Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

borsellino-viminale-romadi Sara Donatelli - 8 maggio 2015
Due anni. Stiamo parlando del Bomb Jammer da due anni. La gente è scesa in piazza, sono state fatte manifestazioni, interrogazioni parlamentari, appelli, petizioni, richieste. Ma niente. Siamo ancora qui a parlare del Bomb Jammer da assegnare ad Antonino Di Matteo e alla sua scorta. Quante cose sono cambiate in due anni? Cosa poteva accadere in questo lasso di tempo? E cosa potrebbe accadere oggi? Stasera, domani? Stiamo parlando di un magistrato che vive sotto scorta dal 1993. Siamo nel 2015. Una vita. Eppure tutto questo accade anche a causa della consapevole e complice indifferenza dei mezzi di informazione, troppo spesso servi del potere. Troppo spesso piegati al volere di logiche opportuniste che nulla hanno a che vedere con la verità dei fatti che, ad oggi, è una sola: c’è qualcuno che vuole uccidere Antonino Di Matteo. E non stiamo parlando solo della mafia, ma anche e soprattutto di quella parte dello Stato che ha qualcosa da nascondere e che deve assolutamente liberarsi di chi, come Di Matteo, sta facendo di tutto affinché si faccia piena luce sulla malefatte di uomini che tutto hanno fatto tranne che rendere fede alla nostra Costituzione e al nostro Paese. Allora, le cose sono due: o si sceglie di schierarsi apertamente a sostegno di Antonino Di Matteo, garantendogli dunque la massima protezione con ogni mezzo disponibile, oppure si sceglie di rimanere indifferenti, sordi e muti di fronte a tutto ciò che sta accadendo. In quest’ultimo caso però si diventa complici, se non addirittura causa stessa di ciò che potrebbe drammaticamente avverarsi. Basta scegliere. Non ci sono mezze misure.

Qui non si tratta di condividere il lavoro svolto da Antonino Di Matteo e dai suoi colleghi: sappiamo tutti che il processo sulla trattativa stato-mafia sia malvisto da gran parte del potere (chissà perché?) e sia criticato aspramente da molti giornalisti, giuristi e professori universitari. Ci sta, è uno dei rischi che si corre nel momento in cui si sceglie di imboccare strade che nessuno prima aveva mai imboccato, o perché nessuno ha mai voluto farlo o perché ad altri è stato impedito, facendoli saltare in aria o, semplicemente, rendendo loro la vita lavorativa un vero e proprio inferno. Non tutti hanno le spalle forti e la schiena dritta, e spesso il mobbing, l’isolamento e la delegittimazione sono delle ottime armi per far fuori chi si manifesta potenzialmente scomodo o pericolo per il sistema. Qui non si tratta, dicevamo, di appoggiare il processo, di condividere il suo impianto accusatorio o altro. Abbiamo a disposizione tutti gli strumenti adatti per poter comprendere l’importanza di questo processo e delle indagini. Abbiamo a disposizione sentenze, requisitorie, testimonianze, inchieste, documenti, atti processuali, decreti di rinvio a giudizio. Ed ognuno ha la propria capacità critica che permette di poter contestare liberamente l’impostazione di qualsiasi procedimento penale. Per carità. Ma qui non si tratta di questo. Qui c’è in ballo la vita di un uomo e dei suoi agenti di scorta. Un uomo delle istituzioni, un uomo dello Stato. E lo Stato DEVE proteggerlo. Ma lo Stato VUOLE proteggerlo? Proviamo a rispondere. E’ il 14 ottobre 2013 quando Luigi Di Maio, attuale vicepresidente della Camera, presenta un’interrogazione parlamentare “a risposta scritta” al Ministro dell’Interno Angelino Alfano e al Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri. Nel documento si legge: “come emerge da notizie di stampa e da segnalazioni di associazioni impegnate nella lotta alla mafia, da alcuni mesi si susseguono sempre più preoccupanti minacce rivolte nei confronti del dottor Nino Di Matteo […] che negli ultimi tempi è stato impegnato in prima linea nei processi per la cosiddetta «trattativa» tra mafia e Stato. Risulta al deputato interrogante da articoli di stampa che, in seguito alle minacce sopra citate, la protezione sia stata innalzata al livello massimo: gli uomini della sua scorta sono aumentati, sono stati affiancati dalle teste di cuoio, gli armamenti si sono rafforzati ed è stato previsto - dopo non poche sollecitazioni - il divieto di sosta in luoghi sensibili come la via dove risiede la madre. […] Non sfuggirà ai Ministri interrogati come in questa triste notizia si possano udire gli echi di quanto accaduto nel passato a illustri colleghi del dottor Di Matteo, i quali pure avevano appreso dell'arrivo in Sicilia dell'esplosivo per ucciderli, ma non sono stati in grado di evitare il peggio, anche per una non del tutto adeguata protezione da parte dello Stato. Alcune associazioni attive nella lotta alla mafia rappresentano all'interrogante la necessità che, al fine di evitare il triste ripetersi di eventi terribili che hanno colpito in passato nobili servitori dello Stato, possa essere ulteriormente innalzata la protezione del dottor Di Matteo e degli uomini della sua scorta mediante l'equipaggiamento del convoglio con un dispositivo bomb jammer. […] Per tali motivazioni chiediamo quali siano le informazioni in possesso dei Ministri interrogati con riferimento ai reali e concreti pericoli ai quali il dottor Di Matteo è attualmente esposto; se i Ministri interrogati non ritengano di dover predisporre tutte le misure necessarie alla massima protezione possibile nei confronti del dottor Nino Di Matteo, della sua scorta e di tutti i servitori dello Stato che dovessero trovarsi in analoghe situazioni di grave e imminente pericolo; quale sia l'orientamento dei Ministri interrogati circa la possibilità di dotare il dottor Di Matteo e la sua scorta del dispositivo bomb jammer e, qualora siano intenzionati a non procedere in tal senso, quali siano le valutazioni che lascerebbero preferire di non muoversi in tal senso”. Nessuna risposta a questa interrogazione parlamentare. Dopo quasi due mesi, esattamente il 3 dicembre 2013 viene convocato a Palermo il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza, un incontro importantissimo per la tutela dei magistrati minacciati al quale partecipano il procuratore di Palermo, Francesco Messineo, il procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, i PM Nino Di Matteo, Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia; il procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari e il sostituto procuratore generale nisseno, Antonino Patti. Al vertice prendono parte anche il Capo della Polizia, Alessandro Pansa, il comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, Leonardo Gallitelli ed il comandante generale della Guardia di Finanza Saverio Capolupo.  La riunione dura oltre tre ore e prima di iniziare la conferenza stampa, Alfano incontra in un’altra sala della Prefettura Salvatore Borsellino, al quale garantisce la massima attenzione nei confronti dei magistrati minacciati di morte. Ai giornalisti si rivolge esordendo con queste parole “Siamo qui per manifestare tutta l’attenzione e la vicinanza dello Stato nei confronti dei magistrati palermitani oggetto di insidiose e pericolose minacce anche in tempi recentissimi. Ogni attentato possibile, ogni sfida possibile a ciascuno dei magistrati di Palermo è un attentato e una sfida allo Stato cui questo risponderà con tutta la forza di cui dispone. Lo Stato non ha paura della mafia, è schierato dalla parte dei magistrati ed è pronto ad affrontare con ogni mezzo per difendere e sostenere i magistrati di Palermo. Non possiamo escludere che ci sia la tentazione di riprendere una strategia stragista, ma possiamo affermare con certezza che lo Stato è pronto ad ogni intervento di prevenzione e ad ogni intervento di repressione”. Poco dopo, il giornalista di Antimafia Duemila, Lorenzo Baldo, chiede delucidazioni al Ministro in merito alla mancata risposta all’interrogazione parlamentare dell’on. Luigi Di Maio. Alfano risponde così: “E’ stato reso disponibile il bomb-jammer”. Non vengono aggiunti particolari sui test inerenti ai rischi per la salute umana che avrebbero impedito l’immediata installazione del dispositivo nelle auto di scorta del pm Di Matteo. Passano due settimane ed il Ministro viene convocato dalla Commissione parlamentare antimafia in trasferta a Milano il 16 e il 17 dicembre 2013. Qui, il deputato del Movimento 5 Stelle, Giulia Sarti, ricorda ad Angelino Alfano la gravità del fatto che Antonino Di Matteo sia stato assente per “ragioni di sicurezza”. alle udienze del processo sulla trattativa stato-mafia svoltesi a Milano l’11 e il 12 dicembre 2013. “Non si è riusciti ad assicurare in quel caso la giusta e dovuta protezione - afferma la Sarti - che non può essere fornita attraverso la disposizione e l’utilizzo di simili-carrarmati, ma attraverso altre misure. Lei, Ministro, ha parlato di un livello massimo di protezione che è stato assicurato a Di Matteo e ad altri magistrati. Io però le chiedo se attualmente la scorta di Nino Di Matteo sia dotata del bomb jammer e, se non è stata ancora dotata di questo dispositivo, se ci può indicare una data certa per capire quando potrà essere disposto il suo utilizzo.borsellino-evidenz Chiedo, inoltre, se questo dispositivo sia utilizzato anche per la protezione di altre personalità pubbliche nel nostro Paese o se sia mai stato utilizzato per la protezione di altre personalità pubbliche”. Angelino Alfano risponde così: “Senza entrare in ulteriori dettagli, il punto è stato il seguente: non poniamo assolutamente limiti all’uso dei mezzi dello Stato per la protezione dei magistrati. Ogni mezzo a disposizione dello Stato deve essere utilizzato per proteggerli. Riguardo al mezzo elettronico cui Lei faceva riferimento noi l’abbiamo già reso disponibile, salvo un’accurata verifica tecnica. Essendo dotato di una forte potenza elettromagnetica, può produrre effetti collaterali molto significativi alla salute e, quindi, è assolutamente da studiare. Secondo le informazioni in mio possesso in un ristrettissimo lasso di tempo saremo in grado di fornire una risposta. Per non sottrarmi a nessuna delle domande che sono state sottoposte dall’onorevole Sarti preciso che questa è un’apparecchiatura certamente utilizzata nei teatri di guerra, dove le zone frequentemente desertiche consentono di limitare al minimo i danni degli effetti collaterali. E’ altrettanto certo che un uso di questi dispositivi è stato già fatto anche in zone civili, ma il tema che si pone in riferimento alla protezione dei magistrati è che questo diventa un uso continuativo e durevole, non per un’azione, ma durevole e permanente. E’ questo lo studio che si sta effettuando e che credo si concluderà presto. Non posso dire l’ora o il giorno, ma mi sento di dire che si concluderà in un ristrettissimo lasso di tempo, certamente nei prossimi giorni”. Passano altri quattro mesi, e del bomb jammer nessuna notizia. Il 12 aprile 2014 Salvatore Borsellino insieme al Movimento delle Agende Rosse e a Scorta Civica si ritrova in piazza Beniamino Gigli, nei pressi del Viminale per chiedere che ad Antonino Di Matteo venga assegnato il dispositivo. Al termine della manifestazione una piccola delegazione, capeggiata da Borsellino, si reca al Viminale per consegnare circa seimila firma di altrettante persone che pur non essendo presenti vogliono comunque unirsi alla richiesta dell’assegnazione del bomb jammer al magistrato palermitano. Il ministro Alfano, però, non si fa trovare. Passano le settimane, i mesi. Tutto fermo. Anzi no. Chi vuole uccidere Antonino Di Matteo è ancora a lavoro, indeciso se ucciderlo a colpi di kalashnikov o farlo saltare per aria. Dalla dichiarazioni di Vito Galatolo pare si propenda per la seconda opzione. La società civile si mobilita, scende in piazza, urla a gran voce il proprio sdegno per il silenzio delle istituzioni in merito a ciò che sta accadendo. Sul fronte “bomb jammer” tutto tace. Nel frattempo, il 3 dicembre 2014 il senatore Vincenzo Maurizio Santangelo presenta in aula un’interrogazione parlamentare al Ministro della Difesa con la quale chiede di sapere quali siano le differenti tipologie di bomb jammer in dotazione all’esercito italiano impegnato nei differenti teatri di guerra (in particolare quello afghano), quale sia il grado di nocività di tali dispositivi per la condizione fisica dei militari e quali studi siano stati condotti in merito a questo dato. Circa due settimane dopo, il 18 dicembre 2014, il sottosegretario del Ministero della difesa, Gioacchino Alfano, risponde a tale interrogazione, confermando l’utilizzo in ambito militare di bomb jammer di piccola e media potenza, proprio perché in seguito a studi specifici ne è stata provata la non nocività per la salute dei militari e dei cittadini. Ottenuta questa risposta, il senatore pentastellato decide allora di presentare un’ulteriore interrogazione parlamentare, questa volta però rivolta al Ministro degli Interni, Angelino Alfano. “Tutti conosciamo le dichiarazioni del neopentito Vito Galatolo che settimane fa ha parlato della presenza di un carico di tritolo, ancora oggi non rinvenuto, nascosto in diversi punti di Palermo e che servirebbe proprio ad uccidere il magistrato - afferma il senatore del Movimento Cinque Stelle-. Se da un lato dunque è stato giustamente innalzato il livello di sicurezza per il PM dall'altro non sono minimamente diminuiti i rischi per la sua incolumità e dei suddetti test sul dispositivo elettronico non si è più avuta alcuna notizia”. Santangelo chiede dunque di sapere se il Ministro Alfano, visto l'utilizzo da parte dei contingenti militari italiani di bomb jammer di piccole e media potenza, non nocivi per la salute  e conformi alle normative vigenti,  non ritenga di dotare con urgenza il dottor Di Matteo e la sua scorta del dispositivo "bomb jammer". “Quali sono le valutazioni e le motivazioni che lascerebbero preferire di non predisporre la predetta protezione in considerazione del grave imminente pericolo di attentato a cui è continuamente sottoposto il pubblico ministero Di Matteo?” chiede in aula il Senatore. Nessuna risposta. Poche settimane dopo arriva la notizia della presenza di un cecchino a Palermo pronto ad uccidere Antonino Di Matteo. Nessuna risposta. Vito Galatolo testimonia al processo sulla trattativa, affermando: “Per l'attentato a Di Matteo non era come negli anni '90, eravamo coperti. Alla riunione commentammo le lettere di Messina Denaro e Biondino parlò anche di questo processo in merito al fatto che Di Matteo si era portato troppo avanti. Io inizialmente non capii che si trattava di questo processo Stato-mafia. L’artificiere sarebbe stato messo a disposizione da Matteo Messina Denaro ma avevamo l'ordine che non dovevamo presentarci con questa persona. Questo ci stupiva, il fatto che non dovevamo sapere chi era questo uomo. Noi capimmo che era esterno a Cosa nostra e che poteva essere qualcuno dello Stato che era interessato a fare questa strage. Secondo noi non era una cosa solo di Messina Denaro, c’era qualcuno al di fuori di Cosa Nostra. Questo serviva a far capire a tutti che la mafia era ancora viva. Era arrivato il via libera di Messina Denaro per fare questo attentato. A Cosa Nostra non conveniva fare queste cose, sarebbero tornati gli anni ’90 con gli arresti e l’esercito nelle strade, ma c’era l’ordine che si doveva fare. Il fatto delle coperture che erano presenti era proprio scritto nella lettera. Era scritto che facendo quell’attentato non ci dovevamo preoccupare perché questa volta non sarebbe stato come negli anni ‘90 e saremmo stati coperti. E quindi abbiamo accettato”. Anche qui, tutto tace da Roma. E così, arriviamo ad oggi. La Repubblica-Palermo scrive “Dopo mesi di attesa, il ministero dell’Interno ha assegnato alla scorta di Nino Di Matteo il “bomb jammer”, il dispositivo anti-bomba che blocca i segnali radio dei telecomandi. Un sistema di sicurezza straordinario chiesto a gran voce dalle associazioni antimafia. Il sistema “bomb jammer” è in fase di sperimentazione attorno al dispositivo che tutela il PM Di Matteo”. Il Fatto Quotidiano scrive “Il bomb jammer è arrivato a Palermo, per una volta Alfano sembra aver mantenuto la promessa. Il Viminale ha mandato da Roma un'auto blindata con due antenne e il dispositivo anti-attentato all'interno per proteggere il PM Nino Di Matteo, ma da 15 giorni la vettura resta ferma, parcheggiata in una caserma dei carabinieri. Nonostante gli uomini della scorta abbiano già frequentato il corso di specializzazione in una struttura dei servizi, nessuno ha ancora sbloccato un problema burocratico che consente ai militari di utilizzare il dispositivo. Il Viminale smentisce la notizia, nonostante a testimoniare la fondatezza sia la stessa auto salva vita, parcheggiata in caserma, in attesa di una firma che l'autorizzi a svolgere la sua funzione nei confronti del PM più esposto d'Italia”.

Nel 1992 al tribunale di Palermo c’era Paolo Borsellino. Al Viminale c’era Nicola Mancino, oggi imputato al processo sulla trattativa. Nicola Mancino e Paolo Borsellino si incontrarono il primo luglio 1992. Undici giorni prima quell’ incontro (20 giugno 1992) una nota dei Carabinieri avvertiva che il bersaglio, dopo Falcone, sarebbe stato Paolo Borsellino. Diciotto giorni dopo quell’ incontro Paolo Borsellino sarebbe saltato in aria insieme ai cinque ragazzi della scorta sotto casa della madre. Il decreto per il divieto di sosta in via D’Amelio, pure se ripetutamente richiesto dalla scorta di Paolo, non era stato attuato ed era stato lasciato in un cassetto.

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos