Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

ciancimino lettera minacce vitoandreadi Adriana Stazio - 4 gennaio 2015
Nell’estate 2010 Massimo Ciancimino era all’apice della sua “collaborazione”, la sua fiducia e il senso di sintonia con i magistrati erano via via cresciuti al massimo livello e lo avevano portato a rompere ogni indugio, arrivando a riconoscere vari uomini dei servizi e a fare i nomi più grossi e intoccabili fino all’allora capo dei servizi segreti. Allora non lo conoscevo ancora, ma questo lo avevo capito dall’ascolto di alcune sue conferenze per la presentazione del libro “Don Vito” che pure gli aveva dato una bella spinta morale ma soprattutto aveva portato la vicenda della trattativa fuori dai confini di articoli di cronaca su un’inchiesta giudiziaria che leggono in pochi, per portarlo al grande pubblico come un racconto fruibile da tutti e anche questo faceva paura. Non potevo conoscere il contenuto dei suoi verbali, ma sentivo il suo entusiasmo e la sua fiducia come non li avevo mai sentiti prima.

Massimo Ciancimino era una valanga nel 2010. Inarrestabile. Come tutte le valanghe, si ingrossava inglobando e portando con sé quello che trovava sulla sua strada. Dopo aver fatto tornare la memoria a tanti che, preoccupati dalle dichiarazioni del figlio di don Vito, si erano affrettati a correre dai magistrati, Massimo Ciancimino era riuscito in quell’estate a coinvolgere anche la sua famiglia: l'anziana madre era stata interrogata dai magistrati e, per amore di suo figlio ma anche perché incoraggiata dalla situazione, aveva cominciato a raccontare quanto sapeva, in particolare sui rapporti di Silvio Berlusconi con suo marito.

Era proprio un momento magico per la verità quell’estate del 2010. Ma si erano messe in moto le contromisure: la valanga Ciancimino doveva essere fermata. Il 2 aprile era arrivata a casa a Bologna una serissima lettera di minacce accompagnata da cinque proiettili di kalashnikov che preannunciava: «Sono state disposte più operazioni a garanzia della democrazia, tutte in attesa di essere eseguite». In effetti fu così. Ancora Massimo Ciancimino non poteva saperlo, ma il trappolone già era scattato: poche settimane dopo quella lettera, a Palermo, era stato avvicinato da quel tale sedicente “Rosselli”, l’uomo dei servizi che lo farà cadere in trappola con il documento contraffatto.

Ma il supertestimone quell’estate non immaginava nulla ed era carico, pieno di fiducia e di entusiasmo. Ecco allora il gesto più vile che potessero fare: il 9 agosto in via Torrearsa, a casa a Palermo, arriva questa vile lettera che vedete in foto. Fu lo stesso Massimo, uscito di casa, a trovarla insieme alla sua scorta (allora lo Stato faceva almeno finta di tutelarlo!) nella buca delle lettere. Era con suo figlio, il piccolo e adorato VitoAndrea che aveva appena 5 anni e mezzo. Di lettere di minacce negli ultimi anni ne aveva ricevute tante, ma stavolta il destinatario non era lui, ma il suo bambino. Le parole potete leggerle voi stessi, così come la grafia sulla busta. E potete osservare il lungo proiettile accluso.

«Le colpe dei padri infami e traditori ricadranno sui figli. Lei ed i suoi complici siete stati avvisati da troppo tempo, lei ed i suoi amici magistrati sarete la causa di tutto.»

Agghiacciante.

Immaginate la sua reazione e come ha potuto sentirsi un padre a ricevere una cosa del genere, anche rispetto alla sua famiglia davanti alla quale dover giustificare le sue scelte, quella famiglia per cui ha lottato tanto ma che oggi si è sgretolata anche a causa di tante pressioni. Il mese di agosto fu terribile per Massimo, la prima reazione fu l’annuncio tra le lacrime di voler smettere di collaborare. Tutti i giornalisti che accorsero lì potettero assistere alla sua disperazione e al suo pianto dirotto e perfino qualcuno tra i più ostili ne scrisse.

Allora era tutto diverso da ora, però, e Massimo poté correre subito in procura dove oltre a denunciare la cosa poté ricevere consigli e conforto da parte di quei pm di cui tanto aveva fiducia e nelle cui mani aveva messo la vita sua e della sua famiglia, in particolare il dott. Di Matteo. Come sappiamo è molto importante per un testimone o un collaboratore avere figure di riferimento (magistrati o inquirenti) che possano aiutarlo e a cui ricorrere nei momenti difficili. E lo Stato poco dopo decise di assegnare la scorta anche al bambino e alla moglie di Massimo. Erano, tutti questi, segnali importanti di una vicinanza dello Stato che ora non c’è più da tempo e di cui prossimamente parleremo. La vicinanza della società civile invece non ci fu, marcando ancora una volta una grave e funesta assenza, Massimo e la sua famiglia furono lasciati soli ma almeno in qualche modo lo Stato aveva mostrato di esserci (ancora).

Così raccontò quella drammatica esperienza lo stesso Massimo Ciancimino in un articolo nel blog sul Fatto Quotidiano: «Non mi vergogno a dirlo, ma in quel momento ho pensato che se avessi avuto la possibilità di tornare indietro nel tempo, non avrei mai risposto alle domande dei magistrati. Sicuramente il silenzio paga, come dice qualcuno… Magari sarei anche stato etichettato come un “vero Ciancimino”, di quelli che non parlano e che fanno tanta simpatia ed hanno assicurato impunità a più di un senatore della nostra “seconda” Repubblica. Ho avuto tanta paura quella mattina di agosto, mi ha investito un senso di vuoto e di colpa. Mi sentivo impotente, con una gran voglia di mollare tutto. E’ difficile riuscire a spiegare ciò che ho provato. Mi sembrava un brutto incubo senza via di uscita. Hanno voluto colpire ciò che per me è il bene più prezioso: mio figlio.» Ma poi continuava: «Superato lo stato emotivo, ho però deciso di provare ad andare avanti, con la mia paura con i miei dubbi e le mie incertezze. So che la mia posizione, già non facile, verrà ulteriormente aggravata dalle mie recenti dichiarazioni rese davanti alla Procura di Paleremo. Ma faccio tutto questo anche per potere aggiungere alla famosa frase “meglio un giorno da Borsellino che cento da Ciancimino”, il nome “Vito”. Sì, come già annunciato mesi fa ad ‘Annozero’ mi piacerebbe tanto potere trasformare quella frase in “meglio un giorno da Borsellino che cento da Vito Ciancimino”. Ecco perché continuo a raccontare ai magistrati tutto ciò che so, consapevole come sempre delle possibili conseguenze giudiziarie a cui andrò incontro. Ma vado avanti.»

Massimo, nonostante la paura di padre, decise di andare avanti proprio per suo figlio, perché era la cosa giusta. Già a settembre era di nuovo a rendere interrogatori. In cantiere c’erano altri trappoloni, in breve a fine anno arrivò l’incriminazione per calunnia a Caltanissetta in contemporanea al trappolone di Verona. Ma questa è un’altra storia. Oggi volevo raccontarvi questo episodio drammatico dimenticato da tanti. Eppure tutti dovrebbero chiedersi cosa significa andare avanti nonostante una così terribile minaccia che non si ferma neanche davanti a un bambino innocente.

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos