da alterazioni e infingimenti, nonché su emozioni vere non certo artificiali.

Questa sua profezia lo rende ancora attuale e lo fanno diventare oggi un riferimento universale per tante generazioni che vogliono rifiutare la bruttezza della mafia e promuovere la bellezza della legalità.

Tratto da: giuseppelumia.it

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