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processione-calabriadi Enza Galluccio - 22 giugno 2014
Papa Bergoglio è entrato nel cuore del male, uno dei tanti in quest’Italia malata. Ha osato molto, mettendo le sue mani in quel sangue sempre vivo dei bambini uccisi per vendette tra faide contrapposte. Ma si è confermato ancor di più, nel suo voler essere il rappresentante degli ultimi, attraverso quelle parole quasi gridate nella Piana di Sibari, come un anatema: “[…]La ‘Ndrangheta è questo, adorazione del male e disprezzo del bene comune, questo male va combattuto, va allontanato, bisogna dirgli di no! La Chiesa che so tanto impegnata nell’educare le coscienze deve spendersi di più perché il bene possa prevalere […] Coloro che nella loro vita hanno questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio, sono scomunicati!”. Anche Nicola Gratteri, procuratore aggiunto presso il tribunale di Reggio Calabria, in un intervento durante una presentazione del suo libro “Acquasantissima” aveva richiesto con durezza parole di questa portata ad un Papa che, pur mostrandosi attento verso le infinite tragedie umane, sembrava non andare con il giusto passo verso una netta condanna ed un’azione decisa e forte anche all’interno della sua Chiesa. Proprio a questo proposito seccamente aggiungeva: «Il nuovo pontefice ha portato una ventata di novità importante, ma sono settimane che non si parla più delle vicende interne al vaticano. Segno che il processo riformatore si è arrestato. E' in corso una sfida di potere che nulla ha a che vedere con i poveri, col credo, con la religione o con la carezza agli ultimi» Oggi il Procuratore definisce “storico” l’intervento della Piana di Sibari e chiede a tutti gli operatori credenti una concreta coerenza con le parole di Papa Francesco.

Ora, da laica, ritengo opportuna una giusta valutazione del significato e del peso culturale, politico e sociale di una scomunica così forte e così netta.
Nel Paese dove ogni politico eletto o nominato si può permettere qualunque nefandezza e raramente prende posizioni serie contro la criminalità organizzata e ancor meno contro quel suo bastone di sostegno che è la corruzione, l’agire della più alta rappresentanza della Chiesa cattolica è come uno schiaffo dato in piazza di fronte a tutti. Così dovrebbe essere vissuto. Ma non è tutto, quello schiaffo è dato anche al suo interno, a chi dall’altare non si è mostrato distante dalla mafia, ma anzi se ne è reso servo e complice; anche se qui, il Papa forse appare più cauto e si limita a gettare il suo monito attraverso quel “si deve fare di più”. Certo non è abbastanza come autocritica, ma non mi sfugge l’indicazione di un confine netto oltre in quale si è fuori dalla “legge” cristiana.
Non ricordo alcun Pontefice che abbia detto o fatto mai altrettanto su temi certi come questo, anzi ricordo in passato scomuniche mirate , colpevolizzanti verso le donne che abortivano o le coppie che divorziavano. Papa Francesco forse segna un altro tempo, mette la sua Chiesa a confronto con il suo stesso marciume e ne condanna l’omertà interna; mette gli italiani credenti di fronte ad un bivio: dentro o fuori.
Inevitabilmente, Bergoglio obbliga anche ad un’autocritica rispetto alle proprie scelte di voto. Quindi quel grosso contenitore elettorale - quale è quello cattolico - potrà ancora far finta di niente votando uomini e donne in odor di mafia o addirittura già condannate per corruzione e concorso esterno in associazione mafiosa? Essi non dovranno forse, per amor di coerenza, essere a loro volta scomunicati?

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