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del-bene-lombardo-c-paolo-bassanidi Enza Galluccio* - 26 luglio 2014
Nell’atrio di Giurisprudenza di Palermo, il 18 luglio di quest’anno, le parole più frequenti negli interventi dei pm Francesco Del Bene e Giuseppe Lombardo sono state “barriere” e “ostacoli”; un’unica interpretazione e un’unica linea nell’asse Palermo -  Reggio Calabria.
Del Bene ha messo in evidenza che - quello di Palermo - è uno dei più importanti processi celebrati in questo momento. L’impegno e il segnale dato sono stati definiti di massimo livello soprattutto per la funzione che lo Stato deve svolgere, cioè processare se stesso. Un’occasione unica per l’esplicitazione della verità.
Quello espresso dal Pm palermitano è stato un elogio a quella magistratura che non guarda in faccia nessuno, nonostante le barriere  incontrate. Esse non sono state di matrice mafiosa, ma di certi apparati di quello stesso Stato processato, che non ha agito sulla base di richieste della criminalità, non sul ricatto di questo o quel boss, ma solamente per la chiara volontà di proteggersi senza esitazioni di alcun tipo, anche auto-riciclandosi nell’intento di sopravvivere.

Infine, nel ribadire la qualità dell’impegno preso dai magistrati coinvolti, oltre al processo di Palermo Del Bene ha citato anche quelli di Caltanissetta su via D’Amelio e quello di Capaci.
Nella stessa serata il sostituto procuratore Giuseppe Lombardo ha sviluppato interessanti approfondimenti sul tema proposto, alimentando l’idea di una sempre più stretta connessione tra le inchieste siciliane su Cosa nostra e  lo Stato e quelle calabresi sulla ‘Ndrangheta.
Qui sta il vero nodo interpretativo: Reggio Calabria e Palermo sono due laboratori criminali in cui i legami tra Cosa nostra e ‘Ndrangheta esistono da tantissimo tempo. Lombardo ha quindi sottolineato l’esistenza di relazioni tra le due associazioni mafiose e il mondo che regola l’economia mondiale, senza nascondere che le inchieste su questi temi hanno spesso incontrato ostacoli e muri che sono stati la causa dell’estremo ritardo in cui si è giunti a queste valutazioni.
Non è tutto, il Pm calabrese ha aggiunto che fino ad oggi  è stata fortissima la spinta che ha portato a considerare le due associazioni come delle realtà che agiscono separatamente, con lo scopo di evitare la percezione di un unico sistema criminale che muove le proprie forze in modo sinergico nella direzione di obiettivi comuni.
Egli ha precisato che la ricerca di mandanti esterni in quell’agire sia altamente fuorviante, perché il sistema criminale è unico. Scendendo nei particolari, ha dichiarato che lo Stato ai tempi dei sequestri realizzati dalla ‘Ndrangheta, legittimava il sistema mafioso e lo finanziava attraverso il pagamento dei riscatti.
Al termine della conferenza, per maggior chiarezza, ho posto la seguente domanda al pm Giuseppe Lombardo:

“Lei afferma che non si devono cercare i mandanti delle stragi, di alcuni sequestri e di tutta l’attività della ‘Ndrangheta. Intende affermare che quel sistema criminale di cui parla comprende anche le istituzioni e lo Stato?

Io ho detto che non bisogna cercare i mandanti “esterni”, perché se si ricostruisce fino in fondo il sistema criminale di cui fanno parte ‘Ndrangheta, Cosa nostra e le altre mafie, purtroppo i mandanti sono all’interno di questo sistema e, quindi, vuol dire che ci sono pezzi di istituzioni, pezzi di apparati che dall’interno hanno consentito che quelle stragi venissero consumate”

* autrice di libri sulle MAFIE e sulle relazioni tra Stato e criminalità organizzata

Foto © Paolo Bassani

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