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provenzano-bernardo-eff-ppdi Enza Galluccio - 27 novembre 2014
Non volendo usare i “forse” né i “probabilmente”, ritenendo il termine “presunta” uno strumento per confondere ed eludere la verità, credendo ancora nella Costituzione e nella piena applicazione dell’articolo 21… ripeto che la mia verità coincide con quella della Procura di Palermo impegnata nel c.d. processo sulla trattativa il cui capo d’imputazione reale è: art. 338 violenza o minaccia a corpo dello Stato.
Nel 1992 le relazioni tra uomini politici di quei partiti al governo da sempre e i boss mafiosi - considerate non più adeguate da quest’ultimi - giungono ad un punto di non ritorno.
Quindi Cosa Nostra – dopo la sentenza di condanna in Cassazione, del maxiprocesso – decide di risvegliare certi animi a suon di omicidi e stragi. Inizia con Salvo Lima che muore il 12 marzo 1992. Gran parte del mondo politico capisce il messaggio perché parla la stessa lingua dei mafiosi con i quali da sempre prende accordi e conclude affari.
Si viene a sapere che c’è una lista nera di minacciati fatta di appartenenti a vari partiti, ma improvvisamente si cambia rotta.
I politici si salvano e vengono uccisi i due magistrati che per primi avevano parlato di relazioni tra poteri, istituzioni e mafiosi. Muoiono di stragi che - sempre in nome dell’art. 21- voglio chiamare di Stato, anche se comunemente sono dette “di Capaci e di via D’Amelio”.

Inoltre, in quel periodo, l’inchiesta “mani pulite” e  gli effetti di “tangentopoli” che avevano messo a nudo il livello di degrado e di corruzione della politica italiana, devono essere fatte dimenticare. In molti hanno nostalgia della strategia della tensione che tanto aveva pagato nel passato in termini di memoria da cancellare e di leggi speciali da far passare senza troppe polemiche.  
Si continua a trattare in gran segreto, e la prima mossa è sempre da parte dello Stato tramite i suoi uomini. Attraverso la mediazione di Vito Ciancimino, C.N. esplicita le 12 volontà nel papello di Riina rivolte ai rappresentanti delle istituzioni.
Intanto, Bernardo Provenzano - da tempo sul ring con il Capo corleonese - passa le mappe con le indicazioni del nascondiglio del suo avversario. Riina viene arrestato; Vito Ciancimino anche. La trattativa continua con Binnu che in cambio riceve garanzie sulla propria latitanza.
Negli anni successivi, in nome di quella garanzia, succedono molte cose vergognose. Tra queste, oggi è doveroso ricordare il caso Manca.
Attilio Manca era un noto urologo di origine siciliana. Viene trovato morto nella sua casa di Viterbo alle 11 di mattina del 12 febbraio 2004. La morte è subito fatta passare come suicidio per overdose. Però Attilio è pieno di lividi e si sarebbe iniettato la dose mortale sul braccio sinistro, ma è mancino da sempre.
Nel marzo 2003, un anno prima, Bernardo Provenzano aveva fatto un viaggio a Marsiglia per subire un intervento alla prostata.
Secondo la ricostruzione della famiglia Manca – respinta dall’allora procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso - in quei giorni anche Attilio sarebbe stato a Marsiglia perché contattato precedentemente da mafiosi di Barcellona Pozzo di Gotto per farlo partecipare all’intervento.
Un’intercettazione del mafioso Francesco Pastoia, pubblicata nel 2005, testimonierebbe quel viaggio di Provenzano. Anche Pastoia viene trovato morto nella sua cella. Un altro suicidio.
Nel 2012 la Procura di Viterbo chiede l’archiviazione del caso Manca per la quarta volta.
La famiglia non ci sta e nel 2013 si rivolge ad Antonio Ingroia, che nel suo ruolo di avvocato si unisce al collega Fabio Repici, già legale dei Manca.
Nel febbraio 2014 il GIP rinvia a giudizio una presunta spacciatrice che avrebbe venduto la dose di eroina ad Attilio.
Ingroia riceve un avviso di Garanzia per calunnia. In un’arringa avrebbe definito le indagini sul caso Manca “manipolate e depistate”.
Tutto questo avviene, come sempre, nel silenzio quasi totale degli organi d’informazione… E Antonio Ingroia ha proprio ragione, perché l’omicidio Manca odora tanto di trattativa.

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